Devo dire che ne è valsa davvero la pena.

Il natale islandese inizia alle 6 del pomeriggio del 24. Ci si siede a tavola e si consuma dell’hangikjöt, “carne appesa”, ovvero carne di agnello dall’aspetto di un arrosto, ma molto rosea, affumicata con diversi metodi (io ho provato quella col legno di betulla). Il contorno sono patate lesse e piselli, il tutto lo si cosparge di una crema chiamata hvít sósa, “salsa bianca”.
Inoltre si ha il laufabrauð, difficile da descrivere. Ha un sapore di schiacciatina/torta fritta emiliana/frittella, e la consistenza delle “chiacchiere’ di carnevale, ma un po’ più croccante.
Accompagnano anche i flatkökur, che sembrano delle piadine ma sono più morbidi e molto flessibili.
Il tutto si annaffia con una bevanda al malto, che sostanzialmente sa di birra gasata, ma molto dolce e analcolica. Ho sentito che è popolare in germania per abituare i bambini alla birra, essendo un gusto acquisito. In Italia non l’ho mai vista. Per qualcuno potrebbe essere un po’ stucchevole. Si usa anche mescolarla con l’aranciata (appelsín), e viene venduta anche già miscelata.
Ho festeggiato questa parte con la famiglia che mi ospita. Sono stati incredibilmente gentili ad invitarmi, e mi hanno anche regalato dei cioccolatini.
Dopo cena, dato che i mezzi non erano in servizio per la vigilia e per natale, ho preso la mia bella bicicletta, e mi sono avventurato sulla ciclabile ghiacciata fino in università (circa 6 chilometri), per un evento che avevo organizzato io stesso. Armato di spezie e arance, ho prodotto cinque bei litri di vin brülé, che abbiamo sorseggiato tra amici assieme a degli stuzzichini, facendo dei giochi di società.
Il giorno di Natale, alle 4 e mezza, di nuovo in sella alla mia bici, ho raggiunto il campus per unirmi ad alcuni amici nel preparare la cena, a cui hanno partecipato tutti i superstiti del mio corso che non sono rientrati a casa per le vacanze. Questa volta il tragitto è stato più lungo e impegnativo a causa della neve fresca caduta durante la notte: la durata è quasi raddoppiata, per via delle ruote che arrancavano nella neve pastosa.
Eravamo in dieci, intorno a un bel tavolo in una delle cucine dei dormitori. Il menù prevedeva antipasto di salmone, salame e formaggio, poi a buffet arrosto di agnello, cavolo rosso tipo crauti, pasticcio di lenticchie, porri al burro, puré di patate, insalata, aglio arrostito, e per dolce torta al cioccolato e frutta al flambé con gelato, preparata magistralmente da un compagno olandese.
La cena è iniziata alla cinque e siamo andati avanti fino all’una. Con le ultime ore occupate da lunghe chiacchierate digestive spaparanzati su divani e poltrone, ascoltando musica.
Il budget è stato di meno di 15€ a testa, assolutamente ragionevole e incredibilmente economico per questo paese.
Al ritorno a casa ho notato con piacere che la neve sulla ciclabisle era stata livellata, così che le ruote non si incagliavano più al passaggio. Ormai arrivato a Kópavogur, a circa un chilometro e mezzo da casa, ha ripreso a nevicare.
Il mio outfit consisteva di: calze normali e scarponcini, pantaloni normali, camicia, gilet, sciarpa, cappotto di panno, guanti e berretto di lana. A metà strada dovevo sempre togliermi la sciarpa perché iniziavo a sudare. Con -6° e neve ovunque sono riuscito a farmi tranquillamente 5/6 chilometri in bici all’una di notte. Riuscendo anche a cambiare la musica sull’ipod senza fermarmi, senza morire di freddo, senza dovermi vestire da cani per la praticità e senza ammalarmi. C’erano diverse tracce di bicicletta nella meve fresca, a testimonianza che non ero l’unico imbecille a spostarsi in bici con la neve. Perfino nei giorni di bufera ho visto gente muoversi in bici. Se le cose si mettevano male scendevano e portavano a mano per un tratto.
Vorrei che questo serva da esempio per i miei conterranei lombardi di pianura, che appena cadono due gocce si barricano nelle auto e gassano la per nulla ventilata val Padana. Da noi nevica poco, non tira mai vento, e piove in verticale, non orizzontale, per cui gli ombrelli sono effettivamente utilizzabili, anche per chi va in bici. Se si vive entro 10 km dalla propria destinazione, usare l’auto è abbastanza immorale se non sussistono altre ragioni oltre alla pigrizia.
Vi auguro di concludere in bellezza questo 2014, e che il 2015 parta nel migliore dei modi possibili!
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