L’Islanda, come risaputo, è una grande isola che occupa una superficie che corrisponde a circa un terzo di quella italiana ma, a fronte di una popolazione di 370.000 abitanti, non dispone di un esercito regolare per la protezione dei suoi confini. L’unica difesa che riesce a finanziare è la guardia costiera.

Molti si domanderanno che preoccupazioni possa avere, un’isola vulcanica nel cuore dell’oceano atlantico settentrionale, in merito alla difesa. Effettivamente, se escludiamo un paio di attacchi di pirati saraceni avvenuti nel 1627, l’Islanda non ha mai avuto grossi problemi di sicurezza. La situazione è però cambiata con la seconda guerra mondiale: l’isola è una regione strategica fondamentale, costituendo l’unico ponte logistico tra Europa e America, ed è stata dunque occupata dagli inglesi e poi dagli americani come base per le forze alleate, prima che potessero farlo i tedeschi, anch’essi consci del suo valore strategico.
Negli ultimi anni, forze navali di Paesi terzi hanno preso a sconfinare nella zona economica esclusiva, senza fornire spiegazioni in merito, e questo ha portato ad un rafforzamento della base NATO presso Keflavík. Una parte della popolazione ha sempre opposto resistenza ad una presenza militare nel Paese, e prova orgoglio per la totale estraneità dai conflitti armati. Dall’altra parte, una neutralità totale da parte degli islandesi non potrebbe mai essere una garanzia di essere lasciati in pace in caso di conflitto, come qualcuno suggerisce, perché a differenza di altri Stati europei con tradizione di neutralità, essa costituisce appunto una piattaforma strategica insostituibile che farebbe gola a chiunque.

L’integrità dello spazio aereo islandese viene dunque garantita dagli altri membri della NATO, che svolgono a rotazione questa importante funzione. Tra questi anche l’Italia, che da quando mi sono trasferito in Islanda ha già contribuito diverse volte alla difesa del Paese. Nei mesi di maggio e giugno 2022, un contingente italiano dell’Aeronautica Militare si è rischierato a Keflavík, andandone a sostituire uno portoghese. Il lavoro svolto, oltre alla difesa dello spazio aereo con i velivoli F-35 prevede anche delle esercitazioni con altri Paesi alleati presenti sul territorio.
È in questo contesto che ho vissuto una delle esperienze più emozionanti da quando mi sono trasferito in Islanda: ho avuto modo di conoscere alcuni militari dell’Aeronautica che mi hanno illustrato i compiti della missione italiana e il loro ruolo in Islanda.

In quella occasione, sono stato informato che da lì a breve ci sarebbe stata una visita del Ministro della difesa, on. Guerini, e che avrebbe fatto loro piacere se avessi potuto offrire loro una qualche introduzione alla cultura islandese. Sapevo benissimo cosa fare: l’Islanda è una terra fondata sulla letteratura, e i suoi tesori nazionali sono i manoscritti della collezione arnamagnæana, custoditi nella cassaforte dell’Istituto Árni Magnússon all’interno dell’Università d’Islanda, per questo si doveva assolutamente organizzare una visione di questi testi.
Del resto, non avendo l’Islanda monumenti antichi e musei di rilevanza internazionale, è proprio su questi manoscritti che fonda il proprio orgoglio – e ne ha ben donde! In occasione di visite di Stato, vengono appunto tradizionalmente organizzate visite private all’istituto per la visione di alcuni manoscritti. Sono entrati, nella piccola sala adibita allo scopo, monarchi, presidenti, ministri e celebrità, tanto è il valore che gli islandesi attribuiscono a questi tesori medievali.

La mostra è stata allestita dal prof. Gísli Sigurðsson, che ha selezionato alcuni codici rappresentativi di vari periodi della storia islandese, e io ho provveduto a fornire una panoramica contestuale su questo patrimonio culturale. È facile sottovalutarne l’importanza e la straordinarietà, ma esse divengono apparenti nel momenti in cui ci si rende conto del contorno geografico ed economico in cui questa letteratura eccezionalmente ricca e florida è fiorita: la tundra subartica di quest’isola remota.
Un accento importante, che mi premuro sempre di porre, cade sul fatto che questa costellazione di epiche, poesie, testi storici e religiosi, non è nato in una vacuità e non è fiorito in una realtà impermeabile, ma si è sviluppato dal contatto costante con il resto dell’Europa. Infatti, gli islandesi del medioevo scrivevano sì di eroi germanici e di mitologia antica, ma scrivevano anche di Troia, di Alessandro Magno, dei Romani, di Teodorico, di Carlo Magno e Sant’Ambrogio! Vale la pena ricordarlo perché spesso ci si appella ad un passato fantastico dove ogni Paese viene immaginato come isola pura e incorrotta contrapponendolo alla realtà attuale di scambio e collaborazione internazionale, a volte visti come minaccia all’unicità dei popoli.
Mi sono anche premurato di ricordare il vescovo Jón Halldórsson, vissuto tra il Duecento e il Trecento, che aveva studiato all’università di Bologna e aveva portato nella sua Nord diversi racconti popolari italiani che sarebbero stati trascritti nel Bel Paese solo più tardi, da Petrarca e Boccaccio. Un precedente illustre ai contatti culturali tra due Paesi, contatti che non fanno che intensificarsi sul piano culturale, politico e commerciale.

Terminata la presentazione, il ministro mi ha fatto dono di una medaglia commemorativa, dopodiché ho accompagnato lui e le altre personalità presenti attraverso il centro di Reykjavík, descrivendone alcuni punti storicamente significativi.

Alla cena che è seguita, per sdebitarmi, ho fatto dono al ministro di una copia del mio libro: Un italiano in Islanda. Storia e storie della Terra del Ghiaccio. Mi è stato fatto un grande onore, ovviamente, ed è un momento che non scorderò tanto presto. Mi piace pensare di aver dato un altro piccolo contributo alla diffusione (e dunque protezione) della cultura islandese nel nostro Paese. Cultura che mi pare si stia scoprendo e apprezzando sempre di più.
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