“La razzia dei Turchi”: pirati musulmani nell’Islanda del Seicento

In evidenza: Þrándur Þorarinsson; «Tyrkjaránið, Turkish raid on Vestmanna-islands, 1627», 2010.

Quando pensiamo all’Islanda tendiamo spesso a immaginarla come un mondo a parte, lontano dalle cure che hanno afflitto il resto dell’Europa, e fuori dalle correnti e dai movimenti del continente. Invece, per tutta la sua storia, l’Islanda è stata parte integrante della comunità culturale europea. Gli eventi di maggior portata che si verificavano nelle regioni europee avevano ricadute importanti anche in Islanda. Inoltre, fin dalla conversione al cristianesimo nell’anno mille, le élite islandesi hanno svolto i loro studi in istituzioni del continente, e viaggiato non poco.

Non tutti i rapporti con il continente erano però voluti. A volte la storia è piombata sugli islandesi in modo crudele. Se nel 1262 i notabili islandesi hanno deciso di sottomettersi all’autorita del re norvegese, nel 1380 sono passati direttamente e senza essere consultati alla Danimarca, che aveva assorbito la Norvegia e i territori da essa controllati. Da allora in poi, la Danimarca avrebbe avuto un peso notevole sulla storia islandese, a cominciare dalla brutale imposizione della riforma protestante, diffusa con la forza e tramite l’estirpamento nel sangue di ogni residuo di cattolicesimo, fino ad arrivare all’introduzione di un vessatorio monopolio commerciale, nel 1602.

Il monopolio prevedeva che solo una manciata di mercanti danesi potessero commerciare con l’Islanda. Non solo: ogni mercato aveva il suo mercante, e ogni regione d’Islanda era tenuta a commerciare con quello assegnato. Erano previste severe punizioni per chi osasse cercare affari migliori con i mercanti di altre aree. Non che sarebbe servito a molto: la mancanza di concorrenza portò inevitabilmente alla conseguenza per cui i mercanti danesi vendevano merce avariata a prezzi siderali. È forse a delle granaglie ammuffite che si devono imputate certi fenomeni di isteria collettiva sfociati poi nei roghi di stregoni.

Non erano sempre però solo le decisioni politiche danesi a sconvolgere la vita degli islandesi. Il 1627 di un annus horribilis, in cui l’isola nordica fu vittima di incursioni da parte di pirati “saraceni”. Il termine è virgolettato perché vago e impreciso: è stato usato per descrivere varie popolazioni, come gli arabi o i nordafricani, ma anche i musulmani in generale. Il termine invece usato dagli islandesi stessi è Tyrkir, che però non indicava gli abitanti dell’odierna Turchia, quanto le popolazioni musulmane del periodo, le quali si trovavano in larga misura sotto l’impero ottomano. Ancora oggi, gli islandesi chiamano questa serie di eventi Tyrkjaránið: La razzia dei Turchi. Forse il termine più appropriato per indicare questi pirati nel loro insieme è il semplice “musulmani”: tra le loro file si trovano persone di varie etnie dal mondo musulmani e dall’Europa, ma tutte di religione musulmana.

Il mercato degli schiavi di Algeri.

L’inizio del ‘600 aveva visto un declino dell’attività piratesca e molti corsari al soldo delle monarchie europee erano rimasti senza lavoro. Alcuni si erano reinventati intraprendendo carriere diverse, altri avevano deciso di andare laddove la loro professione era ancora richiesta: le città della costa berbera. La loro economia era ancora fortemente basata sulla pirateria, con attacchi frequenti alle navi europee che commerciavano nel Mediterraneo.

Con l’ingresso tra le file dei pirati musulmani di europei convertiti, i cosiddetti rinnegati, ci fu un apporto di conoscenze di navigazione nell’Atlantico che i predoni di origine mediterranea non avevano. Era solo questione di tempo prima che a qualcuno che aveva avuto esperienza di questa isola nordica, le cui acque erano molto frequentate da pescatori europei, pensasse bene di approfittarne.

Gli islandesi del periodo erano una popolazione inerme. I danesi disponevano di alcune armi, ma erano pochi e la difesa era ridotta all’osso perché l’isola si riteneva sufficientemente isolata da essere fuori dall’interesse di chicchessia. Fu proprio la consapevolezza di questo fatto da parte di ex-corsari europei passati all’Islam, a motivare gli attacchi barbarici avvenuti nel 1627. A volte quando in certi discorsi attuali si delira menzionando il “sangue vichingo”, con riferimento a qualità di forza, coraggio e resilienza degli islandesi, mi viene in mente questo momento storico, in cui gli islandesi erano dei poveri e inermi contadini alla mercé della violenza di predoni venuti dal sud. Chi era più “vichingo” in quei frangenti?

Ci furono due attacchi separati: uno proveniente dalla regione del Marocco, guidato da un capitano olandese di nome Jan Janszoon, che avrebbe fatto poi carriera politica in Marocco, diventando governatore di Salè, fino alla sua morte. Attaccarono il porto di Grindavík il 20 giugno, località oggi rinomata per il pesce, per la Blue Lagoon e per l’eruzione del 2021 a Fagradalsfjall. Alcuni islandesi cercarono riparo fuggendo nei campi di lava. I predoni razziarono il poco che trovarono, catturarono 15 persone e ne ferirono due. Poi staccarono e acquisirono un mercantile danese e fecero rotta verso Bessastaðir, oggi sede del presidente della repubblica, e allora sede dei governatori danesi, che però riuscirono a respingere l’attacco. Il 24 giugno fecero ritorno portandosi dietro i prigionieri, 9 dei quali non avrebbero mai più fatto ritorno in Islanda.

Il monte Eystrahorn visto dalla penisola di Hvalnes.

L’altra incursione ebbe una storia più lunga e violenta. I pirati giunsero dapprima nell’est, a Hvalnes, il 4 luglio, ma non trovandovi nessuno mossero verso i fiordi. Gettarono le ancore presso Berunes, e da lì attaccarono il porto commerciale di Djúpivogur, dall’altro lato del fiordo. Rapirono 14 danesi e un islandese. Poi mossero lungo i fiordi e rapirono più di cento islandesi e ne uccisero un numero imprecisato. Forse dissuasi dalla nebbia che di frequente invade i fiordi dall’oceano, mossero verso sud, e il sud non ha porti naturali prima dell’arcipelago delle Vestmannaeyjar. Fu qui che si scatenò un vero inferno destinato a segnare le vite degli islandesi per lungo tempo.

Heimaey, nelle Vestmannaeyjar.

Il 16 luglio sbarcarono. Gli isolani non avevano capito il pericolo fino all’ultimo, e non erano pronti. Qui i pirati diedero sfogo agli istinti. Uccisero a piacimento, violentarono, distrussero e rapirono circa 200 persone. Bruciarono la chiesa e si divertirono a stanare e ammazzare gli islandesi nascosti in varie grotte sull’isola. Molti dei rapiti morirono lungo il tragitto per Algeri, dove sarebbero stati venduti come schiavi disperdendosi in tutto l’impero ottomano.

Col tempo, si decise di dare loro una chance di essere riscattati dal loro governo. Fu scelto come messaggero il reverendo Ólafur Egilsson, che si sarebbe imbarcato per l’Italia, da lì avrebbe raggiunto poi la Francia e trovato un passaggio per la Danimarca. Una volta giunto dal re gli avrebbe chiesto il denaro per riscattare i prigionieri islandesi, ma il re usciva da una disastrosa guerra contro la Svezia e i fondi scarseggiavano. Dopo qualche anno però si riuscì a trovare i fondi per riscattare una cinquantina di islandesi, molti dei quali riuscirono poi a fare ritorno a casa.

Ólafur avrebbe poi scritto un resoconto degli eventi, ricchissimo di particolari davvero vivi non soltanto sugli eventi in sé, ma anche su usi e costumi del mondo musulmano di allora. È stato pubblicato diverse volte e tradotto in varie lingue come “Diario di viaggio del reverendo Ólafur Egilsson”.

Il passo che amo di più, e che ho riportato nel mio ultimo libro, Un italiano in Islanda. Storia e storie della Terra del Ghiaccio, racconta in modo sarcastico di come vi fosse “una grande amicizia tra turchi e italiani, al punto tale che ogni volta che avevano finito di commerciare, prendevano ad ammazzarsi e a mandarsi vicendevolmente all’inferno senza alcuna pietà”.

A volte commettiamo l’errore di dare per scontato che i luoghi della terra che non conosciamo bene, o che percepiamo come poveri e lontani, siano stati privi di eventi significativi nella loro storia, e non abbiamo assistito a nulla che sia degno di nota. Eppure esempi come quello della razzia turca sono numerosissimi. Due volumi in inglese sono stati recentemente pubblicati, ciascuno dedicato a uno dei due attacchi: Stolen Lives e Northern Captives, di Karl Smári Hreinsson e Adam Nichols. Conoscere questi eventi quando si siede in un ristorante di Grindavík per mangiare del pesce, o si passa da quelle parti per visitare la Blue Lagoon, aggiunge notevole spessore alla propria esperienza.

Non trascurate mai di istruirvi sulla storia dei luoghi che visitate!

5 risposte a ““La razzia dei Turchi”: pirati musulmani nell’Islanda del Seicento”

  1. […] atlantico settentrionale, in merito alla difesa. Effettivamente, se escludiamo un paio di attacchi di pirati saraceni avvenuti nel 1627, l’Islanda non ha mai avuto grossi problemi di sicurezza. La situazione è però cambiata con la […]

  2. L’articolo è interessante e ben argomentato, ma non riesco a comprendere come mai per te confutare il presunto carattere marziale e combattivo degli islandesi del passato sia così importante…in effetti è una tematica ricorrente nei tuoi scritti.

    1. Presto detto: perché tantissime persone di oggi credono che avere DNA nordico renda più forti e combattivi, resistenti e prestanti — nell’ipotesi migliore. In quella peggiore rende razziaente superiore. È un’idea che va combattuta ed estirpata, essendo palesemente falsa!

      1. Contrastare il razzismo, anche nelle sue versioni meno apparenti, è una finalità nobile….ho conosciuto molti “nordicisti”, ti assicuro che non sono degli zotici ottusi ed ignoranti, ma persone istruite le quali fanno un uso distorto delle loro conoscenze…costoro ti risponderebbero che qualsiasi comunità dopo molti secoli di assenza di nemici arriva ad accantonare l’addestramento militare e quindi ad un primo contatto con un invasore inatteso si rivelerebbe inerme…

      2. A proposito della “possanza” fisica degli islandesi, tra gli appassionati degli sport di forza si parla spesso della “Husafell Stone” e della prova che conferisce il titolo di “Fullsterkur”, tu hai assistito a tale prova?

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