Il Natale islandese nella storia

Premessa

Il Natale, e i costumi tradizionali ad esso associati, sono quasi invariabilmente uno degli elementi culturali dei Paesi occidentali che maggiormente incuriosiscono e catturano l’immaginazione. Quello dei Paesi nordici è diventato quasi un archetipo: alberi di Natale, candele, neve, pan di zenzero e molto altro. In tutto questo, non è raro che si cerchino tracce ancestrali di un supposto passato arcaico, testimonianze di un’antica era dell’oro sopravvissute al grigiore di epoche storiche più recenti. Il Natale, però, nonostante sia comune sostenere che sia una festività pagana, che il Cristianesimo abbia “rubato la data” e che Gesù, se realmente esistito, sarebbe nato in primavera, è stato anche in Islanda una festa di ispirazione cristiana per più di mille anni, nonostante l’elemento religioso, per molti di noi, non giochi più un ruolo rilevante.

A questo punto, prima di inimicarmi tutti i lettori (e so che sono diversi) che nutrono antipatie per il Cristianesimo e vorrebbero riscoprire elementi pagani nella nostra cultura, premetto che non ho alcun interesse o desiderio di difendere la religione cristiana, né tantomeno alcuna istituzione terrena che si presenta come portatrice dell’eredità di Cristo: sono un medievista che si occupa del passato di una parte d’Europa e, che piaccia o meno, il Cristianesimo ha avuto molta più influenza sulla società islandese di qualsiasi altra religione. Io stesso provavo un’attrazione iniziale per il magico e il magnifico che associavo al mondo pagano che credevo essere sopravvissuto a Nord. La verità è che si trattava di un pio desiderio di un ragazzo che aveva bisogno, come tutti, di fuggire occasionalmente da una realtà troppo stretta verso un universo più stimolante e poetico. Ci passano tutti gli studenti che si approcciano al medioevo nordico: vogliono studiare Odino e Þór (Thor), ma si accorgono ben presto che di questi c’è ben poco da studiare, e che la cultura medievale nordica prende le mosse e si sviluppa con il Cristianesimo, e che tutto ciò che è stato tramandato ci è giunto filtrato da questa religione. Il supposto paganesimo sopravvissuto in Islanda è una trovata pubblicitaria, e la religione neopagana ispirata al pantheon germanico è un fenomeno marginale senza continuità con il passato pre-cristiano. Si tratta di una religione legittimamente inventata qualche decennio fa e ispirata alla mitologia nordica, che tra l’altro conosciamo solo in modo frammentario e attraverso testi scritti da autori cristiani. Non c’è assolutamente nulla di male in questo, ma è opportuno rimarcare che, se si cerca nel Natale islandese qualche supposta magia antica con sfumature new age (contraddizione voluta), resterete delusi. Se invece cercate ispirazione nella poesia implicita in una tradizione importante di un Paese speciale, allora potete aprire la mente e scoprire tutta la magia che circonda il Natale islandese.

La Dómkirkja, il Duomo/Cattedrale di Reykjavík.

Storia del Natale in Islanda

Del periodo pagano (che in Islanda va dal termine della colonizzazione nel 930 fino al 1000, e che dunque dura 70 anni soltanto) sappiamo che esisteva una festività invernale, ma non sappiamo in cosa consistesse, quando si celebrasse, per quanto tempo né cosa ci si facesse. Alcuni ritengono venisse celebrata intorno al solstizio d’inverno, e pare che contemplasse banchetti e bevute collettive. Altro non si sa. Inutili, per quanto interessanti, i tentativi di estrarre informazioni dall’etimologia del nome della festività, jól, un termine che potrebbe essere imparentato col latino ioculus, dunque qualcosa che ha a che fare con giochi. Peccato che queste etimologie dicano davvero poco, perché le parole possono acquistare significati completamente diversi senza ragioni apparenti, così che l’etimologia non dice nulla rispetto al loro reale significato.

La Saga di Eiríkr il Rosso menziona di come il mercante Þorfinnr Karlsefni abbia salvato gli jól groenlandesi grazie al suo carico di malto e grano, visto che il padrone di casa, Eiríkr, era a corto di provviste. Nel caso delle saghe, però, è sempre difficile distinguere autentiche memorie del passato pre-cristiano dalle invenzioni letterarie dei compilatori delle saghe. La saga di Eiríkr il Rosso è di più di duecento anni posteriore alla conversione, ragion per cui non può essere presa alla lettera.

La conversione avvenne ufficialmente con un decreto del parlamento islandese nell’anno 1000, e la chiesa cattolica in Islanda si organizzò e strutturò nei decenni successivi: la prima diocesi, Skálholt, fu fondata nel 1056, con Ísleifr Gissurarson come primo vescovo, e ad essa si aggiunse quella di Hólar, nel 1106, con il vescovo Jón Ögmundsson, allievo di Ísleifr. Riguardo al Natale è probabile che, nelle case private, l’unico cambiamento visibile fosse quello dell’oggetto dei brindisi, che se prima era stato una qualche divinità pagana favorita da questa o quella famiglia, dopo la conversione è diventato Cristo, assieme a sua madre, la vergine.

San Torlaco su una tovaglia d’altare conservata al Museo Nazionale d’Islanda.

Il Giorno dell’antivigilia è particolarmente sentito, in Islanda, perché uno dei due giorni dell’anno dedicati al loro santo patrono nazionale, San Tòrlaco (Þorlákur helgi in islandese: 1133-1193), una figura carismatica e severa, che impose rinnovato vigore e disciplina alla chiesa islandese, implementando attivamente le riforme gregoriane, e battendosi per il miglioramento della condotta morale del clero e della società. La sua festività solenne è il 20 luglio, giorno in cui le sue ossa furono riesumate per la conservazione in un reliquiario, dopo che il parlamento islandese ne ebbe dichiarato la santità nel 1198. Le sue ossa furono profanate, distrutte e disperse sui terreni presso la cattedrale a seguito della riforma protestante. Si dovette aspettare il 1984 perché la chiesa cattolica lo canonizzasse ufficialmente, sotto Papa Giovanni Paolo II. In tutto questo tempo però, riforma luterana o meno, gli islandesi hanno continuato imperterriti con il culto del santo, e ancora oggi l’antivigilia di Natale viene denominata Þorláksmessa. È in questo giorno che gli islandesi addobbano l’albero di Natale.

La celebrazione natalizia, come nel resto dell’Europa cristiana, prevedeva una veglia, vaka in islandese, a decorrere dalle ore 18:00 della vigilia, con canti che all’epoca erano, ovviamente, quelli gregoriani. La messa detta in nocte iniziava a mezzanotte, e al termine di essa venivano eseguiti canti fino alle 6:00 del mattino, quando si celebrava la messa in aurora, dopodiché si continuava a cantare fino alla celebrazione della messa in die alle ore 9:00. Queste celebrazioni devono aver richiesto un dispiego notevole di forze e risorse, ma testimoniano la devozione che le genti del medioevo devono avere avuto, islandesi inclusi. Non era concesso lavorare, se non per quei servizi necessari alla sopravvivenza. Carne fresca e birra pare fossero fondamentali nel menù di Natale dell’Islanda medievale: già nelle saghe viene menzionato che all’avvicinarsi del Natale venivano ammazzate delle bestie per l’occasione.

La Riforma Luterana, imposta dal re danese e completata nel 1550 dopo una strenua resistenza, nonostante i tentativi di eliminare ogni traccia dei 550 anni precedenti di cultura cattolica, non riuscì subito ad eliminare la celebrazione della messa di mezzanotte a Natale: soltanto un decreto regio del 1744 la proibì espressamente sotto pena di arresto, sebbene alcuni preti si opposero al decreto e continuarono a celebrare lo stesso fino al 1770, quando le festività furono ulteriormente sfoltite. La messa di mezzanotte fu celebrata nuovamente soltanto nell’anno 1958, su iniziativa di un prete di Selfoss. Nel 1964, il vescovo d’Islanda la celebrò nel duomo di Reykjavík, e da allora si è ri-affermata in tutto il Paese.

Per quanto concerne la parte culinaria, a parte brevi passi delle saghe medievali che ci restituiscono un’idea vaga, abbiamo notizie più certe dall’età moderna. Eggert Ólafsson, nel suo diario di viaggio di metà ‘700, racconta di come fosse costume preparare carne affumicata il giorno di San Torlaco, patrono d’Islanda, ovvero il 23 dicembre, da consumare poi il giorno di Natale, mentre la sera della vigilia veniva macellata una pecora o un vitello (nei rari casi un cui se ne disponeva), cuocendone la carne in una zuppa detta spað, con siero di latte e cereali. Nelle case dei poveri era comune trovare la pernice, mentre è proprio la carne di pecora affumicata, hangikjöt, ad essere stata il piatto più comune sulle tavole natalizie islandesi, cosa che rimane fino ai nostri giorni. I dolci consumati erano di norma pappa d’orzo cotta nel latte con sciroppo, o di altri cereali con uva passa. Questo viene consumato spesso ancora oggi, in particolare nella versione a base di riso. Il laufabrauð è una tradizione vivissima ancora oggi, e viene preparato in compagnia nel periodo dell’avvento incidendo la pasta con motivi creativi e friggendola. Dolci e biscotti sono diventati comuni solo nel corso del novecento, con la diffusione dei forni casalinghi e l’importazione più massiccia di farina.

Laufabrauð

Prima della diffusione della birra, che non è stata più prodotta per alcuni secoli a causa del peggioramento climatico che impediva la coltivazione dell’orzo per il malto, è probabile venissero consumati infusi di erbe, siero di latte, acquavite, caffè e (prima che diventassero bevande quotidiane).

Alcuni elementi del periodo natalizio islandese possono essere abbastanza cruenti o grotteschi: nel periodo invernale che seguiva il macello del bestiame in autunno, e fino al Natale, ci si dedicava alacremente alla lavorazione della lana. Questo lavoro era detto tóvinna. Ad esso era associata la credenza che, un tempo, la gente fosse costretta a portare delle sorte di forcelle in legno o osso sugli occhi, chiamati vökustaur “stecchi della veglia”, per mantenersi svegli e continuare a lavorare, una sorta di tortura che è ragionevole pensare non sia mai successa, se non nei racconti popolari. L’origine potrebbe essere nata da un’equivoco derivato da una fantasiosa interpretazione del termine, che forse designava, più prosaicamente, una sorta di spiedo usato per allungare il cibo a persone che si trovavano a letto, come spiega Árni Björnsson nel suo libro Saga daganna, la Bibbia per chiunque cerchi informazioni sulle tradizioni islandesi.

Þrándur Þórarinsson: Grýla (2009).

Legato alla tradizione della lavorazione della lana, sembra essere lo jólaköttur, figura grottesca di enorme gatto mangiabambini, il quale divorerebbe ogni bambino che non abbia ricevuto vestiti nuovi in regalo. L’origine di questa strana usanza è di ricercarsi nel fatto che capi di vestiario nuovo venivano donati a lavoro compiuto come sorta di premio di produzione, e siccome anche i bambini collaboravano in questi lavori, li si voleva esortare a ottenere tale premio lavorando bene e impegnandosi a fondo, pena essere divorati dal mostruoso felino.

Sempre per rimanere nel tema del macabro, la famosa orchessa Grýla, che nelle fonti medievali non era associata al Natale. Era uno spauracchio per i bambini indisciplinati, un essere orrendo che si ciba di carne di bambini che rapiva per sfamare se stessa, i suoi tre mariti (Boli, Gust e Leppalúði) e i loro 80 figli. Dal 1600, nelle poesie in cui figura, Grýla viene detta essere particolarmente attiva nel periodo che precede il Natale. I suoi figli, gli jólasveinar, che oggi assolvono alla funzione di Babbo Natale (dilazionato su 13 giorni) erano ugualmente usati come spauracchio per far comportare bene i bambini. Acquisirono la funzione di dispensatori di doni nel periodo pre-natalizio solo verso l’inizio del 1900, quando presero ad essere conflato con le emergenti figure di Babbo Natale/San Nicola, e dall’essere troll animaleschi, acquistarono fattezze più umanoidi, di anziani dispettosi, brutti e zozzi, ma simpatici. Dalla notte prima del 12 dicembre fino a quella che precede la vigilia di Natale, i bambini islandesi lasciano una scarpa sul davanzale e ricevono un regalino se si sono comportati bene, o una patata in caso contrario.

Sono innumerevoli i racconti popolari e le fiabe islandesi ambientati intorno al Natale, ed includono, oltre alle creature sopracitate, anche elfi, fantasmi e altri esseri soprannaturali. Sono tutte ambientate nel periodo Cristiano, e le creature soprannaturali assumono generalmente attributi demoniaci, non si tratta di materiale pagano sopravvissuto alla conversione, ma di materiale nuovo creato per la maggior parte in età moderna (ricordo che, per la cosmologia/mitologia del periodo pagano, abbiamo essenzialmente due fonti, composte in piena età cristiana, e dunque non aprioristicamente attendibili). Le chiese cristiane nei racconti popolari islandesi sono una costante, e diversi problemi con creature soprannaturali sono risolti grazie all’intervento di preti. Gli elfi stessi, essendo inquadrati come discendenti di Adamo ed Eva al pari degli umani, vanno in chiesa!

Le famose corone dell’avvento furono inventate in Germania a inizio ‘800, e hanno raggiunto l’Islanda intorno alla metà del ‘900, mentre le luci dell’avvento si diffondono solo nella seconda metà del ventesimo secolo. L’albero di Natale è un’evoluzione ottocentesca di un costume già presente nel periodo classico, ovvero quello di addobbare la casa con essenze vegetali nel periodo invernale, come buon auspicio per il ritorno della bella stagione. Lo scambio dei regali ha anche un’origine recente, essendosi diffuso nel corso del ‘900.

Oggi, comunemente, si addobba l’albero per l’antivigilia, o giorno di San Torlaco. Molto spesso un albero vero. Si può comprare in negozio, o si può andare a segarne uno in autonomia negli spazi designati dal servizio forestale pagando una tassa; sembra bello e poetico, ma può essere una faticaccia, e gli alberi non sono necessariamente molto belli. A noi italiani sembra molto tardi, addobbare l’albero il 23, ma gli alberi veri perdono gli aghi dopo un po’, e farli troppo presto significherebbe averli secchi una volta giunto il periodo tra Natale e capodanno! Il momento più importante del Natale è la sera della Vigilia: la cena di Natale inizia generalmente dopo le 18:00, e può essere accompagnata dalla messa luterana seguita alla radio. Dopo cena si aprono i regali e si sta in compagnia. Per chi crede, si partecipa alla messa di mezzanotte. Per quanto riguarda i regali, c’è un’equivoco per cui il libro sarebbe il regalo di Natale per eccellenza in Islanda, e questa valanga di libri verrebbe chiamata jólabókaflóð: in realtà il termine si riferisce solo alla pubblicazione di libri che viene concentrata nel periodo pre-natalizio per beneficiare della corsa ai regali, come succede anche per le uscite di nuovi modelli di cellulari o videogiochi. Il libro è un regalo comune, ma non è una tradizione quella di regalarlo a Natale. Il giorno di Natale è un giorno di riposo assoluto. Si può organizzare un pranzo, ma non è un obbligo. Generalmente si passa la giornata rilassandosi in compagnia della famiglia.

Diverse tradizioni si sono sviluppate o sono decadute nel corso degli anni, come danze di gruppo, giochi, canti, mercatini (famoso quello di Hafnarfjörður), la preparazione e decorazioni di biscotti, e molto altro. Ogni anno si tiene un famoso concerto di Natale, Jólagestir Björgvins, che prende il nome dal compositore di hit natalizie che ha convertito canzoni italiane degli anni ‘70 e ‘80 in canzoni natalizie islandesi. Il Natale islandese, come quello di ogni altro luogo è in continua mutazione ed evoluzione, adattandosi allo spirito dei tempi. È dunque velleitario mettersi a cercare reliquie di un immaginifico passato nelle consuetudini odierne delle festività natalizie islandesi: per quanto esse siano il risultato finale di una costante rielaborazione di una festività antica, rimangono essenzialmente uno specchio del tempo in cui si collocano, e non possono essere facilmente avulse dal loro contesto, per venire trattate come reperti archeologici.

La vigilia di Natale, aðfangadagur “Giorno dell’occorrente”, è il momento più importante qui in Islanda, e tanti – Islandesi inclusi – si chiedono spesso il perché. La ragione è semplice: nella tradizione ebraica, mutuata poi da quella cristiana, il giorno terminava al tramonto (nei Paesi cristiani, invece, l’orario della fine del giorno si è poi fissato alle ore 18:00), dal che deduciamo il significato della frase biblica della genesi “fu sera e fu mattina”, perché al sopraggiungere della sera si ha l’inizio del giorno successivo. Per questo motivo, alle 18:00, in Islanda, inizia la festività del Natale, che nel periodo cattolico raggiungeva il culmine della messa di mezzanotte, con la messa. È proprio alle ore 18:00 che inizia il cenone, secondo un antico costume ormai perso altrove, e dopo di esso si aprono i regali. Il nome aðfangadagur “giorno dell’occorrente”, è quasi senza dubbio una tradizione del termine greco parasceve, che indica la preparazione alla festività nel mondo ebraico, e alla Pasqua in quello Cristiano.


Hangikjöt con piselli, patate e salsa bianca.

Il menù delle festività dell’Islanda di oggi può variare tantissimo, ma indicativamente (giusto per darvi un’idea) vi riporto il modello della nostra famiglia islandese, ma tenete presente che le variazioni tra una famiglia e un’altra possono essere molto radicali:

  • San Torlaco/Antivigilia: molte famiglie mangiano la skata, razza fermentata, ma è una tradizione legata soprattutto ai fiordi del nord-ovest, anche se ormai si trova un po’ ovunque…mentre la nostra famiglia predilige saltfiskur, merluzzo salato, con contorno di patate, pane di segale e burro.
  • Vigilia: a pranzo salmone marinato con salsa alla senape, pane tostato e burro, il dolce è un budino di riso, assimilabile al risalamande danese. Può venirci nascosta una mandorla dentro, e per chi la trova c’è un piccolo regalo. La sera Hamborgarhryggur, una sorta di prosciutto di Bayonne cotto al forno, con contorno di patate caramellate e insalata Waldorf. Per dolce una mousse al cioccolato.
  • Il giorno di Natale si consuma Hangikjot, carne di pecora affumicata e bollita, con contorno di patate e piselli, salsa béchamel e flatkökur, sorta di piadine morbide islandesi. I dolci variano tantissimo, noi facciamo un dolce gelatinoso alla frutta, grautur, una sorta di pappa di frutta simile alla marmellata che è conosciuto in tedesco come grütze e in danese come grød.

4 risposte a “Il Natale islandese nella storia”

  1. Estremamente interessante!

  2. E’ molto interessante vedere le similitudini fra le cucine del nord Europa. Anche qui in Inghilterra il rice pudding, simile a uno dei dolci da te descritti. La carne bollita (previamente montone) servita con patate arrosto, piselli e ‘white sauce (alla quale si suole aggiungere prezzemolo tritato qui) e cosi dicendo. Ovviamente piu’ al nord si vedo e meno scelta di ingrediente si aveva. Grazie

  3. Grazie Roberto per questa descrizione del Natale in Islanda, origini e sviluppi nei anni. Come sempre chiaro e descritto in maniera corretta. Il nostro Natale quando ero a casa in Islanda come menù era praticamente come lo descrivi tu anche se quando abitavamo a Seydisfjoerdur di solito mangiavamo la pernice con tutto l’occorrente.
    Mi ha fatto molto piacere leggere questo tuo articolo. Grazie e Buone Feste a te e famiglia.

  4. Sempre interessanti i tuoi post.
    Arrivo qua da Fb e non è la prima volta, ma ora incomincio a leggerti dall’inizio, con metodo!!! 😉

    Ciso, Fior

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