La genetica degli islandesi

L’interesse per la genealogia ha caratterizzato il popolo islandese fin dalle origini. Uno dei primi testi mai scritti in Islandese (e tra i più antichi pervenutici), ovvero la Landnámabók, o “Libro delle colonizzazioni”, è una panoramica in senso orario dell’isola che elenca i (supposti) primi coloni delle varie zone, riportandone dati genealogici, antenati e discendenti, e alcuni dati biografici.

Lo zelo nel documentare le genealogie (ma anche nell’inventarsele) può essere visto come un tentativo di giustificare la propria esistenza conferendole un passato nobile, ed è tipico delle popolazioni “trapiantate” (pensate alla vera e propria ossessione degli americani per i loro retaggi – veri o presunti – precedenti alla colonizzazione europea delle Americhe, e al bisogno quasi spasmodico di trovare un’etichetta identitaria dal Vecchio Continente).

A leggere la Landnámabók, i colonizzatori dell’Islanda sarebbero stati 437: 383 uomini e 54 donne, e la maggior parte di loro sarebbero stati norvegesi. Per colonizzatori si intende “notabili” che si sarebbero trasferiti in Islanda con il loro seguito, e non “persona qualsiasi” tra quelle trasferitesi in Islanda. Questa distinzione è molto importante perché, come vedremo, la proporzione di DNA proveniente dalle isole britanniche è estremamente più alta rispetto al numero di colonizzatori britannici menzionati nel testo.

È possibile che alcuni colonizzatori e le informazioni relative ad essi siano state inventate di sana pianta a partire da nomi di persona sopravvissuti nei toponimi, ma sulla cui origine autentica nessuno ricordava più nulla. Tuttavia, bisogna essere cauti nel considerare il Libro delle Colonizzazioni come inattendibile, perché non sono mancati casi in cui gli archeologi hanno rinvenuto resti di abitazioni del periodo delle colonizzazioni (870-930 d.C.) in siti riportati nel testo ma la cui memoria era andata perduta. A leggere il Libro delle Colonizzazioni, un terzo dei 331 uomini liberi rintracciabili tra i colonizzatori sarebbe stato di discendenza nobile o reale, mentre solo 58 erano schiavi o liberti.

Gunnar Karlsson, nel suo libro Landnám Íslands (La colonizzazione dell’Islanda), offre dei calcoli interessanti sulla popolazione delle origini: sappiamo da un documento del 1100 che in quel periodo c’erano 4560 fattorie, ma nel conto mancano alcune che non erano soggette al pagamento di certe tasse, quindi il numero totale deve essere stato intorno alle 5000. Di queste 5000, 150 sono state scoperte dagli archeologi, ovvero il 3%. Di fattorie precedenti al 930, ovvero risalenti al periodo delle colonizzazioni, ne sono state rinvenute 28. Se per calcolo probabilistico assumiamo che queste siano la stessa percentuale sul totale del loro periodo rispetto a quelle del successivo, ovvero il 3%, otteniamo 933 fattorie, circa il doppio del numero di coloni menzionato nel libro delle colonizzazioni (Ciò non deve stupire: se prendessimo le cifre del Libro delle colonizzazioni per buono, in 60 anni, ovvero tra 870 e il 930, alcuni coloni saranno sicuramente morti e avranno diviso i loro terreni tra i figli che avranno costruito nuove fattorie per le loro famiglie, aumentando il numero totale di proprietà).

Se moltiplichiamo 930 fattorie (arrotondando per difetto) per 20 persone circa a fattoria (alcune fattorie ne avranno avute dieci, altre trenta), otteniamo 18.600 abitanti per la fine del periodo delle colonizzazioni. Una stima più conservativa, contanti 10 abitanti massimo per fattoria, ci darebbe invece 9.300 abitanti. È molto probabile che il numero reale si aggirasse tra questi due.

È difficile stabilire la proporzione di individui di origine norvegese o scandinava rispetto a quelli di origine gaelica, provenienti da Scozia e Irlanda (che ricordo aver ospitato piccoli regni controllati da signori o reucoli di origine norvegese), ma un dato storico ci impedisce di considerare l’origine nobile di molti dei primi coloni come un dato totalmente inventato: secondo una legge locale della Norvegia occidentale (Legge del Gulaþing), gli islandesi godevano degli stessi diritti dei proprietari terrieri locali dal punto di vista legale, mentre altri stranieri avevano solo i diritti conferiti ai semplici contadini. Difficile spiegare questa stranezza se non con il fatto che gli Islandesi avessero qualcosa nel loro “status sociale originale” che giustificasse tale trattamento.

Ciò nondimeno, non si può considerare tale osservazione come sufficiente a chiudere la questione, e studi genetici hanno cercato di risolverla una volta per tutte. Si è evidenziato che:

  • La maggior parte degli islandesi odierni discende dai primi colonizzatori. Questo perché l’isolamento ha ridotto gli influssi esterni.
  • Più della metà delle linee femminili (DNA mitocondriale) è di origine gaelica, o il 62%.
  • La maggior parte delle linee maschili (Cromosoma Y) è di origine norvegese, o il 75%.
  • Il DNA autosomico rivela influssi (non molto significativi) da altre parti del mondo, inclusa Africa e Nord-America.
  • In molte parti del Paese, e particolarmente nei fiordi dell’ovest, esiste un apporto iberico e francese dai marinai e balenieri che nei secoli hanno pescato in queste acque, spesso “intrattenendo” le donne locali.
  • Esiste una componente nord-africana, potrebbe derivare dalle incursioni saracene del ‘600, o essere la conseguenza dell’apporto “francese” di marinai e naufraghi.
  • Centinaia di islandesi hanno un apporto, anche se non più visibile, dalla Nigeria, ereditata un “islandese” di adozione del secolo XVIII: Hans Jonathan, un ex-schiavo liberato di padre danese e madre africana, che era stato proprietà di una famiglia danese, fuggì in Islanda dove si sposò ed ebbe dei figli. Mori nel 1827. Sono stati identificati 780 islandesi viventi che discendono da quest’uomo (ma il numero reale è più alto: discendenti di quest’uomo che hanno avuto figli naturali con donne già sposate avranno una parentela genetica con lui senza che il rapporto risulti dalla genealogia). Dei 780 identificati, 182 hanno effettuato un’analisi genetica che ha portato alla luce segmenti di DNA africano, i quali hanno permesso di ricostruire circa il 40% del genoma della madre di quest’uomo, e stabilire la sua provenienza nell’Africa occidentale.
  • La percentuale di materiale genetico norvegese, paradossalmente, sembra essere più basso nei resti umani del periodo della colonizzazione (50% contro il 70% attuale). Ciò può spiegarsi con un maggiore successo riproduttivo della componente norvegese (vedi questo articolo).

In conclusione, è plausibile che gran parte dei colonizzatori di sesso maschile fosse norvegese, ma con una componente non trascurabile di origine gaelica, mentre tra gli individui di sesso femminile la componente gaelica fosse molto più rappresentata. Questa divisione è tutt’ora visibile nella popolazione attuale, pur con le differenze subentrate nel corso di un millennio, che hanno portato, da un lato, all’accentuazione dell’elemento norvegese, e dall’altro all’inserimento di componenti genetica di varia origine.

(Per maggiori dettagli consultare il seguente articolo: Estimating Scandinavian and Gaelic Ancestry in the Male Settlers of Iceland)

Una replica a “La genetica degli islandesi”

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