Norreno? Vichingo? Antico nordico? Tassonomia di una sfera culturale

Nel linguaggio comune, ma spesso anche in quello accademico, esiste una notevole confusione quando l’oggetto del discorso sono i popoli nordici del Medioevo. Già a questo punto si presenta una sottigliezza che potrebbe sfuggire a molti: c’è differenza nel dire “popoli nordici del Medioevo” e “popoli del Medioevo nordico”? Effettivamente sì, e anche molto marcata: il Medioevo Europeo lo si fa iniziare con la deposizione dell’ultimo imperatore romano in Occidente nel 476 d.C. ma, fino alla cristianizzazione (intorno al 1000) la Scandinavia si trova archeologicamente e culturalmente nell’età del ferro, per cui il Medioevo nordico inizia intorno al 1000. Nella frase “popoli nordici del Medioevo”, essendo il “Medioevo” per antonomasia quello europeo, si intenderebbe dunque indicare tutte le popolazioni nordiche esistite nel periodo tra il sesto secolo fino all’età moderna, mentre nell’altro caso si intenderebbero i popoli cristianizzati e “statalizzati” tipici del Medioevo cristiano. Viene però mai operata questa distinzione?

La terminologia è in effetti spesso confusa: si parla spesso di “vichinghi” per designare questi popoli nel loro insieme e, sia nell’uso comune sia in quello accademico, a volte il termine si accavalla o sostituisce ad altri in modo imprevedibile a seconda degli autori, e questo porta a incomprensioni e fraintendimenti anche importanti.

In questo articolo desidero fare chiarezza sul significato e sull’uso che ritengo più appropriato per tali termini.

La prima premessa da fare, anche se ormai dovrebbero saperlo tutti, è che “vichinghi” è un termine da usare solo in riferimento alle bande di pirati del periodo. “Víkingr” viene usato nei testi antichi con il senso che ha per noi oggi la parola “pirata”. Anche parlare di “età vichinga” non ha molto senso, perché i pirati scandinavi attaccavano già le coste baltiche da secoli, al momento dell’attacco a Lindisfarne (793), ovvero il convenzionale momento di inizio di tale “età”. Se interrogate uno storico nel merito, vi dirà che le incursioni vichinghe non sono state un evento talmente impattante da definire un’epoca (pirati ce ne sono sempre stati, chiedete ai mercanti del Mediterraneo classico o ai veneziani della prima età moderna!), se invece interpellate un archeologo, vi dirà che non esiste nessuna “età vichinga” dal punto di vista della cultura materiale. Questo termine va dunque scartato a priori.

Esiste un altro termine che sta entrando sempre più nell’uso, ma che presenta anch’esso dei problemi, quando applicato a contesti inappropriati:

Alcuni, anzi molti, suggeriscono di usare il termine “norreno” per descrivere i popoli del Medioevo nordico nel loro insieme. Questo termine, rispetto a quello di “vichingo” — il cui uso in senso etnico è assolutamente ingiustificabile — ha il vantaggio di essere un etnonimo (ovvero nome di popolazione) nonché endonimo (ovvero un termine con il quale una popolazione chiama se stessa) reale. I suoi detrattori sostengono che tale termine è ancora poco diffuso in italiano e la gente non lo comprende: a questo risponderei dicendo che usare termini sbagliati perché la gente non e avvezza a quelli giusti significa risolvere un problema creandone un altro, e che da qualche parte si dovrà pur cominciare, per diffondere una terminologia corretta.

Il problema è però che anche tale termine è comunque scorretto se lo si usa per descrivere i popoli nordici antichi nella loro interezza: norrœnn, oppure, nell’islandese dal 1200 in poi, norrænn, significava semplicemente “norvegese”. Nessuno in Svezia o in Danimarca si è mai definito norreno. Estendere questo termine alla Scandinavia tutta sarebbe come chiamare tutte le popolazioni italiche dell’età del ferro “latini”, senza distinguere tra i falisci, gli oschi, gli umbri o i sanniti.

In ambito specialistico, dunque, alcuni restringono l’aggettivo “norreno” alla Norvegia e alle sue colonie: Faroe, Islanda e Groenlandia. Anche questo uso è però problematico: se guardiamo quello che se ne fa nelle saghe, praticamente già le seconde generazioni (ovvero i figli dei coloni) si identificavano come “islandesi”, “groenlandesi” ecc.; inoltre, a voler essere pignoli, le popolazioni di queste colonie, ma in particolare dell’Islanda, sono fin dall’inizio “sui generis”: con un apporto significativo da popolazioni gaeliche che nella madrepatria non si riscontra. Anche la loro formazione nazionale segue andamenti unici rispetto a quelli della Norvegia, con l’Islanda che nasce come oligarchia tribale contrapposta alla nascente monarchia norvegese, ad esempio.

Il termine, anzi i termini!, migliori da usare sono, a mio avviso, gli stessi che queste popolazioni usavano per descrivere loro stessi: norvegesi, danesi, islandesi etc. Non credo sussista un problema di confusione, visto che parliamo continuamente di “romani” senza mai confondere la Virginia della storia di Tito Livio con la sindaca Raggi. Se proprio il contesto richiede di essere precisi, così come diciamo “antichi romani”, possiamo dire “antichi norvegesi”, “antichi islandesi” e, per la popolazione nel complesso, “antichi scandinavi”.

Una discussione a parte è necessaria per l’impiego del termine “norreno” in ambito linguistico.:

Addurre la questione linguistica come giustificazione all’uso del termine “norreno” per le nazioni di cui sopra e le loro lingue, cosa che spesso viene fatta, non è esente da problemi: sebbene si sostenga che Faroe, Islanda e Groenlandia facessero parte della sfera linguistica e culturale norvegese (cosa indiscutibilmente vera per alcuni aspetti) antico islandese e antico norvegese avevano già dal 1200, ma in particolare dal 1300, differenze ancor più accentuate di quelle tra l’inglese britannico di oggi è quello americano. Dal 1400 in poi le due lingue non sono più mutualmente intelligibili. Il fatto è che gran parte dei testi cosiddetti “norreni” in nostro possesso, sono testi composti in islandese tra il 1300 e il 1500. Ci sono differenze notevoli nella pronuncia, ma anche nella grammatica, con il norvegese che mostra già segni del livellamento morfologico che lo interesserà nei periodi successivi. Per cui, al massimo, ha senso parlare di sfera norrena in senso linguistico solo per un periodo che precede la stesura della quasi totalità dei testi antico islandese pervenutici.

Allora perché qualcuno ha deciso di definire l’antico islandese come “norreno”? Ci sono diverse ragioni per questo, alcune più pratiche, altre squisitamente politiche:

  • Per la quantità astronomica di testi, l’antico islandese è la lingua di gran lunga più conveniente da apprendere per avvicinarsi alla produzione scritta del Medioevo nordico. Imparare, che so, l’antico svedese, a meno che uno non intenda concentrarsi esclusivamente sui testi svedesi (che sono soprattutto di natura legale e religiosa), significherebbe poi dover comunque acquisire una dimestichezza molto più sviluppata con la lingua dei testi islandesi. Conviene dunque partire dall’islandese e poi studiarsi le differenze di antico danese o svedese all’occorrenza. Il fatto che l’antico islandese sia dunque una “base”, ha portato forse a identificarlo con il resto. Per lo stesso motivo, con lo studio del greco nei licei, si studia il dialetto attico della zona di Atene come base, e poi si studiano al massimo le differenze di altri dialetti quando capita di incontrare testi in, ad esempio, eolico o dorico.
  • L’antico islandese, avendo alle spalle una tale produzione letteraria che ne giustifica abbondantemente lo studio, gode di una standardizzazione moderna (il cosiddetto antico islandese classico, ispirato allo lingua del primo ‘200) e di numerosi volumi per il suo studio. Le altre lingue scandinave antiche non godono dello stesso vantaggio: tocca passare per lo studio dell’islandese. Chiamarlo norreno sposta il focus dall’Islanda, il quale non è apprezzato da tutti. Alcuni provano un interesse bruciante e sentono una forte attrazione per altre aree nordiche (spesso si tratta della Svezia), e provano fastidio nel diversi studiare l’antico islandese al fine di poter lavorare con testi in antico svedese o danese, ma purtroppo la produzione in antico svedese impallidisce di fronte a quella islandese, per questo non sarà mai conveniente studiare l’antico svedese da sè senza una base di islandese.
  • I norvegesi in particolare, che non godono di una produzione letteraria medievale tale da potersene vantare con il resto del globo terraqueo vita natural durante, hanno spesso avuto la tendenza ad “appropriarsi” di materiale islandese: un esempio tra i tanti riguarda il fatto che, mentre gli studiosi islandesi tendevano (e tendono) a vedere le saghe come frutto della creatività letteraria dei propri antenati, i norvegesi le vedevano come la trascrizione meccanica di islandesi senza talento delle memorie gloriose degli antenati loro. Chiamare l’antico islandese “norreno”, significa un po’ confondere le acque e mascherare la colossale sproporzione che esiste tra il patrimonio letterario islandese è quello norvegese. Se prendente un qualsiasi testo didattico norvegese dedicato al norrønt, è probabile che sia in larga misura dedicato all’antico islandese in modo abbastanza specifico o precipuo.

È appunto da notare come parecchi testi grammaticali intitolati “antico nordico” o “norreno” in varie lingue (penso a Norrøn grammatik di Iversen, Old Norse di Gordon e quello di Barnes Altnordisch nella traduzione tedesca del volume di Byock) trattino specificamente dell’antico islandese e usino esclusivamente testi in questa lingua, usando come riferimento l’islandese classico. Se tali testi discutono di aspetti specifici di altre lingue, lo fanno nelle appendici o nelle note, ma il loro focus è decisamente l’islandese. Una piacevole eccezione è l’Altisländisches Elementarbuch (Manuale di base di antico islandese) di Heusler. Per capire l’effetto straniante che tali titoli hanno immaginatevi un testo sulla grammatica dell’italiano medievale (come la monumentale Grammatica dell’italiano antico di Salvi e Renzi) che si chiami però “Grammatica del romanzo antico” (“romanzo” inteso come insieme di idiomi romanzi, ovvero discendenti dal latino, inclusi l’occitano, il francese, il catalano, il castigliano, il rumeno etc.).

“Norreno” è però — bisogna ammettere— parzialmente in una zona grigia: l’antico islandese discende inconfutabilmente dall’antico norvegese, e le due lingue sono rimaste per qualche secolo estremamente simili e mutualmente intelligibili. Però, già dal 1200, ovvero quando abbiamo i primi testi di una certa lunghezza, l’Islandese e il norvegese sono ben distinguibili da dettagli piccoli, ma vistosi e inequivocabili. Esistono alcuni manoscritti per i quali vi è il dubbio che siano stati composti da un norvegese che lavorava in Islanda o un islandese che lavorava in Norvegia, ma questo è perché vi si trova un mix di caratteristiche tipiche di entrambe le lingue, non perché le due lingue sono troppi simili per essere distinte.

Chiamare norreno l’Islandese di questi testi significa attribuirgli una vicinanza al norvegese che, nel momento della compilazione di quegli stessi testi, non aveva già più. Un po’ come se chiamassimo ancora “latino” il francese antico di Chrétien de Troyes. Certo: la lingua delle chansons de gèste discende dal latino, ma è davvero filologicamente ineccepibile e logicamente sensato definirla tale?

Certo, la differenza tra francese antico e latino era assai maggiore di quella tra antico islandese e antico norvegese, ma queste due lingue sono comunque due realtà distinte e facilmente individuabili. Dunque chiedo: che senso ha volerle accorpare (al di là dell’appropriazione indebita del patrimonio culturale islandese da parte di qualche nazionalista norvegese)?

Un parallelo lo troviamo nell’uso del nome “greco (antico)”. Noi a scuola studiamo in corso di “greco”, ma in questi corsi viene insegnata solitamente la koinè attica. Se dunque diciamo “greco” in generale quando in realtà intendiamo una varietà di esso, che male c’è a dire “norreno” o “antico nordico” quando in realtà intendiamo solo l’antico islandese? In effetti i greci si riconoscevano come pollo accomunato da una lingua, che loro chiamavano ellenica e i romani greca. Nel contesto nordico abbiamo popoli che, almeno nelle loro intenzioni, sono ben distinti, anche se — sempre a loro avviso — parlano una lingua comune, ma loro questa lingua la chiamavano “danese”, dönsk tunga, e per ovvi motivi noi non possiamo continuare lo stesso uso loro.

In Italia si usano in modo intercambiabile termini come “norreno” e “antico nordico”, mentre “antico islandese” sembra essere meno diffuso. Trovo davvero curioso che Scovazzi, negli anni ‘60, abbia pubblicato una grammatica di antico islandese è l’abbia chiamata “Grammatica di antico nordico”. Penso che “antico nordico” sia il termine più adatto a designare la lingua normalmente definita “proto-norrena”, ovvero la lingua delle più antiche iscrizioni runiche continentali. Per due ragioni:

  • Il prefisso “proto-”, in linguistica, indica una lingua non attestata in alcun testo, ma ricostruita dagli esperti a partire da lingue sue discendenti. La lingua delle rune è attestata benissimo tramite le rune stesse.
  • Norreno, come abbiamo visto, significa “norvegese”, ma questa lingua compare massicciamente in iscrizioni di area svedese e danese.

In conclusione, suggerirei di usare gli etnomini delle popolazioni, danesi, norvegesi, svedesi etc., accompagnato da “antichi” se proprio necessario, di unirle sotto l’etichetta “antichi scandinavi”, e definire la lingua antica delle prime attestazioni runiche “antico scandinavo”. Qualcuno potrebbe obiettare che le nazioni insulari (Faroe, Islanda e Norvegia) non sono tecnicamente “Scandinavia”, intesa come area geografica. È una questione sulla quale ho notato essere particolarmente fissati proprio gli scandinavi continentali di oggi. Trovo che sia un’approccio ottuso: se si vuole essere pignoli con la geografia, allora nemmeno la Danimarca sarebbe Scandinavia, visto che la penisola Scandinava comprende solo Svezia e Norvegia, inoltre le nazioni insulari nascono come colonie di quelle continentali e parlano lingue di ceppo scandinavo. La loro storia segue quella delle nazioni continentali e la loro cultura è affine per molti aspetti. Si può parlare tranquillamente di scandinavi continentali e insulari, se serve distinguere, o di scandinavi nel loro insieme. Raccomanderei poi di usare norreno il più parcamente possibile, e di limitarsi a definire le lingue di testi geograficamente localizzati con l’aggettivo derivante dalla loro area linguistica: antico danese, antico islandese etc.

7 risposte a “Norreno? Vichingo? Antico nordico? Tassonomia di una sfera culturale”

  1. Grazie Luigi! Precisioni assolutamente importanti! Infatti, nella mia storia del merluzzo che in Italia viene anche riconosciuto come stoccafisso, stocco, baccala’, battuto e stocfis mi trovo spesso a dover differenziare su chi lo pescava, vendeva, e consumava e come…e quando… per quanto riguarda la definizione vichinghi ho sempre seguito la formula che mi diceva che i popoli nordici antichi includevano i norvegesi, danesi, svedesi, germanici etc. e il termine vichingo mi pare defisca un “mestiere” o un certo modo di guadagnarsi da vivere praticato da parte di gente del Nord che partiva da “viks” ossia baie affacciate sul mare del Nord per razziare visto che non avevano terra fertile dove coltivare …sbaglio Luigi se ritengo i norrensi parte del gruppo di nomadi indoeuropei che da Tacito il Romano verso il 96 d.C furono chiamati Germanici???

    1. La teoria per cui il termine ‘vichingo’ sia da ricondurre a ‘vik’, ‘baia’ è ampiamente passata di moda. Ne ha parlato Roberto in un articolo tempo fa.

      1. Grazie Dario!

    2. Avatar Giorgio Lucarelli
      Giorgio Lucarelli

      Gli esperti non riconducono più il termine ‘víkingr” a “vík” (baia) almeno dal 1983,anno in cui Bertil Daggfeldt pubblicò un suo lavoro in cui sentiva questa ipotesi etimologica perché poco sensata. Se ipotizziamo che il sostantivo maschile “víkingr” (pirata) voglia dire “uomo della baia”, allora il sostantivo femminile “víking” (spedizione marittima) che vorrebbe dire? Non sta molto bene con la baia. Inoltre la grande innovazione tecnologica dei pirati scandinavi fu proprio quella che permise loro di navigare in mare aperto, e non solo lungo costa, quindi le baie sono da scartare. È più probabile che il termine derivi da “víka”, ossia il braccio di mare coperto da un turno ai remi (per cui il vichingo sarebbe colui che si alterna ai remi).
      Per quanto riguarda Tacito, sebbene ormai ci sia un certo numero di prove che dimostri come in una ridotta misura il commercio romano avesse raggiunto anche lo Jutland, direi che i Norreni non possono proprio essere inseriti tra le varie divisioni di Germani descritti da Tacito. Tacito scriveva nel 98 d.C. quando ancora non si era verificata la massiccia divisione dei Germani in varie aree (nord, est, e ovest) che poi avrebbe portato alla differenziazione linguistica germanica (germanico settentrionale come il norreno, orientale come il gotico, occidentale come l’anglosassone, l’antico alto tedesco, il sassone e il frisone). Ci vorranno ancora un po’ di secoli da Tacito, prima di poter parlare di Norreni.

      1. Grazie Giorgio!

  2. Avatar Giovanni Santos Chessa
    Giovanni Santos Chessa

    Bellissimo articolo. Chiarisce molti aspetti. Spesso c’è una differenza tra gli argomenti specialistici e le parole che il popolo comune capta. Certo se le serie televisive (Viking)usassero i termini corretti si farebbe più cultura.
    Mi affascina la scoperta dell’America vista dal punto Islandese; cercherò di procurarmi il libro da te scritto.

  3. Per me, nulla sullo stoccafisso’??? Anything about Cod???

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