Cos’hanno in comune il Decameron di Boccaccio e l’Islanda?

L’Islanda è terra di leggende, racconti, fiabe, saghe e romanzi. Mi sono imbattuto in un racconto popolare del folclore islandese incluso nella monumentale raccolta ottocentesca di Racconti popolari e fiabe islandesi (Íslenzkar þjóðsögur og ævintýri) di Jón Árnason, e questo racconto costituisce un ponte culturale tra la Terra di Ghiaccio e il nostro Bel Paese. In particolare, credo di aver individuato una traccia della conoscenza del Decameron nella memoria di un racconto popolare islandese incentrato sul monastero femminile di Kirkjubæjarklaustur, nel sud-est dell’Islanda, fondato nel 1186, e dissolto dopo il 1550, a seguito della riforma luterana.

Il Decameron, se le vostre memorie dalla scuola vi tradiscono, è una raccolta di 100 novelle di argomento vario, composta intorno al 1350 da Giovanni Boccaccio. Le novelle sono incastonate su una cornice narrativa nella quale un gruppo di 7 ragazze e 3 ragazzi sfuggono alla peste che imperversa a Firenze trascorrendo dieci giorni in campagna. Ogni giorno, per passare il tempo, eleggono uno di loro come re o regina della giornata, attribuendogli il compito di scegliere un argomento intorno al quale ognuno di loro svilupperà una storia. Dieci persone per dieci giorni producono cento novelle. Ma facciamo un passo indietro:

Per sondare questo collegamento improbabile tra una raccolta di novelle italiana del ‘300 e un racconto popolare islandese ambientato in una delle aree più isolate del Paese, apriamo il secondo volume della raccolta di fiabe di Jón Árnason, e leggiamo:

Un’altra volta [ci sono più racconti sulla vita di suore e monaci n.d.t.], l’abate [del monastero di Þykkvibær], assieme a uno o più monaci visitarono di notte Kirkjubær. Non si sa dove l’abate dormì quella notte, ma si dice che la badessa si recò a curiosare con un lume, nel cuore della notte, per sincerarsi della condotta delle suore. Giunta in una cella si trovò davanti un monaco e una suora che dormivano insieme. La badessa stava per rimproverare la suora, ma la suora notò il copricapo della badessa e disse: “Cosa indossa, buona madre?”. La badessa si rese conto di essersi messa in testa le braghe dell’abate [con il quale aveva trascorso la notte], si ammansì subito e disse, mentre si allontanava: “Siamo tutti peccatori, sorelle!”
Kirkjubæjarklaustur oggi.

La novella II della IX giornata del Decameron racconta appunto la storia di una bella e giovane suora, Isabetta, che si intratteneva regolarmente con un giovane conosciuto in occasione della visita di un parente, che aveva il giovane al seguito. Scoperta la tresca, le sorelle decidono di farla cogliere in flagrante adulterio dalla badessa, madonna Usimbalda, e corrono ad avvisarla: — Su, madonna, levatevi tosto, che noi abbiam trovato che l’Isabetta ha un giovane nella cella.

Madonna Usimbalda, però, quella notte era in cella con un prete, e nella fretta di vestirsi, al buio, si era infilata le brache dell’uomo sulla testa. Le suore non notarono nulla fino a quando la povera Isabetta, colta in fragrante e umiliata e rimproverata, notò il copricapo della madre superiora, e intuì subito cosa ci fosse dietro.

Allora la giovane un’altra volta disse: — Madonna, io vi priego che voi v’annodiate la cuffia; poi dite a me ciò che vi piace. — Laonde molte delle monache levarono il viso al capo della badessa, ed ella similmente ponendovisi le mani, s’accorsero perché l’Isabetta cosí diceva; di che la badessa, avvedutasi del suo medesimo fallo e veggendo che da tutte veduto era né aveva ricoperta, mutò sermone, ed in tutta altra guisa che fatto non aveva, cominciò a parlare, e conchiudendo venne, impossibile essere il potersi dagli stimoli della carne difendere: e per ciò chetamente, come infino a quel dí fatto s’era, disse che ciascuna si desse buon tempo quando potesse.

Si tratta di una storia con un tema classico, ovvero l’ipocrisia del clero. La letteratura medievale, contrariamente a quanto crediamo, abbonda di riferimenti sessuali, e il medioevo fu un’epoca in cui la sessualità si viveva e si discuteva in modo assai più libero rispetto all’età moderna, con il giro di vite morale imposto dalla riforma protestante e dalla (contro)riforma cattolica. Il Decameron fu messo all’indice solo nella seconda metà del Cinquecento. Interessante notare come i racconti sulla condotta sessuale ipocrita del clero nel medioevo abbiano un tono di scherno, goliardico, e non di denuncia. Questa è la prova più lampante di come nemmeno la Chiesa fosse tutto sommato troppo severa nell’imporre una condotta sessuale morigerata. Se così fosse stato, se la Chiesa avesse usato misure oppressive e vessanti per controllare la sessualità delle persone, episodi di ipocrisia come questo verrebbero rappresentati con tono di denuncia o di invettiva. C’era invece reciproca tolleranza per le intemperanze.

Tornando al tema centrale dell’articolo, la somiglianza tra i due racconti è troppa perché si tratti di una coincidenza, e bisogna considerare che il Decameron godette di un enorme successo in tutta Europa (altra cosa che spesso non sappiamo, riguardo al Medioevo, è che sia la chiesa sia gli intellettuali laici fossero piuttosto internazionali, parlassero diverse lingue e partecipassero a una cultura comune, o quantomeno a una costellazione di culture strettamente interrelate). Ma esiste anche un retroterra italiano più antico del Decameron, dal quale alcuni motivi letterari potrebbero essere penetrati in Islanda.

Jón Halldórsson (ca. 1275–1339), un norvegese — forse di madre islandese — fu vescovo d’Islanda a Skálholt, studiò a Parigi e diritto canonico a Bologna alla fine del ‘200, e fu uno dei migliori latinisti del suo tempo. A lui sono attribuiti una serie di exempla ovvero racconti didascalici con intento morale. Una saga cavalleresca, Klári saga, riporta, nella sua introduzione, di essere basata su un testo latino nel quale Jón si sarebbe imbattuto in Francia, mentre in un’altra saga, Lárentius saga, Jón emerge come un grande collezionista di storie. Una sorta di biografia succinta del vescovo, Söguþáttur Jóns Halldórssonar biskups, cita uno di questi exempla, che il vescovo avrebbe raccontato come un fatto reale avvenuto al tempo dei suoi studi a Bologna, narra di uno studente inglese suo conoscente che gli raccontò, passando davanti a un leone marmoreo, di aver sognato che la testa della statua gli mordeva la mano. Avendo poi messo la mano nella bocca del leone per scherzo, sarebbe morto perché morso da una vipera che vi si era nascosto dentro. Mezzo secolo dopo la permanenza di Jón a Bologna, nel 1343, Petrarca compose una raccolta di episodi storici e aneddoti con insegnamenti morali, in latino, detta Rerum memorandum libri (Libri di cose da ricordare), e riporta un episodio identico. Dal momento che Petrarca non può aver preso l’episodio dal racconto in antico islandese del vescovo, è ragionevole pensare (come suggerisce Alexander H. Krappe, 1942, Scandinavian studies 17, p. 32) che i due abbiano preso il modello da un originale latino che circolava in Italia già da tempo. Anche i racconti del Decameron non furono certo tutti composti ex novo da Boccaccio, e molto del materiale da lui usato circolava già in forma scritta o orale da molto tempo, materiale che fu recepito e riutilizzato da autori provenienti da varie parti d’Europa, i quali si recavano a Bologna per studiare alla sua prestigiosa università (Alexander H. Krappe, 1946, Scandinavian studies 19, p. 109).

Parallelismi di temi si trovano anche tra il Decameron e la Grettis saga Ásmundarsonar, una delle più famose e letterariamente riuscite. Nella novella di Masetto da Lamporecchio (la I della III giornata), Masetto si finge muto e lavora come ortolano per un convento. Una giovane suora si mette a confessare le sue fantasie sessuali ad un’amica, la quale dapprima è restia, ma quando l’altra consuma, finisce per approfittarsi anche lei dell’ortolano; e pian piano tutte le sorelle si concedono quel piacere. Un giorno anche la madre superiora, trovando Masetto che dormiva, con il vento che gli aveva spostato i vestiti, non resiste al richiamo degli istinti. Nella saga, Grettir si fa sette chilometri a nuoto da un’isola nello Skagafjörður, Drangey, e si ferma a riposare a Reykir. Si addormenta in una stanza molto calda, e viene trovato addormentato — nudo — da due ragazze, una delle quali inizia a fare discorsi poco pudici all’altra, con apprezzamenti (per la verità inizialmente non lusinghieri) sulle “doti” di Grettir, il quale — per tutta risposta — finisce per soddisfare a pieno la ragazza. Robert J. Glendinning (1949, Mosaic, p. 59) evidenzia come i due testi abbiano in comune diversi motivi: l’uomo che dorme, i vestiti che cadono, due donne che fanno discorsi lussuriosi, e la soddisfazione finale. Se è impossibile provare che il modello per l’episodio della saga fosse proprio Boccaccio, abbastanza sicuro è che entrambi gli episodi attingano da qualche fonte comune, così che il genere dalla saga e la novella continentale convergerebbero in qualche modo nella saga di Grettir, a dimostrazione ulteriore della molteplicità e multidrezionalità delle influenze culturali nel mondo medievale europeo, e alla faccia dei nazisti che vi cercavano un paradiso puro e incorrotto di suggestioni esclusivamente e genuinamente germanico-nordiche, o di chi la rappresenta, ancora oggi, come un luogo assolutamente esotico e avulso dalla realtà culturale europea, fatto esclusivamente di rune, martelli di Thor, elfi, elmi cornuti e pulcinella di mare.

Un manoscritto seicentesco della Saga di Grettir, con un’illustrazione che raffigura il protagonista in tenuta da età moderna.

Il fatto che il racconto popolare delle suore islandesi sia sopravvissuto nella tradizione orale fino all’Ottocento, quando fu raccolto da Jón Árnason, potrebbe indicare una certa tolleranza (se non addirittura promozione propagandistica) per esempi di condotta incresciosa da parte del clero cattolico nei secoli dopo la riforma. È bello pensare che un islandese di qualche secolo fa avesse letto il Decameron o lo avesse sentito raccontare e avesse poi reinterpretato questa storia creandone una trasposizione ambientata in quel di Kirkjubæjarklaustur.

5 risposte a “Cos’hanno in comune il Decameron di Boccaccio e l’Islanda?”

  1. Avatar Alessandra Mantovanelli
    Alessandra Mantovanelli

    Articolo interessante!

  2. Molto interessante e molto ben scritto

  3. Quanto viaggia(va)no queste novelle…

  4. Erano le leggende di allora, che poi tanto leggende non erano.
    Quanti Papi, Vescovi e Monsignori avevano figli, amanti e compagnia bella?

  5. […] Jón Halldórsson (1275–1339), invece, studio diritto canonico a Bologna, alla fine del ‘200, e portò in Islanda alcuni racconti popolari italiani. Uno di questi lo ritroviamo, nel secolo successivo, in una raccolta di Petrarca. È stato dunque […]

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