Ingólfshöfði, dove inizia la storia d’Islanda

La storia più antica dell’Islanda, se escludiamo qualche dato contrastante fornitoci dall’archeologia (come alcune monete romane, e un accampamento forse temporaneo risalente al secolo ottavo dopo Cristo) comincia nell’anno 870, o 874, a seconda della fonte che si consulta, quando il primo colono norvegese sarebbe approdato nella Terra del Ghiaccio, presso un promontorio che da allora avrebbe portato il suo nome: Ingólfshöfði, “Capo di Ingólfur”. Ingólfur Arnarson, ovvero “figlio di Örn”, è considerato il primo colono permanente, e gli è attribuita la fondazione di Reykjavík. Tuttavia, prima di raggiungere il sud-ovest e creare l’insediamento, Ingólfur era approdato nel sud-est, e ci si era accampato. La sua storia è narrata in alcune finte medievali di più di due secoli più tardi.

All’inizio del 1100, ovvero da poco più di un secolo dalla conversione del Paese al cristianesimo, avvenuta con una decisione dell’assemblea generale, compare il primo autore a scrivere in islandese. Si tratta di un prete: Ari Þorgilsson il saggio, che compose un compendio di storia del suo Paese e che costituisce la fonte principale della più antica storia dell’Islanda. Molte informazioni storiche che troviamo poi nelle saghe, composte a partire dal 1200, sono derivate da questo “libercolo” — come lo chiama lui in latino: libellus islandorum, o Íslendingabók in vernacolo. Quanto sia attendibile il resoconto di Ari è, naturalmente, motivo di dibattito: lui mostra un certo rigore nel citare le sue fonti (praticamente tutte orali), mostrando cura nel verificare la loro attendibilità (in pratica dichiara che le persone da cui ha sentito riportare questi resoconti sono tutti individui saggi, rispettabili e di buona memoria, e dunque credibili!). Aggiunge però che sta al lettore decidere cosa sia più o meno esatto in quei resoconti. Non abbiamo quasi mai gli originali dei testi medievali, ma copie, o anche copie delle copie, e quando interviene qualche errore o modifica in un testo, anche quelli che da esso saranno copiati riporteranno l’errore, aggiungendone magari di propri. I filologi lavorano, tra le altre cose, per ricostruire la tassonomia di questi testi e individuarne la parentela attraverso errori o varianti. Le copie più antiche che abbiamo del testo di Ari risalgono al ‘600, ma furono copiate da un codice del primo ‘200, dunque presumibilmente abbastanza vicino all’originale, o addirittura copiato proprio da esso. Tuttavia, poco importa quanto antichi siano i testi che possediamo, la loro età veneranda non è necessariamente garanzia di attendibilità!

Tra chi sostiene che la storia della colonizzazione dell’Islanda sia un’invenzione medievale per giustificare l’anelito indipendentista della nazione in un momento in cui l’Islanda stava cadendo sotto il dominio norvegese, e chi ritiene che Ari sia la bocca della verità, preferisco collocarmi nel mezzo: è possibile che alcuni dettagli della storia siano stati manipolati per creare un mito fondante di una nazione libera che nasce come entità contrapposta a un potere regio, ma è anche possibile che molti dei dettagli narrati siano effettivamente veri, inclusi certi nomi e certi eventi. Quali siano di preciso, però, ammetto che sia difficile stabilirlo. Sia come sia, nel primo capitolo, Ari scrive:

Un norvegese di nome Ingólfur, è detto correttamente, fu il primo a viaggiare dalla Norvegia all’Islanda, quando Haraldur Bellachioma aveva sedici anni, e una seconda volta pochi inverni dopo. Abitò a sud, a Reykjarvík. Il luogo ad est di Minþakseyri nel quale approdò la prima volta si chiama Ingólfshöfði, mentre il monte a ovest di Ölfossá si chiama Ingólfsfell, da questo stabilì i suoi possedimenti. A quel tempo l’Islanda era ovunque forestata tra i monti e il mare, e c’erano dei cristiani, che i norreni chiamano papar, ma se ne andarono in seguito perché non volevano starsene assieme a dei pagani.

Libro degli islandesi, cap. 1
Copia seicentesca della Íslendingabók, effettuata dal reverendo Jón Erlendsson di Villingaholt per conto del vescovo Brynjólfur Sveinsson, a partire da una copia duecentesca andata perduta (la datazione del modello è deducibile dall’ortografia utilizzata, compatibile con quella in uso nel primo ‘200).

Un altro testo tra i più antichi, la Landnámabók, o “Libro delle colonizzazioni”, anche questo sopravvissuto soltanto in copie molto più tarde, aggiunge qualche dettaglio diverso:

L’estate in cui Ingólfur andò coi suoi a colonizzare l’Islanda, Haraldur Bellachioma era stato re della Norvegia per dodici anni. Erano trascorsi, dalla creazione di questo mondo, 6073 anni, mente dall’incarnazione del signore 874.

Navigarono insieme fino a quando avvistarono l’Islanda, e lì si separarono.

Quando Ingólfur vide l’Islanda, getto fuori bordo le colonne del suo seggio, e disse che si sarebbe stabilito laddove avrebbero preso terra.

Approdò in quel luogo che oggi si chiama Ingólfshöfði.»

Libro delle colonizzazioni, cap. 6

Nel 1974, a 11 secoli dall’approdo di Ingólfur, un monumento fu eretto qui, a memoria di quel momento storico così importante per la storia di questo Paese.

Il promontorio separato dalla terraferma da una vasta pianura di sabbia nera invasa dall’acqua. Il suo nome è Leirur. Leira è una parola islandese che indica bassi terreni costieri invasi dall’acqua, non necessariamente di marea. Queste leirur sono state create dalla violenza delle eruzioni subglaciali: fino al quattordicesimo secolo, al loro posto, c’era una fertile pianura, e la zona era conosciuta come Fagra hérað, “Bella contea”. Dopo l’eruzione del vulcano subglaciale Öræfajökull, nel 1362, la zona è rimasta spopolata per decenni, completamente devastata dalla cenere e dalle alluvioni, e fu rinominata Öræfi “Desolazioni”.

La sabbia nera, di origine vulcanica, continua ad accumularsi, e la salita al promontorio si effettua scalando una ripida e suggestiva duna che ne raggiunge la cima. Il percorso in trattore dura circa mezz’ora, e la strada attraverso le leirur è qualcosa di sconvolgente: specchi d’acqua, sabbia nera, il promontorio e l’oceano da un lato, il ghiacciaio dall’altro.

Oggi Ingólfshöfði è un’area protetta del demanio statale, ma i terreni circostanti sono di proprietà della famiglia di Einar Rúnar Sigurðsson, la quale si trova in questa zona da secoli. Siamo anche parenti acquisiti, 6 generazioni indietro, come abbiamo scoperto consultando il database genealogico islandese! Lui è un fotografo eccezionale, e conduce personalmente i visitatori verso il promontorio a bordo di un carro aperto, trainato da un trattore agricolo. L’idea era stata di suo padre, che non parlava una parola d’inglese ma ebbe lo stesso l’idea di guidare turisti con i suoi limitati mezzi, e lui ha proseguito con la tradizione.

La costa intorno al promontorio è assai insidiosa per la navigazione, essendo bassa e sabbiosa. In passato i naufragi erano frequenti, per questo è stato eretto il faro e, a poca distanza da esso, il primo rifugio per naufraghi del paese

Ah, dimenticavo: il promontorio è anche una delle zone migliori per l’avvistamento delle fratercule artiche, anche dette pulcinella di mare, ma quando uno ha in mente la storia epica ed emozionante della colonizzazione di questa Islanda nel Medioevo nordico, fa presto a scordarmene!

Rispondi

%d