Vorrei condividere alcune riflessioni nate dalla lettura di un manoscritto pergamenaceo islandese del 1200, che riporta i segni dello zodiaco. Siamo entrati nel periodo del sagittario, che in islandese si dice bogmaður, da bogi (arco, imparentato con l’inglese “bow”) e maður (uomo). L’oroscopo, che nella sua forma attuale è riconducibile a reinterpretazioni greco-romane di tradizioni medio-orientali, era ovviamente conosciuto anche in Islanda, trasportatovi assieme a tutto il resto della cultura occidentale medievale assieme al Cristianesimo. “Zodiaco” si dice Dýrahringur; anziché fare come il resto delle lingue occidentali, ovvero prendendo a prestito radici greche e latine per inventare nuove parole, gli islandesi usano radici islandesi: dýr significa “animale”, hringur invece “anello”. Lo stesso significato del greco ζῳδιακός (zodiakós) “percorso degli animali”.

Le immagini di questo articolo provengono da un codice islandese del 1200: AM 247b 4°, che è un calendario. Sono soltanto sei pagine e 12 facciate, ma sono conservate abbastanza bene per un codice islandese. Non abbiamo moltissimo materiale, prima del 1200: la scrittura arriva in Islanda con la conversione nel 1000, ma il primo testo in islandese, un compendio storico, detto Íslendingabók fu steso solo all’inizio del 1100, e sopravvive solo in copie seicentesche di una copia del 1200 andata perduta. Esistono frammenti in islandese di fine 1100-inizio 1200, e altri latino più antichi. Tantissimo materiale latino è andato perduto con la purga operata dalla riforma, oppure perché la pergamena è stata raschiata e riciclata, o usata per altri scopi: fornire supporto per cappelli, essere tagliata e usata come modello per vestiti, o – in tempi durissimi – come pasto 🤢. Si tratta, dopotutto, di pelle di vitello.
I codici in latino contengono spesso materiale religioso, e ciò non stupisce, visto che quella era la lingua dell’istituzione che deteneva il monopolio culturale nell’Europa medievale. È sempre curioso, però, notare come gli islandesi abbiano preso relativamente presto a comporre testi nel loro vernacolo, che all’epoca chiamavano “lingua danese” e, più tardi, “norrena”. Hanno inoltre mostrato uno zelo eccezionale nello scrivere: in Islanda sopravvivono manoscritti per un numero che è circa il doppio di quelli pervenutici dall’intera Scandinavia continentale: Danimarca, Norvegia e Svezia combinate (un migliaio circa, contro cinquecento). Cosa che ha del miracoloso, se guardiamo alle dimensioni del Paese, al suo isolamento, alla carenza di risorse, e al fatto che così tanto materiale, in Islanda, è andato perduto a causa delle ristrettezze economiche dei secoli successivi.

Nell’immagine qui sopra e in quella sotto, vediamo che in alto viene spiegato quanti giorni e quante lune ricorrono nei mesi di novembre e dicembre, e per i vari giorni sono elencati i santi celebrati: al primo novembre vediamo la ricorrenza di Ognissanti, che in Islanda era sentitissima, poi quella di tutti i defunti, mentre a dicembre abbiamo, in rosso, Santa Lucia vergine e martire, vigilia Natalis domini il 24, e Nativitas domini nostri Jesu Christi per Natale, oltre al segno del capricorno (Steingeitin, in islandese).

So bene, per esperienza, che molti si approcciano all’Islanda credendola una terra esotica, patria di un’antica cultura pagana a malapena sfiorata da influssi esterni. Eppure sono stati proprio questi a creare le condizioni per la fioritura della cultura islandese. Cultura unica nella sua interconnessa complessità: le saghe, i poemi eroici, l’Edda di Snorri… tutto ciò ha preso forma in ambienti cristiani popolari da individui che erano pienamente inseriti nelle dinamiche politiche e culturali europee, che avevano studiato in centri culturali sul continente e che conoscevano magari il latino. Si cerca di vedere, nell’Islanda, una sorta di universo separato e delimitato in cui proiettiamo i nostri sogni e le nostre aspettative, e spesso questi prendono la forma di un pio desiderio per il quale, qui nel remoto Atlantico settentrionale, ci sia una terra legata al suo mondo ancestrale, sfuggita alle dinamiche alienanti della modernità e dell’urbanizzazione, dove la natura governa l’esistenza, e dove la cultura non è sfregiata dall’appassimento neoliberista. Tutto questo è un sogno, per quanto comprensibile, che porta spesso a identificare il Cristianesimo medievale proprio con quelle forze che, oggi, vengono percepite come deleterie per l’unicità e l’individualità delle varie culture. Sebbene il sentimento sia comprensibile, non si può e non si deve identificare l’Europa medievale come un gruppo di popoli pagani anarco-primitivisti che lottano per la sopravvivenza contro un’élite turbo-mondialista intenta a sradicare tutti i popoli per renderli lavoratori-consumatori senza valori e radici, e dunque meglio sfruttabili.
Detto della chiesa medievale fa già ridere così, ma la realtà è che, pur nell’unità creata dalla comune religione, l’Europa medievale era una scacchiera incredibile di peculiarità locali ed eccellenze personali: la letteratura latina, quella francese, quella occitana, quella tedesca, quella anglosassone, quelle italiane…tutte di sono in qualche modo conosciute, toccate ed influenzate in un rete di scambi multidirezionali che le hanno portate a svilupparsi in un continuo andirivieni di idee e creazioni nuove. C’era anche un senso di fratellanza, percepibile in molti episodi emblematici; da scandinavista, amo ricordare il naufragio del mercante veneziano Piero Querini nella Norvegia settentrionale alla fine del 1300: l’accoglienza riservatagli dai fratelli cristiani norvegesi è toccante, se si legge il suo resoconto, o il pellegrinaggio a Roma di quella donna straordinaria ed esploratrice dell’America che era Guðríður Þorbjarnardóttir, e dei suoi islandesissimi connazionali che si recavano continuamente a Roma, o a Bari a fare visita a San Nicola: sono eventi storici che mi fanno sentire più vicino a questi islandesi che mi circondano ogni giorno. Abbiamo una storia antica in comune, nonostante le nostre peculiarità e unicità. Un italiano in Islanda non è un totale alieno avulso dal contesto: italiani e islandesi condividono una matrice culturale che ha le sue radici nel mondo classico e che è stata trasmessa dalla Chiesa, con numerosi apporti da altre realtà locali che hanno, per così dire, aggiunto sale e spezie al tutto.
Individualità non significa staticità, ed è vero che l’Europa medievale era molto diversa da quella dell’età del ferro nordica, o del primo impero Romano, ma non era un’Europa peggiore (o migliore), era un’Europa unica e irripetibile la quale, nella sua complessità e bellezza, è stata una fase fondamentale per farci diventare quello che siamo oggi.
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