Kerlingarfjöll e Landmannalaugar

Per la seconda volta da quando mi sono trasferito in Islanda (ormai nel 2014) sono salito sugli altipiani (Hálendi). L’interno dell’Islanda è una regione molto particolare: siccome la salita rispetto al livello del mare è estremamente graduale, non ci si accorge nemmeno dell’aumento dell’altitudine, ma a una certa ci si trova in un immensa distesa desertica fatta di rocce nere, a novecento metri sul livello del mare, e con un clima diverso da quello che si sperimenta vicino alla costa, dove sono concentrati gli insediamenti umani. La notte fa più freddo, di giorno può fare localmente assai caldo, ci sono nugoli di moscerini…ma soprattutto non c’è anima viva. Con poche eccezioni, si è l’unica fiaccola di vita fin dove gli occhi riescono a posarsi, e questa è una situazione rara per il mondo di oggi.

Ammetto che non ho mai cercato particolarmente gli altipiani: a me, dell’Islanda, interessa la cultura, e negli altipiani non ce n’è molta: un luogo pressoché inesplorato nei secoli passati, era al massimo rifugio per i fuorilegge e i fuggitivi, ma non trabocca esattamente di storia e di storie. Gli altipiani sono piuttosto una meta di tipo naturale, e dato che i miei interessi sono soprattutto culturali, gli altipiani non mi hanno mai attirato magneticamente.

Come se non bastasse, non sono un appassionato del trekking, per una serie di motivi, tra i quali il fatto che se non si è esploratori esperti, si finisce a fare percorsi – sicuramente bellissimi e gratificanti – ma battuti da un’infinità di altri escursionisti che fanno avanti indietro e fanno sembrare i tracciati come delle gallerie di centri commerciali. Preferisco delle camminate in solitaria in luoghi dove non si incontra anima viva (come quelle che faccio con i cani della fattoria attraverso le brughiere nel sud-est). Ma ancora di più preferisco visite a mete culturali. Per mia fortuna, però, ho un amico esperto di geologia che mi ha convinto a seguirlo per due giorni negli altipiani, e sono grato che lo abbia fatto: la bellezza che ho visto mi ha commosso come raramente altrove, ma rimango convinto che un’esperienza dell’Islanda che si concentri esclusivamente sulla natura, non sia un’esperienza reale e completa di questo Paese, né più né meno che un’esperienza delle colline e dei vigneti della Toscana, per quanto bella e gratificante, possa considerarsi un’occasione persa se non usata per visitare le città d’arte della regione.

Il percorso che abbiamo seguito.

Abbiamo noleggiato, la sera del giorno precedente, un fuoristrada 4×4, indispensabile quando si affrontano le mulattiere sterrate lontano dalle principali arterie di comunicazione dell’isola, che corrono lungo il perimetro e non si spingono fino all’interno. Siamo partiti da Reykjavík alle sette e ci siamo diretti verso il cuore dell’isola, in quella regione circondata dai ghiacciai Langjökull e Hofsjökull. Dopo alcune soste fotografiche sulla sterrata e petrosa F35 che siamo arrivati a Kerlingarfjöll in circa quattro ore. Abbiamo pagato per la nottata al campeggio, pranzato e poi proseguito verso la zona geotermale.

Il rifugio di Kerlingarfjöll.

Il campeggio, a parte la graziosissima location, è estremamente basico e spartano. Ci sono pochi utensili e i servizi non sono il massimo (bagni non pulitissimi, cucina con il gas che non funzionava, e senza riscaldamento…), ma nel cuore del deserto degli altipiani islandesi non si può pretendere nulla.

Poco male, perché in quel campeggio avremmo soltanto dovuto dormire, mentre il nostro obiettivo era la zona a densa attività geotermica, con le rare (per l’Islanda) montagne giallo-arancioni di riolite. Qui ogni parola era superflua…

Non c’era quasi nessuno, e la solitudine, unita alla grandezza dei fenomeni naturali intorno, hanno contribuito a darmi quella sensazione di insignificanza unità a poderosa consapevolezza di essere vivo che è uno dei più bei regali che l’Islanda sappia offrire.

Nel tardo pomeriggio ci siamo diretti alla zona geotermale di Hveravellir. Un caffè al rifugio e un bagno nella pozza d’acqua caldissima in compagnia di altri viaggiatori, e il benessere fisico è stato ripristinato.

La mattina successiva avremmo dovuto tornare a casa, ma siccome il tempo prometteva benissimo, abbiamo deciso di fare una follia e dirigerci verso la grande mecca dell’escursionismo negli altipiani islandesi: Landmannalaugar.

L’abbiamo raggiunta dopo tre/quattro ore di guida con la Dacia Duster che proseguiva, fedele e affidabile, sui tratti tortuosi e pieni di buche.

La strada per raggiungere il campo base di Landmannalaugar mi ha regalato alcuni degli scorci più commoventi che avessi mai visto:

L’atmosfera però – devo ammettere – non mi ha entusiasmato tanto quanto a Kerlingarfjöll: un’orda di auto, jeep e camper, tende colorate, una fiumana di persone, e un via vai accompagnato da un cicaleccio insopportabile di escursionisti intenti a scattarsi selfie e a socializzare. Non era quello che cercavo o che mi aspettavo.

Ho trovato però quello di cui avevo bisogno sulla strada del ritorno, con una sosta al colossale cratere di Ljótipollur. Non c’era nessuno, e dall’orlo del cratere la vista sembrava spingersi fino a coprire un terzo di tutta l’Islanda: i neri altipiani, striati dal muschio verde, i monti incisi da laghi glaciali, i colori saturi accentuati dal brillare caldo del sole…quello era il paradiso.

Siamo riusciti a rientrare a Reykjavík per le cinque, e siccome avevo sentito la mancanza di cultura, mi sono fermato nel mio amato Bókakaffi di Selfoss (un caffè che è anche negozio di libri nuovi e usati), e qui ho trovato un’attempata e preziosa edizione del Landnámabók, il libro medievale che registra la storia della colonizzazione dell’Islanda e delle vite dei primi coloni. Un’edizione a tiratura limitata con copie numerate.

È stata per me un’esperienza un po’ diversa da solito, e mi ha davvero dato occasione di riflettere su tante cose: il vuoto, il silenzio e la pace che regnano sugli sconfinati altipiani sono il contorno migliore per ponderare diverse questioni su sé stessi e sulla propria vita. Cosa che ho puntualmente fatto, e di avere avuto questa occasione sono molto grato.

2 risposte a “Kerlingarfjöll e Landmannalaugar”

  1. Che bei posti!

  2. Descrizione fantastica di questi luoghi, altrettanto posso dire dei tuoi stati d’animo di fronte a questi paesaggi . Io li avrei provati allo stesso modo perché amo la solitudine ma non troppo, certi paesaggi sono anche un po desolanti, per il clima. Se tornerai in Italia, non so se durante l’anno vieni qualche volta, forse non ti adatterai più al nostro caos. L islanda quanto è
    grande? A quale o quante regioni italiane insieme può essere paragonata? Da dove deriva il nome Islanda? Ha un significato proprio? Ho ricevuto il libro la Saga di Gunnar, Buon lavoro alla prossima

Rispondi a Pietruccia doreAnnulla risposta

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