AM 147 4°, Heynesbók, è un codice pergamenaceo di inizio ‘500, che contiene un codice di leggi. È uno dei codici che fanno parte del corpus che ho analizzato per il mio dottorato. Include un numero inusuale di disegni e commenti aggiunti nei margini (i cosiddetti «marginalia». I marginalia possono essere aggiunti dal copista stesso o da altri in un secondo momento, e possono essere più o meno collegati con il contenuto del testo principale. In molti casi sono sghiribizzi, disegnini e commenti casuali.
La didascalia sotto al tizio sdraiato recita «Qui sono sdraiato e ubriaco», mentre quella accanto al tizio seduto dice «Qui siedo addormentato e ubriaco fradicio».

Verrebbe da fare la battuta per cui “il lupo perde il pelo ma non il vizio”: viene spesso ripetuto il ritornello per cui a nord siamo tutti depressi perché c’è buio, e come conseguenza ci si ubriaca spesso, così che uno si immagina delle strade devastate come dopo un bombardamento nella ex-Jugoslavia, grigie e piene di bottiglie rotte, con gente degradata che si aggira sbronza minacciando i passanti. Ci si immagina un Nord-Europa in preda al degrado e alla miseria, con città grigie e dai colori sbiaditi. Un’immagine che serve — a mio modesto parere — a screditare un’uva alla quale non si riesce ad arrivare, come nella favola della volpe, e che non rende affatto giustizia alla realtà locale. Ho visto scene di ubriacatura qui in Islanda: di solito si tratta di persone magari tranquille che diventano improvvisamente allegre e gioviali. Donne cinquantenni che sghignazzano un po’ troppo chiassosamente ad un tavolo, rilasciando la tensione accumulata in una settimana di lavoro, e giovani che canticchiano sbronzi sulla via di casa. Esattamente come tanti pensionati che frequentano circoli ACLI o osterie nostrane. Scene da guerriglia urbana come quelle che finiscono sui giornali (spesso ambientate nel Regno Unito) e finiscono per convincerci di essere la norma, non ne ho mai viste.
È innegabile che uno, per una serie vastissima di fattori e coincidenze, potrebbe farsi l’idea, anche dopo aver vissuto qui, o trascorso un periodo di vacanza, che gli islandesi sarebbero degli alcolizzati depressi e asociali. Il problema è che le nostre esperienze individuali non hanno gran valore statistico. Tenete conto che una sera trascorsa in mezzo alla movida milanese potrebbe portare ad assistere a scene ben peggiori, con la differenza che, non esistendo un pregiudizio sui milanesi come un branco di alcolizzati debosciati, quell’esperienza non verrebbe presa come prova definitiva che conferma la tesi.
Cosa dicono i dati? Uno sguardo alle classifiche internazionali come quella del sito World Population Review mostra che, nel 2021, l’Islanda non è tra i primi Paesi al mondo per il consumo di alcol. Questi sono: Bielorussia, Lituania, Grenada, Cechia, Francia, Russia, Irlanda, Lussemburgo, Slovacchia, Germania, Ungheria, Portogallo…l’Islanda si colloca dietro a ben 132 altri Paesi (non è al 132° posto, perché diversi Paesi hanno lo stesso tasso di consumo e condividono la stessa posizione in classifica, per esempio Malta ed El Salvador hanno lo stesso tasso islandese: 12,8 litri di puro alcol all’anno pro-capite, mentre la Francia è a 16,7, l’Italia a 12, la Cechia a 19,2 e la Romania a 18).

Questi dati sono quasi sconcertanti se uno tiene a mente quanto forte e radicata sia l’idea che più si va a nord, più si incontra depressione, alcolismo e suicidi. Bisogna ovviamente menzionare il fatto che le statistiche possono nascondere variazioni immense: il fatto che in Islanda si beva in media altrettanto alcol che in Italia, potrebbe mascherare il fatto che in Italia si beve mezzo bicchiere a pasto tutti i giorni, mentre in Islanda se ne tracanna molto di più nei pasti del weekend o quando si esce. Il consumo totale, per esempio, non dice nulla sulla cultura che un paese ha dell’alcol. Va anche detto, però, che la cultura dell’alcol è già molto cambiata in Islanda rispetto ad anni fa: si cerca il vino di qualità o il bicchiere piccolo e costoso di birra artigianale locale piuttosto che la birraccia in lattina. A prescindere da tutto questo, non si può comunque dire che l’alcol sia un problema così pronunciato come viene spesso suggerito.
I Paesi scandinavi sono in basso nella classifica per il consumo di alcol, il che dimostra che, come illustrerò fra poco, proprio come per la storia della depressione stagionale (statisticamente più comune in Italia che in Islanda) e dei suicidi (più frequenti in Francia che in Islanda), la storia dell’abuso di alcol, che sarebbe più diffuso nel Nord a causa delle condizioni climatiche avverse, non regge alla verifica dei fatti, e la percezione che abbiamo è spesso influenzata da preconcetti (è probabile che notiamo di più gli ubriaconi se ce li aspettiamo!).
Uno studio del 2020, volto a testare la teoria fino ad allora non supportata da dati scientifici per la quale la latitudine avrebbe un impatto sull’insorgere del disturbo affettivo stagionale, ovvero la depressione maggiore causata dal cambio di stagione,all’inizio dell’inverno, ha evidenziato percentuali simili del problema in popolazioni diverse come quella italiana e quella norvegese.
Già uno studio del 1993 aveva evidenziato come il disturbo fosse più prevalente tra la popolazione della costa orientale degli Stati Uniti d’America rispetto all’Islanda, suggerendo fattori genetici come possibile spiegazione. Tuttavia, un ulteriore studio del 2002 aveva invece analizzato due popolazioni geneticamente omogenee che vivono alla stessa latitudine, ma in aree longitudinalmente distanti del Canada. Una delle due aveva un tasso di incidenza del disturbo affettivo stagionale più alto, risultato che getta dubbi sulla teoria genetica, oltre a negare ulteriormente quella sulla latitudine.
Riguardo invece all’incidenza della depressione maggiore, uno studio canadese ha evidenziato una correlazione tra depressione e latitudine in Canada, ma gli autori hanno avuto l’accuratezza di specificare che i risultati non tengono conto di possibili variabili, come quelle sociali. In Canada, generalmente, più si va a Nord, più si incontra povertà. La depressione è un disturbo estremamente complesso, associato a una molteplicità di fattori. Ridurlo a una conseguenza della carenza di sole è estremamente superficiale.
Volgendosi invece al discorso delicato dei suicidi, secondo l’OCSE, nel 2018, i primi Paesi al mondo per il tasso di suicidi erano Corea, Lituania, Slovenia, Belgio, Ungheria, Finlandia, USA, Estonia, Australia (!), Cechia, Austria, Francia. Non mi pare di notare una correlazione forte tra latitudine e suicidi! L’Islanda era al 21° posto, prima della Germania e dopo i Paesi Bassi. La tabella qui sotto esprime il tasso di suicidi ogni 100.000 abitanti (il punto sta per la nostra virgola, nei contesti di lingua inglese, quindi il valore più alto della lista, espresso come “23.000” è ventitré, non ventitremila!).

A volte ho come la sensazione che, dal momento che i Paesi nordici tendono ad essere presentati sotto una luce positiva, ci sia il bisogno di compensare aggrappandosi a questa leggenda metropolitana del buio, del freddo, dei suicidi e dell’alcol. Ne abbiamo avuto abbastanza di queste sciocchezze. Se si vuole bilanciare una rappresentazione esageratamente positiva (e io sono il primo a volerlo e a farlo!) si può parlare della corruzione imperante in Islanda, degli scandali che coinvolgono i politici di più alto livello i quali la fanno franca grazie alle loro conoscenze, al sottosviluppato sistema di riciclaggio dei rifiuti, oppure, tanto per citare un altro Paese nordico, a come l’arroganza svedese e la loro totale fiducia nella loro intrinseca superiorità li abbia portati ad essere uno dei Paesi con i tassi di infezione COVID-19 più alti d’Europa, e con il maggior numero di morti nei Paesi nordici.
Il Nord è una regione con tanti pregi e tanti difetti reali, non c’è bisogno di aggrapparsi alle leggende metropolitane per restituirne un’immagine più equilibrata: è già equilibrata di suo!
Un’ultima questione, e vi prego di ricordarvela e citarla quanto potete con i vostri amici e conoscenti, è la questione “freddezza”. Un concetto tanto odioso quanto sbagliato è che più si va a nord, più la gente diventerebbe “fredda”, termine che pare si riferisca al fatto che si diventa meno chiacchieroni, meno espansivi, meno tendenti allo scambio sociale. Generalmente l’essere più o meno propensi allo scambio interpersonale dipende dal fattore introversione/estroversione: le persone introverse sono più concentrate sul loro mondo interiore e per loro l’interazione sociale costituisce un’attività che porta a un dispendio di energie, mentre gli estroversi sono più concentrati sul mondo esteriore e per loro socializzare è fonte di energia. Le persone estroverse tendono a prosperare nelle situazione sociale, come le feste, anzi hanno bisogno di interagire con il prossimo, mentre gli introversi, dalle interazioni sociali diffuse, come feste o eventi affollati, ne escono sfiniti. Questo non vuol dire che gli introversi sono asociali, semplicemente hanno meno bisogno di una costante interazione, perché ciò lì sfiancherebbe. Se è vero che andando a nord si diventa più “freddi”, vuol dire che più si va a nord più aumenta la percentuale di persone introverse. Ma è proprio così?
Il sito 16 personalities ha unito i dati dei test di personalità di più di 40 milioni di persone in tutto il mondo e stilato classifiche e mappe per diversi tratti di personalità. Il sito offre anche uno strumento per confrontare paesi a scelta su tratti specifici. Indovinate cosa ho scoperto paragonando Italia e Islanda sul parametro introversione/estroversione? Indovinato: l’Islanda è più ESTROVERSA dell’Italia. Non di molto, un 3% in più dell’Italia, ma quanto basta per mettere a tacere anche questo stereotipo.

Tra l’altro, questo conferma la mia esperienza personale più volte riportata sui miei canali negli anni, per la quale trovo gli islandesi estremamente cordiali, festaioli, amichevoli e calorosi. Ovviamente la mia esperienza da sola non avrebbe alcun valore, ma in questo caso è conformata da un’indagine statistica: se gli italiani non possono dirsi un popolo “freddo”, men che meno gli islandesi! State attenti, se vi capita di beccare un paio di islandesi introversi e burberi, a non precipitarci a pensare “ah ecco: tipici islandesi, freddi e introversi”, solo perché questo è lo stereotipo che avevate in mente!
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