Ho già raccontato svariate volte di come, tra le tante cose che apprezzo dell’Islanda, è la generalizzata informalità nei rapporti umani. Ci si chiama tutti per nome di battesimo, e ci si dà tutti del tu. Fin da quando ho iniziato a frequentare le scuole medie, invece, mi si è insegnato a dare del Lei. Un formalismo che ho sempre detestato, anche se ne ho sempre rispettato l’uso in una società dove per la maggior parte se ne fa uso. Ho detto dunque che in Islandese non sussiste un uso di pronomi onorifici come il Lei italiano, ma non è sempre stato così. Vediamone la storia:
L’Islandese antico distingueva singolare, plurale e duale nella prima e nella seconda persona dei pronomi personali. In altre parole, oltre a io/noi e tu/voi aveva anche un pronome specifico per dire noi due e voi due.
È un residuo arcaico della distinzione tripartita indoeuropea, ovvero di quella quella protolingua, l’indoeuropeo, che costituisce la radice di gran parte delle lingue attuali di Europa e Asia (italiano, inglese, russo, lituano, persiano, indiano…). Take lingue distingueva appunto tre numeri: singolare, plurale e duale. Il duale è stato tendenzialmente eroso ed eliminato: mentre lo troviamo drasticamente ridotto in greco antico, era già scomparso in latino tranne che in alcune forme fossili come ambo e duo, che si comportano in modo apparentemente strano grammaticalmente, per via del fatto che han mantenuto una flessione persa altrove.
In Islandese antico sopravvive soltanto nei pronomi menzionati:
ek; io — vit; noi due — vér; noi
þú; tu — þit; voi due — þér voi
Come accade nei pronomi italiani, anche quelli islandesi sono flessi a seconda del ruolo sintattico, ovvero se segnalano soggetto, oggetto, complemento di termine o di specificazione: io, me, mi, mio; tu, te, ti, tuo; noi, noi, a noi, nostro etc. In islandese antico erano così (nell’ordine nominativo/soggetto, accusativo/oggetto, dativo/complementodi termine, genitivo/compl. di specificazione):
- 1^ pers. sing.: ek mik mér mín
- 1^ pers. duale: vit okkr okkr okkar
- 1^ persona pl.: vér oss oss várr
- 2^ pers. sing.: þú þik þér þín
- 2^ pers. duale: þit ykkr ykkr ykkar
- 2^ pers. pl.: þér yðr yðr yðvar
Non è così astruso come sembra: il duale prende gli stessi verbi del plurale (non esiste la coniugazione al duale bei verbi antico-islandesi, per cui si tratta soltanto di imparare a riconoscere “noi due”/“voi due”. Nelle saghe medievali islandesi, il þér è già usato anche come forma di cortesia, e traduce letteralmente il nostro arcaico “voi”.
Tra il ‘600 e il ‘700, però, assistiamo alla progressiva espansione dell’antico duale, che viene sempre più usato in luogo dell’antico plurale, con quest’ultimo che viene invece relegato a “voi” di cortesia e a “noi” onorifico.
In Islandese moderno la situazione è questa:
- 1^ pers. sing.: ég mig mér mín
- 1^ pers. pl.: við okkur okkur okkar
- 2^ pers. sing.: þú þig þér þín
- 2^ pers. pl: þið ykkur ykkur ykkar
L’antico plurale rimane alla seconda persona per dare del “voi”, e in luogo del við per occasioni formali come il linguaggio ecclesiastico o per i discorsi alla nazione, ma nella vita quotidiana non si sente più. La sua forma attuale è questa:
- 1^ persona pl.: vér oss oss várr
- 2^ pers. pl.: þér yður yður yðar
Una forma onorifica di plurale sopravvive nel saluto, che al singolare è sæll e al femminile sæl, ma che ha volte si sente ancora dire sælir “(siate) felici” al maschile plurale, anche se ci si rivolge a una persona sola. Anche questa forma è però relativamente rara.
Non mi piace perché richiede uno sforzo, perché mette una barriera tra le persone, e soprattutto perché ritengo che fallisca miseramente nell’obbiettivo per il quale viene impiegato: istillare rispetto. In Islanda ci si dà tutti del tu, eppure non ho mai visto le liti e gli insulti osceni che costellano i palinsesti televisivi italiani, o le sezioni commenti di Facebook, dove tra italiani ci si dà spesso del lei anche nel momento in cui ci si sta mandando calorosamente in quel posto. In Islanda ci si darà anche tutti del tu, ma insulti e stracci che volano non ne ho mai visti, segno evidente che non sono i Lei con la L maiuscola a fare la differenza.
Mi arrivano spesso mail rigonfie di salamelecchi e tracimanti espressione formulaiche, formalismi e altre pesantezze del genere. Faccio fatica a leggerle e mi viene voglia di cestinarle. Non lo faccio mai perché so che sono animate dalle migliori intenzioni: purtroppo quello fissato con i protocolli capita sempre di trovarlo, per cui è preferibile partire sempre con la massima formalità e poi andare a scalare. Una volta ho mancato però di seguire questo approccio, è stato nelle mie ultime vacanze in Italia: sono entrato in un museo di un’importante città, e ho esordito salutando il signore alla biglietteria con un caloroso e sentito «Ciao!». Non ci ho pensato, mi è uscito spontaneo e naturale. Questo, guardandomi in cagnesco e appollaiato come un Gollum mi ha risposto secco «Salve».
A parte il fatto che, secondo il galateo, salve è preferibile non usarlo mai, ho sentito le vibrazioni di acidità e antipatia trapassarmi. Per carità, a suo modo di vedere magari io mi ero posto con mancanza di rispetto, ed ero nel torto io, però faccio davvero fatica a capire come possa esserci racchiusa mancanza di rispetto in un saluto o in un pronome, specialmente quando il mio tono di voce, il mio sorriso è il mio linguaggio del corpo indicavano chiaramente cordialità spontanea. In quel salve piccato, invece, era racchiuso un (secondo me immotivato) risentimento per il mio essermi posto con amichevole cordialità, la quale non deve essere per forza riservata ai rapporti intimi. Si può anche essere figure pubbliche in occasioni ufficiali e mostrare un po’ di calore umano. Ormai lo fanno anche i reali, diamine!
La cosa strana è che spesso, appena rispondo ad approcci formali in modo spontaneo, cordiale e senza fronzoli, avviene una distensione anche dall’altra parte e poi arriva la richiesta “ci diamo del tu?”. Chiaramente anche a chi usa naturalmente e spontaneamente questi formalismi, essi finiscono con l’apparire desueti o innaturali. A me verrebbe da chiedere dunque: ma non possiamo eliminare il preambolo/teatrino e darci del “tu” direttamente?
Ho sempre mal sopportato, ad esempio, il fatto di dover passare un pomeriggio intero per scrivere una mail a un professore, quando ero studente, profondendomi in elaborati ossequi e presentando le mie sentire scusa per il disturbo arrecato Loro (rigorosamente con una pedantissima L maiuscola!). Sono una persona pratica, e comunicare per mezzo di piaggerie mi risulta estremamente fastidioso!
Trovo il lei anche antipatico perché spesso ci si fa ricorso nelle conversazioni e nei dibattiti quando uno non sa più che cosa dire: “intanto inizi a darmi del lei che non sono sua sorella/suo fratello!”. Insomma, non mi piace affatto. A parte
Voi invece cosa ne pensate? Siete ancora legati alle forme di cortesia oppure, come me, le ritenete poco utili ed efficaci? Fatemelo sapere nei commenti! Mi interessa soprattutto vedere se ci sia uno scarto generazionale e se il sentimento generale sia mutato!
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