La matrice della cultura islandese

Mi capita spesso di imbattermi in espressioni di stupore e sconcerto ogni qual volta menziono fatti relativi alla cultura islandese che rendono palese come essa sia molto più vicina alla nostra di quanto uno si possa mai immaginare.

Il punto è proprio questo, senza negare le ovvie peculiarità della cultura islandese, o di qualsiasi altra cultura europea, è importante non scadere nella mitizzazione ed esotizzazione di popoli che non conosciamo abbastanza.

Purtroppo il danno storico inflitto alla nostra conoscenza del passato da parte della propaganda nazionalista otto-novecentesca e dal revival vichingo ci toccherà portarlo con noi ancora a lungo, particolarmente perche tanta di questa propaganda titilla pregiudizi che tanti di noi amano sentirsi titillare, incoraggiando dunque chi deve vendere prodotti a sfruttarli e rinforzarli costantemente e mostrando ostilità agli studiosi che si pongono l’obiettivo di smascherarli.

Vale la pena ricordare che l’Islanda viene, secondo le fonti scritte, colonizzata da norvegesi verso la fine del IX secolo, i quali dovevano avere al seguito un discreto numero di servi e donne di origini gaeliche (irlandesi e scozzesi). Se prendiamo per buona la data ufficiale fornitaci dagli islandesi stessi, il primo insediamento permanente, Reykjavík, sarebbe stato fondato nell’anno 874 e, nel giro di 60 anni, tutta l’isola sarebbe stata occupata. 70 anni dopo, nel 999/1000, la corte suprema di allora avrebbe deciso di adottare il cristianesimo cattolico, facendo battezzare tutti e, nel giro di pochi anni, mettendo al bando le pratiche pagane che sarebbero state presto dimenticate.

Quando ragioniamo sulla storia, magari riflettendo su epoche intere (come il Medioevo, che copre l’arco di un millennio) un periodo di un secolo tende a sembrarci poca cosa. Se pensiamo alla conversione dell’Islanda nel 1000, non ci sembra poi così esagerato pensare che il cristianesimo non debba essere stato accettato se non su un periodo piuttosto lungo, magari di diverse generazioni, e difatti tantissime pubblicazioni popolari, magazine, guide turistiche etc. dicono proprio così. Però la trasmissione culturale e l’affermazione delle tradizioni non funzionano così.

Proviamo ad aiutarci nella comprensione con un esempio molto prosaico: le prime pizze sono arrivate in Islanda negli anni ‘70 del ‘900. Una cinquantina di anni fa o due generazioni circa. Oggi sono parte integrante della vita islandese. Per tanti sono consumate almeno una volta a settimana, tradizionalmente il venerdì e, pur sapendo che si tratta di qualcosa che è arrivato dall’estero, la pizza è ormai radicata nella cultura locale. Ovviamente hanno il loro modo di farla, diverso da quello dei napoletani, ma la chiamano pizza ed è comunque chiaramente riconoscibile come tale. Se per la generazione che era giovane allora rappresentavano qualcosa di nuovo, per la generazione nata immediatamente dopo il loro arrivo, queste rappresentavano la norma assoluta. Provate a pensarci: si nasce circondati da gente che consuma pizza, e per tutta la vita si è accompagnati dalla pizza. Poco importa che i nostri genitori erano giovani quando è giunta nel nostro Paese, noi non c’eravamo, ma quando siamo arrivati la pizza c’era e per quanto ci riguarda è qualcosa di tradizionalissimo: se ho esperienza del mondo da 15, 20, 30 anni, e per tutti questi anni la pizza c’è stata, per me la pizza è mia tradizione, anche se arrivata solo pochi anni prima della mia nascita e dunque tradizione giovane. Vale lo stesso per la generazione dei miei nonni Lombardi e la mia: per loro la pizza era qualcosa di esotico, per me è parte integrante della mia cultura gastronomica. Sarà lo stesso per le generazioni dei nostri figli con il sushi, anche se magari ci sarà qualche brontolone che dirà che la pizza o il sushi non sono vero cibo Lombardo e vorrà ostinarsi a mangiare solo polenta e coniglio arrosto.

Ecco: provate a rileggere il paragrafo precedente sostituendo la pizza con la religione cristiana e la “pizza del venerdì” con la messa della domenica. Per la generazione nata a qualche anno dalla conversione, non deve essere stato diverso: la nazione era legalmente e ufficialmente cristiana, tutti erano battezzati e pregavano. Magari, come per il brontolone Lombardo attaccato alla polenta e ostile al sushi, qualcuno ostile al cristianesimo ci sarà stato, ma si tratta ovviamente di eccezioni non rappresentative.

Lo studioso islandese Ólafur Briem, nel suo libro “Heiðinn síður á Íslandi” (Paganesimo in Islanda; 1985), scrive che:

C’è altro che indica come gli islandesi non siano mai stati altrettanto devoto agli dèi pagàni come i loro parenti in Scandinavia: da nessuna parte, nei Paesi nordici, la cristiani azione ha incontrato così poca opposizione come qui. Di solito ciò viene spiegato con l’ingerenza di re Ólafur Tryggvason, ma la stessa estate in cui il cristianesimo trionfò in Islanda, il re morì nella battaglia di Svold, è per i 15 anni successivi ci fu un arresto bella diffusione del cristianesimo in Norvegia, al punto che il popolo ritornò nuovamente al paganesimo per buona parte. Non è successo niente del genere in Islanda, dove la via era spalancata per un ritorno dei costumi antichi, se la maggioranza del popolo fosse stata pagana nel cuore e avesse voluto preservare le credenze antiche. Ma tale via non fu intrapresa. La spiegazione non può essere che, in Islanda, il paganesimo non avesse messo radici profonde nella società come in Scandinavia. Nemmeno ha senso pensare all’influenza della Chiesa, che era addirittura inferiore in Islanda che in Norvegia. Solo più di un secolo dopo la Chiesa accumulò potere e influenza comparabili a quelli che aveva altrove e in Europa”.

La cristianità della cultura islandese è palese e ovvia a chiunque la abbia studiata un minimo, tuttavia, essendo il cristianesimo una religione ancora maggioritaria in Occidente e, spesso, associata ad attributi negativi, quando ci si approccia all’Islanda si scade spesso nella tentazione di ricercare un universo pagano dove il cristianesimo non avrebbe mai veramente attecchito e dove sopravviverebbero credenze su creature magiche e su mistici poteri della natura che fanno fremere i nostri cuori ecologisti.

Ciò si scontra però con la realtà: se da un lato abbonda la produzione culturale esplicitamente cristiana (come possono essere le saghe sui santi, di gran lunga le più numerose di quelle di argomento locale — tra l’altro intrise di cristianesimo pure quelle —, la poesia devozionale del periodo cattolico e la sua ulteriore espansione nel periodo luterano, il fiorire di letture come le prediche con commenti alle scritture praticate devotamente per tutta l’età moderna e contemporanea, gli inni religiosi composti nel periodo luterano è molto altro), dall’altro lato anche elementi non direttamente legati alla sfera religiosa risentono dell’influenza cristiana, ma essa viene talvolta messa in secondo piano cercando di mettere in risalto qualche elemento che si presta bene per promuovere un’idea falsata di un’Islanda fantasy fatta di elfi e magia. Perché i turisti vogliono questo. Si caricaturizza la cultura per vendere di più.

Peccato che anche gli elfi e la magia islandesi siano qualcosa di profondamente cristianizzato: solo dal Cinquecento iniziano ad esserci le prime testimonianze sul folklore relativo agli elfi, ed essi sono sempre inquadrati nella cosmologia cristiana, non in quella pagana, o come umani resi invisibili da Dio, oppure come figli di Adamo, il cui seme sfuggito in occasione di notti solitarie avrebbe fecondato delle buche nel terreno, o ancora come figli della prima donna plasmata da Dio dalla terra, Alvör, alla quale Dio avrebbe poi creato un marito della sua stessa natura, rendendoli progenitori di elfi e troll. La magia islandese, invece, inclusi i sigilli magici che vengono indefessamente associati ai “vichinghi” [sic.], inizia ad essere registrata solo alla fine del medioevo, ed è sempre collocata nel contesto Cristiano. Così come certe forme di magia popolare italiana, pur non essendo ortodosse, sono tranquillamente praticate da persone altrimenti assolutamente devote alla religione ufficiale, così alcuni islandesi usavano questi sigilli in associazione a scongiuri che invocavano angeli o demoni dai nomi desunti dalla Bibbia, o che venivano presentati come creati da personaggi storici o letterari della tradizione cristiana (papi, re medievali, re biblici…).

Questo spesso genera fastidio, specie in coloro che speravano proprio di trovare nell’Islanda un’oasi è un riparo dalla presenza di una religione che percepiscono come una presenza negativa nella società odierna. Tuttavia, così come possiamo studiare e approcciarci a Dante o a Michelangelo senza provare rammarico per il fatto che fossero due personaggi cristiani e che ciò si rifletta nelle loro opere, così dovremmo fare per la cultura islandese, anziché provare egoisticamente a distorcerla per soddisfare il nostro bisogno di romanticismo fantasy in un mondo dove sentiamo la mancanza di spiritualità e di soprannaturale che si adattino al nostro sentire.

L’appartenenza dell’Islanda alla sfera culturale europea, inoltre, non è stata soltanto una questione di affiliazione religiosa. Bisogna tenere presente che quando si parla di “Chiesa” nel contesto medievale, non si sta parlando di un’istituzione terza che prova a mettere il naso negli affari dei privati cittadini cercando di imporre il suo ordine alla società, che è il modo in cui molti la vedono oggi. Nel medioevo europeo tutti erano cristiani, con pochissime eccezioni, e facevano parte di questa comunità. Pur con la presenza di disaccordi e dissensi fisiologici, la Chiesa era la più importante istituzione internazionale dell’Europa medievale, nonché la più importante (e per un periodo l’unica) istituzione culturale.

Essa, pur con tutti i contributi derivati dalla tradizione classica, è stata l’istituzione che ha fatto da fondamento e da collante culturale per l’Europa, che nasce appunto come sinonimo di “Cristianità” in epoca medievale. Nel mondo classico “Europa” era un’espressione geografica, per usare un’espressione del cancelliere Metternich relativa all’Italia. Sul fatto che una volta fatta l’“Italia” come Stato, poi si sia cercato con più i meno successo di fare gli “italiani” siamo tutti d’accordo; allo stesso modo, una volta creata l’Europa (intesa come sfera di influenza cristiana), si sono creati “gli europei”, intesi come cristiani. Per questo, nell’Europa medievale, non c’era nulla di straordinario se Anselmo d’Aosta finiva ad insegnare a Canterbury, se Alcuino da York era attivo alla corte di Carlo Magno, se l’irlandese Colombano è finito a Bobbio, o se Jón Halldórsson, futuro vescovo d’Islanda, studiava diritto canonico a Bologna.

In Islanda, come altrove in Europa, per gran parte del Medioevo il sapere fioriva soprattutto in istituti religiosi, ovvero nei monasteri o nelle scuole delle cattedrali. Le lacune dell’insegnamento scolastico lasciano anche qui l’immaginazione libera di volare e di inseguire certi pregiudizi, lasciando che molti si facciano in testa un’idea di questi luoghi come di scuri stanzoni con monaci ottusi intenti a copiare testi religiosi in lingue antiche che nemmeno capivano. In realtà i monasteri e le scuole religiose erano luoghi dove la conoscenza e l’eredità classica venivano trasmesse, studiate e dove la ricerca proseguiva considerevolmente in ambiti diversi come la grammatica, l’astronomia, la matematica, la musica… è tutto ciò non deve stupire. L’altro stereotipo che amiamo farci titillare, ovvero quello del conflitto insanabile tra scienza e fede che vuole geni laici da un lato e sadici prelati oscurantisti dall’altro, è un’ulteriore distorsione e semplificazione.

Dagli scavi archeologici in Islanda è emerso che i monasteri, pur essendo considerevolmente più piccoli (con circa 4-8 suore o monaci in media), mantenevano la stessa struttura e planimetria di quelli continentali. Alla fine del medioevo, almeno il 10% dei terreni islandesi erano in mano ai monasteri.

Nonostante la fioritura letteraria vernacolare islandese, che fa della tradizione letteraria medievale della Terra del Ghiaccio una delle più ricche d’Europa, numerosa doveva essere la produzione in latino, non ultimo per assolvere ai compiti liturgici e dell’ufficio divino. Non dimentichiamoci che per più di 500 anni, gli islandesi hanno recitato e cantato messa in latino,

Il latino, in effetti, fungeva certamente da lingua franca, negli ambienti istruiti dell’Europa medievale. L’inglese Henry Holland, all’inizio dell’Ottocento, racconta di come conversasse con l’amico, il vescovo d’Islanda Geir Vídalín. Un vescovo luterano, certo, ma non si creda che il luteranesimo e l’introduzione dell’uso delle lingue nazionali abbia significato un cancellare totalmente lo studio delle lingue classiche!

In età moderna, una volta che l’Islanda diventa luterana, la chiesa di Stato si infila molto più pesantemente nella vita privata degli islandesi. È nel periodo moderno/luterano (e non in quello cattolico/medievale, come molti crederebbero), che si hanno i roghi di stregoni e la pena capitale per gli adulteri. La partecipazione alla messa domenicale viene resa obbligatoria, e la lettura della Bibbia e delle raccolte di omelie con commento alle scritture (come la Póstilla del vescovo Vídalín) diventa pratica familiare quotidiana.

L’espressione artistica è quasi sempre motivata da intenti religiosi: la letteratura più ispirata, come i Salmi della Passione di Hallgrímur Pétursson, le raffigurazioni artistiche che adornano le chiese (pulpiti, pale d’altare…), e la musica che viene registrata sono sempre inseriti sullo sfondo della religione praticata nel Paese. I primi accenni all’uso del più celebre strumento popolare della musica islandese, il langspil, sono volti a farne un’accompagnamento per l’esecuzione di canti liturgici.

La riflessione finale di questo discorso è questa: che senso ha mettere da parte tutto questo, andando a cercare qualche rappresentazione falsata fatta di templi pagani mai esistiti e costruiti a tavolino oggi per capitalizzare sul bisogno di fuga e di magia da parte nostra? Ve li immaginate gli stranieri che ignorano due millenni di cultura cristiana in Italia perché trovano noioso e poco interessante il cristianesimo, andando a dare i loro soldi a chi si traveste da centurione e offre biglietti per assistere a cerimonie di sacrificio a Giove e Marte inventate di sana pianta, ignorando completamente Giotto, Dante, Michelangelo, o le nostre chiese e cattedrali? Non bisogna essere cristiani o credenti per apprezzare il passato cristiano, e farlo non significa dare forza a istituzioni religiose attuali che non ci piacciono. Certo, anche io ho avuto la mia fase dove cercavo il mondo magico degli elfi e delle magie per fuggire alla noia prosaica della vita cittadina che non ispira, stanca e appiattisce… ma nel momento in cui ho scoperto l’Islanda essere ben altro, anziché restarne deluso o dare il mio denaro a chi era disposto a stravolgerla pur di vendermi il fumo che cercavo, l’ho abbracciata per quello che era e ho trovato una cultura straordinaria che mi ha riempito la vita. Vi esorto a fare lo stesso!

6 risposte a “La matrice della cultura islandese”

  1. Avatar Hjordis Hauksdottir
    Hjordis Hauksdottir

    OTTIMA LETTURA E SPIEGAZIONI DELLA RELIGIONE IN ISLANDA. COMPLIMENTI
    Bestu kvedjur Hjordis

  2. Roberto, leggo tutti i tuoi articoli, in genere, quando non concordo con te, evito di commentare…in questo caso farò un’eccezione, dato il tono piuttosto sgradevole del tuo scritto.
    Sei uno studioso e hai il diritto di esporre la tua visione molto filocristiana del medioevo, inoltre, essendo il fine di questo sito fornire informazione corrette ad eventuali visitatori, fai bene ad avvertire i potenziali turisti, che non troveranno in Islanda un’oasi di paganesimo anticristiano…ma non è tuo compito, né tua prerogativa indagare il motivo per cui molte persone, spesso meno colte di te, a volte molto più colte di te, desiderino l’esistenza di una terra toccata più tardivamente e meno intensamente dal cristianesimo.

    1. Non c’e nulla di filocristiano qui. Sei tu che intravedi qualcosa di tendenzioso perché questo articolo non conferma il tuo giudizio.

      Altra strategia disonesta è quella di citare fantomatici esperti ancora più esperti che la pensano diversamente. Me li citi, per cortesia? Siamo davvero pochi e ci conosciamo tutti.

      Detto questo, è assolutamente compito mio scrivere di quello che mi pare come mi pare. Se non condividi le mie conclusioni, confutale pure, anziché sindacare sul mio diritto o meno di scrivere.

  3. Non ho citato nessun esperto, non penso sia il caso di citare ad un medievista l’immensa massa di studiosi, passati e presenti, portatori di una visione del medioevo molto differente dalla tua.
    il tuo articolo, al contrario, conferma la mia visione..io ho sempre sostenuto che l’unica seria resistenza alla diffusione del cristianesimo avvenne da parte dei popoli mediterranei, mentre i popoli celtici e germanici si convertirono molto rapidamente.
    Continuo a ribadire che non sia compito tuo, nè tuo diritto indagare il motivo per il quale molte persone, spesso poco colte, a volte molto erudite (é qui che tu hai creduto che io avessi citato dei fantomatici esperti) desiderino l’esistenza di una terra più paganeggiante e meno cristiana…hanno torto a vedere questa terra nell’Islanda, ma questo loro desiderio non proviene da nefaste serie tv, nè da razzismo nordicista, nè dai supereroi della Marvel…

    1. Mi dispiace che tu sia così poco lucido su questo tema da usare questi toni e argomenti, ma la “massa di studiosi portatori di una visione di medioevo molto diversa dalla mia” non esiste.

      Ripeto: ci sconosciamo quasi tutti, e tutti quelli che lavorano sul medioevo islandese devono interfacciasti con la religione Cristiana. Non ce nulla di controverso in questo. Non è nemmeno motivo di dibattito. Lo impari al primo mese di studi ed è morta lì. È un certo pubblico che invece continua a voler andare a scovare il paganesimo ovunque perché ha problemi con il cristianesimo.

      In quanto studioso, è mio diritto e compito indagare qualsiasi cosa mi interessi, inclusa la rappresentazione dell’Islanda nella cultura pop e la sua eventuale distorsione. Chiamansi “Reception studies”, una branca molto in voga oggi, dove emerge continuamente l’esagerazione di certi elementi Pagani e l’insabbiamento di quelli cristiani nella presentazione del passato nordico, proprio perché si vuole “vendere” a questa fetta demografica che cerca l’universo pagano magico anticristiano.

      Ps. Continuo a chiederti qualche argomento nel merito, e meno attacchi personali.

  4. Roberto, nessun attacco personale, non utilizzo mai gli attacchi “Ad hominem”…mi spiace molto dirlo,ma, al contrario,vedo in te un’emotività stizzosa.
    Tu scrivi “La massa di studiosi portatori di una visione del medioevo molto diversa dalla mia non esiste”, francamente non so cosa replicare…ti sei perso molti secoli della civiltà occidentale…
    Se ti fermi un attimo a riflettere ti rendi conto da solo che questi “Reception studies” non sono un argomento da inserire in una discussione seria.
    Comunque, ti saluto e ti auguro il meglio.
    Andrea Stella

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