Vestmannaeyjar

Ho passato alcuni giorni speciali. Mi hanno contattato per una particina in una produzione cinematografica, e sono stato invitato a trascorrere alcuni giorni nelle Vestmannaeyjar. Avevo già visitato l’arcipelago nel 2016, e in quell’occasione avevo visitato il museo Eldheimar fatto un giro in barca verso le isole minori e i faraglioni. Questa volta ho deciso di cimentarmi in qualche bella camminata ed esplorare l’isola principale, Heimaey, in modo più approfondito.

Le Vestmannaeyjar sono un arcipelago di origine vulcanica, e sono disposte lungo un sistema dalla forma di un arco che va dal nord-est al sud-ovest, e che include circa 80 vulcani. Le isole si sono formate principalmente una decina di migliaia di anni fa, ma l’attività vulcanica continua, e l’ultima isola, Surtsey, è emersa dalle acque solo negli anni ‘60 del ‘900! Le isole emergono con eruzioni sottomarine, e vengono poi modellate dall’erosione delle onde.

Secondo le fonti medievali, il primo colono islandese permanente, Ingólfur Arnarson, che avrebbe fondato Reykjavík, sarebbe giunto in Islanda intorno all’anno 870, assieme al fratello giurato, Hjörleifur, entrambi coi rispettivi equipaggi. Ingólfur approdò nel sud-est, a Ingólfshöfði, un promontorio che si trova a sud di Skaftafell, mentre il fratello giurato fu spinto più a ovest, fino all’attuale Hjörleifshöfði, un promontorio oggi nell’entroterra, poco dopo Vík. Qui i suoi servi irlandesi lo uccisero e fuggirono in un arcipelago al largo della costa. Quando Ingólfur apprese l’accaduto, inseguì gli irlandesi sulle isole e li sorprese mentre mangiavano. Li uccise tutti. Alcuni di loro però si gettarono nel mare per sfuggire. Da allora le isole si chiamano Vestmannaeyjar “Isole degli irlandesi”, che i norreni chiamavano anche Vestmenn, ovvero “Uomini dell’ovest”, perché l’Irlanda si trova a ovest rispetto alla Norvegia.

La realtà archeologica però racconta una storia diversa da quella delle fonti medievali: scavi archeologici hanno portato alla luce resti di abitazioni risalenti all’800 d.C, ovvero quasi un secolo prima la supposta vicenda degli schiavi irlandesi. Nella valle di Herjólfsdalur, dove ogni anno si tiene il famoso festival musicale Þjóðhátíð, si trova la ricostruzione di una casa del periodo, dalla parte opposta della strada rispetto allo scavo archeologico.

La storia delle isole è ricca di eventi interessanti: nel 1627, circa 250 isolani (la metà del totale) furono rapiti e ridotti in schiavitù da un’incursione di pirati musulmani, principalmente nord-africani, ma anche europei. L’invasione è conosciuta in islandese come Tyrkjaránið “l’incursione dei turchi”, per il fatto che gran parte del mondo musulmano in Nord-Africa e Asia Sud-Occidentale fosse in mano all’Impero Ottomano. Una delle vittime del rapimento, il reverendo Ólafur Egilsson, riuscì a tornare in patria dopo qualche anno, e compose un memoriale degli eventi che è tuttora tradotto e pubblicato in numerose lingue. Per conoscere questa storia consiglio di visitare il museo di storia locale, Sagnheimar:

Soltanto un’isola di questo arcipelago è abitata, le altre sono ormai erose dal mare e consistono in larghi faraglioni, sulla cima dei quali si trovano casette che fungo o da alloggio per i cacciatori che nei periodi estivi si arrampicano per cacciare uccelli. Le isole vivono soprattutto di pesca, e l’unico insediamento, sull’isola principale è una fiorente cittadina di 4500 abitanti. Stupisce molto il visitatore, constatare la dimensione del centro abitato, che occupa quasi tutta l’isola, e viene da chiedersi per quale motivo tutta questa gente si sia ammassata su un’isola così piccola. La risposta è che, prima del turismo di massa in Islanda, l’economia nazionale si reggeva sulla pesca, e il porto più importante per l’industria era appunto qui.

Ci sono due coni vulcanici su Heimaey: Helgafell, vecchio di 6000 anni e alto circa 230 metri, e Eldfell emerso nel 1973. La sua colata ha raggiunto e distrutto alcune case, ma è stata fermata con possenti pompe che hanno raffreddato la lava con acqua di mare. La popolazione era stata evacuata prontamente perché, per miracolo, il giorno precedente il tempo era stato brutto e tutti i pescherecci erano fermi in porto e pronti all’uso. La colata ha causato un’espansione della superficie dell’isola ben visibile a occhio nudo per il fatto che la roccia lavica, con le sue forme caratteristiche da “crema” densa, si distingue dal terreno più antico ormai erboso.

La salita è impervia e resa difficile dal terreno sdrucciolevole, ma non è molto lunga, e la vista ripaga abbondantemente lo sforzo. Da qui si gode di una vista completa dell’arcipelago, e nelle belle giornate si vede benissimo il colossale ghiacciaio Eyjafjallajökull, a nord.

Per approfondire la storia dell’isola legata ai vulcani, e conoscere la geologia dell’arcipelago, consiglio molto caldamente di visitare il museo di Eldheimar: è costruito intorno ad una casa che è stata scavata dalla colata del ‘73, ed è estremamente moderno ed interattivo.

A sud dell’isola si trova il promontorio di Stórhöfði “Capo grande”, dove si trovano (fino alla prima metà di agosto) il grosso delle colonie di pulcinella di mare che trascorrono l’estate sull’isola, che in totale arrivano a 8 milioni di esemplari. Da qui si gode di una bellissima vista sulle isole più a sud: Suðurey, Álsey, Brandur, Hellisey, e gli scogli di Sulnasker e Geldungur, nonché l’inaccessibile isola di Surtsey, sulla quale possono approdare solo gli scienziati che ne studiano l’ecosistema.

Su queste isole minori si trovano dei rifugi, e compaiono spesso in foto un po’ pacchiane che circolano in rete e parlano della “casa più isolata del mondo”. In realtà questi ripari sono usati dagli isolani per pernottare nei periodi di raccolta delle uova o di caccia agli uccelli (la fratercula, o “pulcinella di mare”, è una parte importante della dieta locale, e le Vestmannaeyjar sono uno dei pochi luoghi in Islanda dove questo uccello riveste un ruolo culturale significativo).

A ovest dell’abitato, si trovano dei rilievi che possono essere scalati con delle salite piuttosto ripide e a tratti scivolose, anche partendo da Herjólfsdalur. Un punto di osservazione speciale è Háhá, il cui none significa “Alto alto”. La vista da qui è mozzafiato.

Qui abbiamo visto qualche pulcinella di mare. A fine agosto, quando questi uccelli lasciano l’Islanda per svernare in mare aperto, capita che alcuni esemplari giovani prendano male le misure al loro primo balzo e finiscano a terra, non riuscendo più a spiccare il volo. I bambini del luogo lì raccolgono e li vendono ai turisti che Pagani per il piacere di tenerne uno in mano prima di spingerlo in aria per aiutarlo a volare via.

A sud dei dirupi che circondano la valle di Herjólfsdalur, si trova uno scoglio dalla forma strana che si tuffa nel mare: Halldórsskora, conosciuto anche come Fíllinn, “l’Elefante”.

Da qui si possono vedere, al largo, le Smáeyjar “Isole piccole”: Hæna, Hani e Hrauney (Gallina, Gallo e Isola Campolavico”.

La cittadina, Vestmannaeyjarbær, è davvero graziosa e ordinata, e merita essa stessa una bella passeggiata per le sue stradine, e per visitarne i musei o provarne i locali e i ristoranti.

Per accedere all’isola, si può prendere il traghetto da Landeyjahöfn, sulla terraferma. Il prezzo a persona è di 1600 ISK a persona (poco più di dieci euro), mentre per le macchine è di 3000. Consiglio di avere la macchina perché nonostante l’isola sia piccola, le distanze da percorrere tra un angolo e l’altro sono abbastanza lunghe e possono essere tortuose.

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