Se credevate, come succede di solito, che l’Islanda fosse una sorta di roccaforte del paganesimo, e che sicuramente è sopravvissuto un folto sottobosco di pratiche pagane legate alla ricorrenza che oggi conosciamo con il nome inglese di Halloween, o quello gaelico di Samhain, resterete delusi: non esistono documenti o testimonianze relative ad alcuna cerimonia particolare per questa giornata nel periodo pre-Cristiano, che è invece una cerimonia contadina di inizio inverno per le popolazioni gaeliche (con un misto di elementi le cui radici sono sia cristiane sia precristiane) e l’occasione di celebrati tutti i santi, inclusi quelli non canonizzati e con un giorno dedicato sul calendario, per i cattolici.
[Ricordiamo che Halloween è la contrazione di (All) Hallows’ e(v)en, e significa “Sera di tutti i santi”, è dunque un nome che rientra nella tradizione cristiana, a differenza del gaelico Samhain, che è pre-cristiano). Il vocabolo hallow, è la radice germanica per santo, che in inglese è stata soppiantata da quella latina saint, ed è collegato ad holy “sacro”. Hallow, esattamente come l’Islandese heilagur, deriva dal protogermanico *hailagô che sta proprio per “santo/sacro”]
In Islanda, nel periodo pagano, si celebrava l’arrivo dell’inverno il giovedì che cade tra il 21 e il 27 ottobre. Oggi alcune famiglie osservano questa giornata con crespelle dolci e caffè, mentre una volta era consuetudine mangiare la testina di pecora, una volta terminato il macello e la lavorazione della carne in preparazione dei mesi invernali.

[Come sempre, la mia fonte principale, la mia bibbia per tutto ciò che riguarda le ricorrenze e i costumi islandesi di una volta, è il libro Saga daganna “Storia dei giorni” di Árni Björnsson.]
Papa Bonifiacio IV, che il 13 maggio del 609 consacrò il tempio romano del Pantheon a Santa Maria e ai martiri. Tra gli anni 731 e 741, papa Gregorio III dedicò la giornata in cui il tempio era stato convertito in chiesa a tutti i santi. Da allora, un flusso insostenibile di pellegrini aveva preso ad invadere la capitale ogni anno, così che la giornata dedicata a tutti i santi fu spostata da papa Gregorio IV al 1° di novembre, sperando di scoraggiare un po’ di pellegrini dall intraprendere il pellegrinaggio in quel periodo. La festa fu introdotta nel nord dall’imperatore Ludovico nell’anno 835 (qualche decennio prima dell’inizio della colonizzazione dell’Islanda). Questo viene ricordato in una delle più antiche fonti islandesi a noi pervenute, l’omiliario islandese, del primo ‘200:
Fu dunque stabilito che le genti cristiane di tutto il mondo dovessero celebrare questo giorno come il primo del periodo di Natale, per la gloria di Dio e per la nostra salvezza, poiché molti sono i santi che non ricevono una messa dedicata nel corso dei dodici mesi, eppure molti di loro non hanno meno gloria e onore presso Dio di quelli ai quali sono dedicati giorni o festività complete.
Essendo una delle maggiori festività cattoliche, anche in Islanda la sua importanza fu considerevole, e il suo nome islandese Allraheilagramessa (“Messa di tutti i santi”) compare già nelle fonti più antiche. La sua importanza è desunta da diverse informazioni, degno di nota è il fatto che, in un documento del 1200, il traghettatore in servizio sul fiume Ölfusá, nel sud-ovest, non era tenuto a prestare il suo servizio soltanto per Pasqua, per il giorno del patrono della sua parrocchia, e per la festa di Ognissanti (quindi non per Natale!). Nei corpora legali medievali, erano istituti digiuni in preparazione a questa festa. Moltissime chiese erano dedicate a “Tutti i santi”, in particolare nell’ovest dell’Islanda, e i contadini (non immaginatevi dei bifolchi zappatori, ma dei ricchi proprietari terrieri, perché i “contadini” erano questo in Islanda) dovevano offrire ai poveri l’equivalente di un pasto serale dei loro dipendenti. Le donazioni sarebbero state raccolte e divise tra i poveri dei vari distretti. Questa iniziativa, che prevede la distribuzione di cibo, non deve essere dissimile da quelle che hanno dato origine al “dolcetto o scherzetto” o alle sue numerose varianti in giro per l’Europa.
La celebrazione della festività durò in Islanda fino al 1770, quindi sopravvisse 220 anni alla riforma protestante! Oggi non è più osservata, ma sono entrati in gioco gli elementi commerciali dello Halloween anglosassone, ma si riducono all’esibizione delle zucche fuori casa, al dolcetto o scherzetto (prima del Covid!) e qualche festa a tema. Non si può dire che sia una ricorrenza particolarmente sentita. Le è stato tuttavia attribuito un nome islandese: Hrekkjavaka, da hrekkur “scherzo” e vaka “veglia”, dunque “Veglia degli scherzi” (forse sarebbe il caso di trovarne anche uno italiano: sentire la pronuncia “Àllouinne” è insopportabile!)

Il fatto che sia comunque diventata popolare e che ci sia richiesta per il merchandising mostra, però, che c’è richiesta per questa festa. Il motivo è da ricercarsi nel vuoto creato dall’abolizione della festa di tutti i santi. Oggettivamente tra la fine dell’estate e Natale non ci sono feste comandate sul calendario, per cui l’adozione di Halloween permette di “spezzare” questo periodo.
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