Vi racconto una mia storia personale, un po’ perché trovo sia carina e degna di essere ricordata, un po’ perché offre un pretesto per parlare di quello che è stato un elemento importante della cultura islandese dei tempi andati: il brúsapallur.
Brúsapallur significa “Piattaforma dei bidoni (del latte)”. Si trovava normalmente sulla strada davanti alle fattorie. I contadini vi poggiavano i bidoni del latte, e un lattaio passava a ritirarlo con un camioncino per venderlo o per portarlo a far lavorare e trasformarlo in skyr o altri formaggi. Oggi non si trova più perché le fattorie che producono anche latte sono molto meno che in passato e ne producono in quantità elevate, così che non esiste più la figura dell’omino che fa il giro delle fattorie a raccogliere quel poco di latte che ogni famiglia produceva. Il brúsapallur non è dunque più un elemento tipico de mondo rurale islandese e sono pochi gli islandesi che lo ricordano.

Saltiamo ora un altro argomento: nel 1952, impazza in Italia una canzone dal titolo “Papaveri e papere”, arrivata seconda al Festival di San Remo nell’interpretazione di Nilla Pizzi. La canzone viene ripresa l’anno successivo da una cantante inglese, Diana Decker, e diventa il secondo singolo più ascoltato di quell’anno in Inghilterra, con il titolo di Poppa Piccolino. Il singolo arriva anche in Islanda, dove viene adattato in una delle canzoni destinate ad essere tra le più conosciute da tutti gli islandesi, come parte del canone musicale nazionale. L’artista è Haukur Morthens, tra i più importanti musicisti islandesi del secondo Novecento, e la canzone viene intitolata Bjössi á mjólkurbílnum (Björnino sul furgone del latte). Eccone il testo e la traduzione:
Hver ekur eins og ljón
með aðra hönd á stýri?
Bjössi á mjólkurbílnum,
Bjössi á mjólkurbílnum. Hver stígur bensínið
í botn á fyrsta gíri?
Bjössi á mjólkurbílnum,
hann Bjössi kvennagull.Við brúsapallinn bíður hans mær,
Æ, Bjössi keyptirðu þetta í gær?
Og Bjössi hlær, ertu öldungis ær,
alveg gleymdi’ ég því.
Þér fer svo vel að vera svona’ æst
æ, vertu nú stillt ég man þetta næst.
Einn góðan koss, svo getum við sæst á ný.Hann Bjössi kann á bil og svanna tökin.
Við brúsapallinn fyrirgefst mörg sökin.
Chi guida come un leone/ con una mano sola sul volante?/ Björnino sul furgone del latte/ Chi preme l’acceleratore/ fino in fondo quando è in prima?/ Björnino sul furgone del latte/ Björnino il donnaiolo!/ Presso la piattaforma dei bidoni (del latte) lo attende una fanciulla/ “Björnuccio, mi hai comprato quella cosa, ieri?”/ e Björnino ride “sei impazzita?/ Me lo sono proprio dimenticato!/ Sei così carina quando ti arrabbi/ Dai, calmati adesso/ me lo ricorderò la prossima volta./ Un bel bacino così facciamo pace.”/ Björnino ci sa fare con le auto e con le donne/ presso la piattaforma del latte sono state perdonate molte cose.
[Per ascoltare la canzone, segui questo link su YouTube]

Un mio carissimo amico islandese, che è purtroppo mancato da alcuni mesi, mi aveva rivelato dell’esistenza di questa canzone, e spiegato il significato di questa parola, brúsapallur, specificandone la storia e l’importanza che rivestiva nella cultura islandese di un tempo. Mi aveva anche detto che pochi islandesi ormai sanno cosa fosse, e io avevo preso l’abitudine, come scherzo per fare conversazione, di chiedere agli islandesi alle feste se sapessero cosa fosse un brúsapallur. Non lo sapevano mai.
La sera che ho conosciuto Lára (che ricordo si pronuncia “Laura” e non “Lara”, perché á in islandese si pronuncia sempre “au”), ero determinato a fare una buona impressione. Lei aveva appena finito la triennale di psicologia, e io ho sfoggiato alcune nozioni rimastemi dai tempi del liceo (avevo fatto il liceo delle scienze sociali) per attaccare bottone e fare conversazione. Ero determinato a colpire questa ragazza in qualche modo, bella ed elegante, che avevi appena scoperto essere cresciuta nel cuore del sud-est islandese, presso Kirkjubæjarklaustur, ma dalle maniere molto fini. Tra una chiacchiera e quell’altra le faccio la fatidica domanda:

“Sai cos’è un brúsapallur?”, preparandomi a spiegarle tronfio cosa fosse. E invece mi ha spiazzato; con tono a metà tra il sarcastico e l’altero mi ha risposto:
“Sono di Kirkjubæjarklaustur, è ovvio che so cos’è un brúsapallur…”
Non ero pronto a questa risposta e sono rimasto imbambolato. Non saprei se in quest’occasione abbia capito che era lei quella giusta, o se è stato uno di tanti momenti simili, ma è un momento che è rimasto impresso a tutti e due, e la parola brúsapallur e l’oggetto che descrive hanno un significato speciale per noi. Ogni volta che andiamo dai suoi genitori, in fattoria, passiamo davanti al brúsapallur che hanno lasciato come testimonianza storico-culturale davanti a una fattoria dopo Seljalandsfoss, Sauðhúsvöllur, e ci ricordiamo di quella prima volta che ci siamo parlati. Se vi capita di passare (e se andate verso Vík dovete farlo per forza), fermatevi a contemplare questo pezzo del passato islandese.
Rispondi