Islanda: felicità e suicidi?

Due idee che sembrano non collimare emergono spesso, nei discorsi sui Paesi nordici:

1. Da un lato, sono sempre in vetta alle classifiche sulla felicità e sulla soddisfazione personale.

2. Dall’alto (così crediamo), sono piagati dai suicidi.

Solitamente, forse con una punta di invidia, la questione dei suicidi viene citata per screditare qualsiasi altro aspetto positivo che emerge da questi Paesi: la Danimarca è in fondo alla lista mondiale per la corruzione? Eh ma la gente si suicida. La Finlandia ha il sistema scolastico più all’avanguardia del mondo? Eh ma la gente si suicida. L’Islanda ha il tasso di criminalità più basso d’Europa? Eh ma la gente si suicida. Le strade sono più pulite e la gente è più civile? Eh ma poi si suicida.

Metto subito le mani avanti: mai e poi mai ho fatto classifiche, e mai ne farò, per suggerire che un Paese sia migliore di un altro. Lo ripeto continuamente e l’ho pure scritto nel mio libro. Ogni Paese può essere più o meno confacente a persone specifiche, e ciò dipende dai valori e dalle priorità di quelle persone. Inoltre, parlo continuamente dei problemi che affliggono l’Islanda, sociali, politici ed economici, e non mi si può certo accusare di voler spingere una narrazione falsata o imparziale. Questo articolo non vuole essere un modo per suggerire che un Paese è migliore di un altro, ma vuole mettere in chiaro una questione molto importante, sfatando un mito che gode di ampia diffusione.

Noi italiani (come tanti altri) soffriamo di scarsa autostima, e abbiamo la percezione che Paesi più a nord di noi ci considerino inferiori. Questo forse è più una proiezione nostra dovuta a quanto succede nei nostri confini, piuttosto che una realtà oggettiva, ma ha comunque l’effetto di farci sentire in bisogno di trovare qualche pretesto per denigrare chi (a torto o a ragione) sembra uscirne meglio di noi in qualche paragone.

Con la crisi economica del 2011, questa insicurezza è stata esacerbata, ma anziché contrastare con i fatti le accuse di cattiva responsabilità degli italiani provenienti da Paesi più a nord, si è passati ai miti e alle sciocchezze, questo perché informarsi è difficile, mentre aggrapparsi agli stereotipi è facile. Per esempio, si potrebbe far notare che l’Italia ha uno dei debiti privati più bassi al mondo, perché gli italiani sono un popolo parsimonioso, in contrasto con gli scandinavi che hanno un debito privato altissimo e sono spendaccioni, infatti fanno debiti per pagarsi gli sfizi (l’esatto contrario del mito, anch’esso indistruttibile, dell’etica protestante nordica di austerità e duro lavoro). Si potrebbe dire che il debito pubblico italiano è dovuto a soggetti nazionali, non a stranieri, come il debito islandese che ha portato al collasso della nazione nel 2008 quando la moneta locale è crollata e Paesi Bassi e Regno Unito hanno messo l’Islanda nella lista dei Paesi terroristi per bloccarne i capitali tenuti nelle loro banche. Oppure che le banche italiane non sono state toccate direttamente dal collasso del 2008, perché non avevano seguito il comportamento criminale delle banche americane (o islandesi), e che la crisi è arrivata in Italia più tardi, come conseguenza della situazione esterna. Tutte queste cose sarebbe bello saperle e citarle, e invece si preferisce dire “eh ma al nord si suicidano, noi abbiamo il sole e mangiamo meglio”.

Se siete interessati, per proteggere la vostra autostima, a trovare reali argomenti per criticare il Nord, informatevi nelle sedi appropriate, ma non utilizzate i sori stereotipi triti e ritriti.

Ho già discusso la questione buio e depressione in questo articolo, per cui non la esplorerò di nuovo, ma vorrei aggiungere che Dóra Guðrún Guðmundsdóttir, una psicologa esperta nello studio della felicità e della soddisfazione di vita, che lavora per il direttorati islandese per la salute e studia la felicità da 20 anni, ha spiegato come siano stati isolati i fattori più impattanti che riguardano la felicità. Tra questi ci sono le reti relazionali (essere inseriti in un contesto sociale ricco e significativo), la consapevolezza del presente (rispetto allo stressarsi sempre sul futuro), il movimento (che deve essere qualcosa che piace, e non uno sport a caso tanto per fare), l’apprendimento (che purtroppo in Italia è visto ancora come qualcosa da ragazzi, mentre in Islanda è pieno di professionisti affermati che decidono di prendere seconde lauree — io tra gli alunni ho avuto un veterinario, una negoziante, una commercialista, una cantante, un professore universitario di diritto…),e il donare (le persone che donano sono più felici di quelle che prendono). La psicologa spiegava anche che non si registrano cali di felicità nei mesi invernali, e che gli ostacoli della vita possono addirittura favorire la felicità, se affrontari nel modo giusto. Ho ripetuto alla nausea che è stupido dire “a me verrebbe la depressione”, intanto perché la depressione è una malattia che non viene scatenata da un singolo fattore, ma poi quello che si intende è che verrebbe tristezza a non avere tanta luce o non uscire, e questo può essere vero soltanto se uno vive passivamente la sfida dell’inverno. Gli islandesi si attivano e creano situazione sociali e di condivisione che rendono l’inverno una stagione bellissima.

Ricordiamo anche che l’Islanda ha livelli notoriamente bassi di quello che viene definito disturbo affettivo stagionale, o “depressione stagionale”, condizione che può verificarsi anche in estate. Esso è comunque stato eliminato dal manuale ufficiale di diagnostica DSM-5 come malattia, ed è considerato come una variante della depressione maggiore con andamento stagionale, ma non più come qualcosa di scatenato primariamente dalla stagione.

Spesso si cita l’alto utilizzo di antidepressivi come argomento che dovrebbe far vacillare la nozione per cui l’Islanda è un Paese felice. Anche questo è indicativo di come molti si aggrappano alla prima cosa che trovano la quale sembra confermare il loro pregiudizio, senza premurarsi di verificare che sia davvero così: l’uso basso di antidepressivi potrebbe indicare una scarsa sensibilità al problema, o un tabù culturale contro gli psicofarmaci (che sappiamo tutti essere effettivamente molto forte, in Italia), mentre quello elevato potrebbe essere spiegato con il fatto che il supporto psicologico è troppo costoso e, in alcuni casi, un medico di base può ritenere il farmaco una scorciatoia più praticabile. Il dato del consumo, però non dice nulla, di per sé, sulla situazione che vi sta dietro.

Non serve che andiate a cercare qualche video di YouTube dove è intervistato l’uomo più solitario d’Islanda che racconta del suicidio di suo figlio, o una singola islandese che sostiene di non amare l’inverno locale, o un contadino socialmente inetto. Queste sono prove soltanto per analfabeti funzionali: confermano la propria visione del mondo, ci rassicurano sul nostro pregiudizio per cui si sta meglio dove c’è il sole e siamo fortunati ad avercelo, mentre questi Paesi arroganti che credono di essere migliori di noi sono posti terribili dove la gente si uccide, ed è finita lì. In realtà si dovrebbe avere la maturità per distinguere tra la propria percezione e i grandi numeri. Avere incontrato un paio di napoletani freddi e antipatici, non dovrebbe portarci a trarre delle conclusioni negative sui napoletani in generale. E difatti ciò non succede, di solito, perché l’idea preconcetta che abbiamo sui Napoletani è di persone accoglienti ed espansive. Se però incontriamo due nordici freddi, ecco che la nostra esperienza va a confermare un preconcetto e quindi diventa la prova lampante che il preconcetto è corretto. Non cadete in questo errore.

E ora parliamo di suicidi. Il suicidio in sé può essere dovuto a tanti fattori, spesso personali, talvolta sociali. In Italia è abbastanza diffuso che giovani ragazzi cedano alla pressione sociale che porta a massimizzare i risultati negli studi, mentendo sui progressi accademici per poi suicidarsi a ridosso della festa di laurea. Questo in Islanda non succede mai perche questa pressione sociale e familiare sulla carriera non è così forte. Realtà diverse presentano circostanze diverse che possono risultare in un suicidio. Ridurre tutto a fattori geografici è semplicemente ridicolo.

Una premessa importante da fare, è che l’Islanda non è un facile paragone statistico, perché per la legge dei numeri grandi e piccoli, basta un suicidio in più per far schizzare il Paese in alto di qualche posizioni, mentre l’Italia, avendo una popolazione enorme, necessità di centinaia di suicidi in più, per salire. Guardiamo questi numeri:

Dal gennaio 2021 la Fondazione onlus BRF (Brain Research Fondazione) ha aperto un Osservatorio Suicidi permanente capace di monitorare, in base ad un’attenta analisi delle notizie di cronaca (locali e nazionali), gli atti suicidari tentati e quelli tragicamente conclusi in Italia.

Secondo la fondazione, in Italia ci sono circa 4000 suicidi all’anno.

Secondo l’istituto nazionale di statistica islandese, i suicidi annuali in Islanda sono 38.

Regge la storia della gente che si uccide per colpa della depressione causata dal buio e dal freddo?

A guardare i dati della BRF no: a maggio 2022 ci sono stati 66 suicidi, ad agosto 55, così come a dicembre. A gennaio 34. Per due terzi dell’anno, ci sono più suicidi al Sud Italia che al nord. Novembre 2022: 24 al nord e 36 al sud — e ricordiamo che il nord è molto più popoloso del sud! Dicembre 2022: 14 al nord, 19 al centro, 22 al sud. Da gennaio a maggio, sono più elevati i suicidi al sud, e nei mesi estivi (settembre escluso) aumentano al nord… di certo la gente non si suicida per la nebbia.

Questi i dati 2021 (quelli del 2022 non sono ancora arrivati, mentre sto scrivendo) sui suicidi in Islanda:

Osserviamo un tasso di 10,2 x 100.000 abitanti per l’Islanda. Per l’Italia ci sono dati contrastanti. I resoconti statistici arrivano tardi, non sono sempre tutti uguali, a seconda della fonte che si consulta, e sono dunque qualitativamente scarsi. Perché si possano fare paragoni seri, bisognerebbe avere una raccolta dati standardizzata e per lo stesso periodo. Così non è ma, come si dice nella scienza, bisogna fare un uso buono dei dati cattivi: L’ISTAT è fermo al 2019, e la BRF non fornisce questa informazione, anzi si contraddice apparentemente dicendo che ci sono 4000 suicidi all’anno in Italia, per poi conteggiarne solo qualche centinaio nell’anno passato. Negli anni addietro, l’Italia è comunque ondeggiata tra un 6 e un 8 x 100.000 abitanti. È una differenza non così significativa, seppur sensibile. Specialmente se si rapportano i numeri grezzi, e fissarsi sulle statistiche nella speranza che confermino un nostro pregiudizio su quanto siamo benedetti a vivere nel meridione d’Europa o furbi per aver scelto di farlo, ci fa perdere di vista altri gravi problemi:

Intanto in Italia, a differenza dell’Islanda, non esiste un piano nazionale per la prevenzione dei suicidi. Poi, visto come non esiste un database affidabile che riporti compiutamente le dimensioni del fenomeno, è possibile che molti casi passino inosservati o non siano conteggiati. E quei 4000 morti annuali è vergognoso che facciano cantare vittoria ad alcuni, consolati per il fatto che, se rapportati ai 60 Milioni di italiani, producono un numero più basso rispetto ai 38 suicidi islandesi rapportati alla popolazione di 370.000. Stiamo parlando di vite umane, non di armi da usare per denigrarci a vicenda. Questo la dice anche lunga sull’atteggiamento italiano rispetto alla malattia mentale e al suicidio: in Islanda il morbo celiaco è quasi inesistente… come vi sentireste se un islandese usasse l’alta incidenza di celiachia in Italia per suggerire che la dieta italiana è sbilanciata troppo verso i carboidrati, e dunque malsana, e che si è fortunati a non vivere in un posto dove si mangiano solo pasta, pane, pizza e brioche? Porre l’attenzione esclusivamente sul suicidio, decontestualizzandolo, oltre che essere stupido e immaturo, indica la presenza di un pregiudizio: perché con tutte le cose che si potrebbero scegliere per parlare negativamente di questi Paesi (ma abbiamo davvero bisogno di farlo?), si vanno sempre a pescare i suicidi? Non riusciamo proprio ad avere un minimo di umanità rispetto a questa grave tragedia umana? E i 4000 italiani che ne cadono vittima ogni anno? Ce li dimentichiamo perché troppo presi dall’usare i 38 suicidi annuali islandesi per far passare un’idea denigratoria sui Parsi nordici che abbiamo deciso essere fondamentale per la nostra autostima?

Non ho le competenze e le conoscenze per addentrarmi in una spiegazione sulle cause, ma faccio notare un elemento curioso: due terzi abbondanti dei suicidi sono uomini. Se fosse tutto semplice, ovvero se il fenomeno fosse ascrivibile a condizioni esterne sfavorevoli quanti a luce e tepore, ci aspetteremmo cifre simili tra uomini e donne, a meno che le donne posseggano una dimostrabile resistenza superiore al freddo e al buio, cosa improbabile. È chiaro dunque che le ragioni devono essere giocoforza molteplici, talvolta più personali, talvolta più sociali. Qualcuno cita la cultura della machismo, dell’uomo che deve tenersi dentro i sentimenti ed essere indipendente e prosuttivo, altrimenti non vale nulla e ha perso nella competizione riproduttiva con altri uomini, la quale è tristemente ancora presente negli inconsci collettivi di tanti, ma la verità è che sappiamo davvero poco sul retroterra di queste vicende, e forse non c’è nemmeno tanto da sapere: ci farebbe piacere scoprire una causa generale dei suicidi. La gente si ammazza in grandi numeri nel Paese X perché vi si trova il fattore Y, ma questo è un pio desiderio dei nostri limitati cervelli umani che cercano sempre spiegazioni semplici e rassicuranti al caos incomprensibile che ci circonda.

Se volete trarre una conclusione da questo discorso, al di là dei suicidi che, spero di aver dimostrato, sono una questione troppo complessa anche solo per essere toccata da chiunque di noi in modo casuale, che sia quella di non andare alla ricerca di dati effimeri o distorti semplicemente per confermare pregiudizi che per noi sono importanti perché alla base della nostra autostima. C’è tanto altro che possiamo usare per riequilibrare le cose quando sentiamo che altri ci stanno facendo un’ingiustizia. Non abbiamo bisogno di rispondere alle ingiustizie perpetrando e altre a nostra volta.

Questa storia del rapporto buio~depressione sta sfuggendo di mano. Ormai non è più nemmeno tanto una questione del tema in sé, ma è sfociata in una discussione sull’atteggiamento delle persone nei riguardi della scienza.

Faremmo tutti meglio a mettere da parte questa discussione sul fatto che l’oscurità causi o meno la depressione. Non possiamo provare nulla cercando su Google fino a quando non troviamo qualche ricerca che conferma la nostra opinione nell’uno o nell’altro senso. Nemmeno chi studia la questione per lavoro ha trovato una risposta definitiva.

Come già ribadito, non ha senso nemmeno cercare su Google e trovare statistiche casuali sulla prevalenza della depressione in Islanda, perché non provano nulla sul fatto che l’oscurità ne sia la causa. Quei numeri potrebbero anche riferirsi a persone depresse in estate. E non tutti questi risultati vengono da ricerche cliniche, ma sono per lo più sondaggi che non utilizzano nemmeno gli stesse criteri.

Invece di litigare per sostenere che viviamo in un Paese migliore in virtù del Sole, potremmo avere un’interessante discussione sulla salute mentale in generale, ad esempio esplorando come viene vista in Islanda o come funziona il sistema di assistenza sanitaria mentale, quali strategie adottano gli islandesi per sopravvivere all’inverno, e come fanno ad essere felici.

Se vivere nell’oscurità sembra strano e terrificante, che ne dite di affrontare la questione con curiosità invece che avere un atteggiamento giudicante? Che ne dite, invece di pensare “Non potrei mai vivere lì, mi deprimerei al buio e al freddo”, di fare domande come “Com’è la vita in Islanda quando è buio?”

6 risposte a “Islanda: felicità e suicidi?”

  1. Avatar Alberto Maria Onori
    Alberto Maria Onori

    Argomentazione impeccabile, dati inconfutabili e bene interpretati, referenze serie ampie e concrete, facilmente accessibili.
    Grazie. Un po’ lo sapevo, che quella dei suicidi era una bufala, un po’ l’immaginavo, adesso ne ho la certezza. Di nuovo grazie, Roberto.
    Finalmente la finiranno di sparare inesattezze e luoghi comuni sui suicidi in Nord Europa.

    Invece no.
    Invece chi ha scarsa autostima continuerà ad averla, chi ragiona per luoghi comuni continuerà a ragionare nello stesso modo, chi si prenderà la briga di leggere e capire sarà sempre una minoranza sparuta; tanto che mi chiedo quale spirito di sacrificio e di servizio ti conduca a perdere tempo e sprecare intelligenza a scrivere un piccolo, chiaro, documentato saggio sul tema. E ti rispondo.
    Lo fai, generosamente, soprattutto per chi (e mi ci metto anche io) è ansioso di sapere di più e meglio su una terra non facile, distante non tanto sul piano geografico quanto su quello della vulgata culturale comune, caratterizzata da aspetti differenti rispetto all’Italia e per questo motivo tanto più interessanti.
    E’ il terzo ‘grazie’ che ti invio, Roberto, e altri ne seguiranno.
    Con stima e gratitudine
    Alberto Maria Onori

  2. Da psichiatra ho letto con estremo interesse tutto ciò che hai scritto, e la prima cosa che ho fatto in Islanda dopo un giro nei caffè di Reykjavík è stato proprio osservare la gente e chiedere della salute mentale. E niente. Non ho sofferto per nulla il buio, anzi trovo molto più buia la Sicilia perché a differenza di Rey che quando scende la notte si riempie di luce qui non si usa e ce ne stiamo allo scuro, sperando in un sole esterno e non in uno interno. Come psichiatra seguo molti adolescenti che vogliono morire e fossero in Islanda sono certa che questo sentimento non lo avrebbero, perché viene dalla incertezza e non tanto da una questione di vitamine presenti nel sangue.
    E si, ho chiesto come funziona la salute mentale in Islanda e se c’è posto anche per me o se ce ne sarà in futuro un giorno. Io mi sono osservata, analizzata e sono stata bene lì e non solo perché ero in vacanza ma soprattutto perché ho silenziato il rumore esterno e la rabbia mi si è sciolta di dosso. Quindi grazie. Salverò questa tua. Grazie

    1. Bellissimo e prezioso commento il tuo! Spero di incontrarti qui, un domani!

  3. Ho apprezzato molto il tuo articolo, si vede che ci metti la passione.
    Anche se sono convinta che generalizzare sulle caratteristiche di una popolazione sia scorretto e infondato, credo che sotto sotto certi pregiudizi siano radicati, basati sull’educazione e le credenze trasmesse inconsciamente.
    Sappiamo che i tedeschi sono disciplinati e i francesi pieni di sé (esempi facili) ma diavolo! È assurdo anche solo come formulato!
    Devo diro che ho cominciato ad essere affascinata dall’Islanda leggendo i libri di Indridasson )sono appassionata di gialli) e devi ammettere che sono piuttosto cupi.
    Ma l’osservazione della psicologa che studia la felicità, che citavi all’inizio è molto interessante, cambia la prospettiva da cui guardare una situazione.
    Bon, mi sono dilungata troppo. Grazie per i tuoi articoli!
    Sonia

  4. Interessante il tuo commento sul suicidio! Mi ha indotto a vedere the statistiche della WHO sul suicidio nel mondo…Non sapevo che in Sud Corea e nella Federazione Russa ci sono tanti suicidi. In proporzione in Francia piu’ che in Italia. Io ho lavorato con colleghi provenienti dal Nord. dal Sud, dal Est, e dall’Ovest del mondo, inclusi Italiani. Sono anche stata in vari peasi del Nord inclusa l’Islanda, mi e’ sembrato che i Nordici sono piu’ introversi degli Italiani ma piu cortesi. Spesso gli Italiani si presentano come “i portatori della civilta’” e dunque appaiono piu’ pieni di se. Se non soffrono di autostima certamente non sono umili rispetto ad altre culture dalle quali forse potrebbero anche imparare qualchecosa…In Italia si mangia meglio, in Italia c’e’ il sole, l’Italia e’ la culla della civilta’ e bla bla bla …forse e’ per questo che cambiano governo cosi’ spesso..e anche forse questa caratteristica ha ridotto la loro quota di suicidio…Elisabetta

  5. Roberto, quando studiavo anatomia patologica, molti anni fa, mi fu detto che l’incidenza del cancro all’esofago era particolarmente elevata in Iran a causa dell’abitudine di bere grosse quantità di tè molto caldo…mi sarei dovuto recare in Iran per sincerarmi della veridicità di questa informazione, avrei dovuto calcolare la quantità media di tè ingerita ogni giorno da un ampio campione della popolazione iraniana e misurare la temperatura della bevanda prima di riportare ad altri questo dato, reale e veritiero, sulla eziologia del cancro all’esofago?
    Nessuno di noi può controllare tutte le informazioni che riceve e quindi bisogna fidarsi dei media,
    considerando che spesso ci verranno fornite informazioni alterate, ingigantite o capziose…i giornali e le trasmissioni televisive per molti anni ci hanno presentato i paesi nordici come luoghi afflitti da un’incidenza dei suicidi più elevata che in altre nazioni europee, quindi non è colpa della mente ristretta di uomini pieni di pregiudizi se questa è l’opinione diffusa.
    Inoltre, i pregiudizi vanno sempre evitati, ma non bisogna precludersi la possibilità di una conoscenza basata sull’esperienza diretta (mi riferisco all’esempio da te riportato sui due napoletani freddi ed antipatici)…in Italia ed all’estero ho incontrato un buon numero di maschi scandinavi, tra gli 80 ed i 100 uomini adulti danesi, svedesi e norvegesi, io sono alto 181 cm, salvo due o tre eccezioni non ho mai incontrato un uomo adulto scandinavo più alto di me…80-100 è un numero molto limitato, però più che sufficiente per decretare che l’opinione diffusa sulla elevata altezza media degli scandinavi sia falsa… a meno che io, per qualche assurdo motivo, abbia incontrato in tanti anni ed in vari luoghi diversi solo gli scandinavi bassi.

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