Nella Terra di ghiaccio. Viaggio in Islanda.

 Islanda. Islandese: “Ísland”, IPA: [ˈislant], Terra del ghiaccio.

     Sono tornato giusto ieri da questo viaggio incredibile che mi ha rivoltato lo spirito (o quello che è) come un calzino. Non mi sono reso conto nemmeno di quello che stava succedendo. Alt.

Stavo andando in Islanda. Incredibile.

Per me l’Islanda era una di quelle mete inarrivabili a cui si pensa per un domani, quando si avranno soldi e volontà. Un domani che il più delle volte non arriva mai e lo si sa fin troppo bene. Be’, la fortuna ha voluto che mi trovassi a Edimburgo proprio l’anno in cui hanno aperto una nuova tratta tra la capitale scozzese e quella islandese, e che l’offerta lancio fosse incredibilmente vantaggiosa. Un centinaio di sterline andata e ritorno, quando per raggiungere la Terra del Ghiaccio ce ne vogliono almeno sette volte tanto!

Sono riuscito a spendere meno di 400€ in circa 8 giorni che ho passato sull’isola, e le spese hanno incluso anche una copia storica e critica molto elegante con sovracoperta dell’ Islendingabok (Libro degli islandesi) e Landnamabok (Libro della presa della terra), testi fondanti dell’identità islandese, il cui volume mi è costato una trentina di €! 

Per risparmiare abbiamo fatto le prime due notti a casa di una signora svizzera trapiantata a Reykjavik conosciuta su Couchsurfing, la quale ha ospitato me e la mia ragazza nutrendoci a colazione pranzo e cena senza spese da parte nostra, e che ci ha lasciato provviste abbondanti per i giorni successivi in ostello. Questo ci ha fatto risparmiare parecchio. 
Arrivati all’aeroporto di Keflavik, siamo rimasti sorpresi dalle dimensioni sproporzionate al numero di voli in arrivo e in partenza. Sui tabelloni ne abbiamo contati massimo sei, per una trentina di gates, e un’infinità di negozi e bar (tutti chiusi!). Il bus andata e ritorno è costato una ventina di €, e ci ha guidato attraverso un deserto freddo di rocce laviche e licheni. Una tundra in riva al mare, con la strada nera che si snodava a perdita d’occhio. Tante strade sembrano nuovissime , e spesso lo sono, perché a causa dei terremoti l’asfalto viene sbriciolato e agli islandesi tocca riasfaltare da capo. Reykjavik è una città con pochi abitanti, ma ospita comunque un terzo abbondante della popolazione del paese (che ammonta a circa 300.000 abitanti – meno della provincia di Cremona!). La città è però molto “spalmata”, per cui occupa una superficie abbastanza estesa. A parte il centro, le zone di periferia sono spesso veramente orrende. Quartieri di casette in cemento grigie e dall’aspetto sporco e mal tenuto, marciapiedi sconnessi e ragazze in tuta di nylon che spingono passeggini. Il centro città però è tutta un’altra cosa: immensamente colorato, con le bellissime case tradizionali di legno ricoperte in lamiera isolante ondulata e dipinta a colori brillanti, che danno tantissima vivacità al paesaggio austero dell’Islanda. 
La prima cosa con cui abbiamo dovuto fare i conti è stata l’acqua: l’acqua di rubinetto islandese viene dalla terra già calda, è quella fredda che deve essere raffreddata, al contrario che da noi. Il fatto che l’acqua calda venga da sorgenti naturali calde, significa che conserva anche le qualità minerali naturali. Incluso il fetore di uova marce dovuto allo zolfo. Ci si abitua e non lascia un odore forte sulla pelle, ma può essere davvero fastidioso.
 Il primo giorno abbiamo fatto un tour del famoso Golden Circle. In questo percorso sono raggruppati alcuni tra i punti di interesse più importanti dell’intero paese. Abbiamo avuto cura di scegliere un tour che usasse un piccolo pulmino da una quindicina di posti anziché i siluri soliti da cento posti. Questo perché con meno gente è più facile accomodare i tempi e soddisfare tutti, quando si è sbattuti in una mandria da dozzine di capi, si perdono secoli a far scendere e salire tutti e i tour sono abbastanza serrati. Con questo non solo ci siamo fermati per parecchio tempo nei punti di interesse tradizionali, ma abbiamo fatto diverse soste in più per vedere attrazioni minori che solitamente vengono snobbate.
Abbiamo visto un cratere ripido e scosceso di terreno e roccia rossissima, riempito di acqua turchese, il paesaggio di questa parte dell’Islanda ricorda a tratti quello scozzese, ma è più spoglio e austero. La prima tappa canonica è stata al limitare delle terre alte, o altipiani interni: la cascata di Gullfoss, ovvero cascata dorata, il cui nome potrebbe derivare da una leggenda secondo la quale un ricco avaro vi avrebbe gettato i suoi averi prima di morire perché non tollerava l’idea di passarli ad altri. Qui il panorama è davvero spettacolare: la cascata è davvero maestosa e l’acqua precipita in una gola per poi alzarsi in nuvole di goccioline che vengono espanse dal vento rompendo la luce in tanti colori. Dall’alto del dirupo si poteva ammirare, oltre alcuni picchi, una linea bianca lunghissima e sterminata che spariva oltre l’orizzonte: il Langjökull, uno dei ghiacciai perenni più grandi del Paese.
La seconda meta è stata Geysir, un soffione che ha dato il suo nome a tutti i soffioni del suo tipo, oggi chiamati Geysers in lingua inglese. Il vero Geysir purtroppo non funziona più, perché per lo spruzzo di acqua calda e vapore, occorrono dimensioni delle aperture sotterranee, temperature e altri dettagli parecchio specifici che non si mantengono in eterno. In compenso l’altro geyser accanto funziona benissimo ed è anche molto alto. Soffia in media ogni 4/5 minuti per cui è garantito vederlo. L’acqua è bollente, quindi la pozza che ribolle è recintata. l’area circostante fuma parecchio, ci sono colonne di vapore che si alzano da buche nel terreno. E’ davvero surreale.
 Lo stop successivo è stato il parco nazionale di Þingvellir, il posto che a me interessava di più 😉
Il nome di quest’area significa letteralmente “Pianure del parlamento”, ed è in questa zona che si riunivano le famiglie degli isolani in età vichinga una volta all’anno per discutere questioni amministrative e giudiziarie. Prima del termine delle varie assemblee di capi, tutta la gente ascoltava l’uomo della legge recitare a memoria le leggi del Paese dall’alto di una roccia, su cui adesso è installata una bandiera. Il sito ospita anche la casa estiva del presidente, che non è sorvegliata visto che gli islandesi non rompono le scatole al prossimo quindi non hanno nulla da temere, e una chiesetta davvero bella. Quest’area è una delle più fotografate di tutta l’Islanda, e il suo interesse non risiede soltanto nell’importanza storico-politica che ha assunto. Infatti, anche dal punto di vista geologico questa zona è piuttosto sorprendente: sono chiarissimamente visibile nel terreno grosse faglie, alcune delle quali colme d’acqua: è il punto in cui la placca tettonica eurasiatica e quella americana si incontrano. Dal centro di questa enorme faglia, visibile solo in Islanda perché il resto è sepolto sotto le acque dell’oceano Atlantico dove forma una catena di rilievi, si riversa materiale, principalmente lava, così che l’isola, spaccata a metà, viene spinta verso est e ovest di in media 2/3 centimetri l’anno. Sembra però che mentre l’isola si espanda dal centro verso la periferia, le sue rive sprofondino nel mare alla stessa velocità, così che non si ha un aumento di superficie apprezzabile.
Una cosa che mi ha colpito tanto dell’Islanda è la pervasiva presenza di alberi in certe zone, che contrasta con la loro assoluta assenza in molte altre. Questa questione attira molto la curiosità di molte persone, mentre altre pensano che sia semplicemente troppo freddo perché gli alberi prosperino. Non è così: ai tempi della colonizzazione, una porzione consistente dell’isola era forestata (faceva eccezione l’interno, i cui altipiani, allora come oggi, sono una tra le aree più inospitali del mondo), ma lo sfruttamento intensivo per la legna e per far posto i pascoli, hanno spogliato troppo velocemente un terreno giovane e molto sottile, così che il vento e l’erosione lo hanno spogliato della sua parte superficiale più fertile. Un’altra grave minaccia all’espandersi delle foreste sono le pecore, che per tradizione vengono lasciate libere in ampi spazi, divorando ogni virgulto appena spunta e impedendo alle piante di crescere. Si stanno compiendo comunque grandissimi sforzi per riforestare, particolarmente in città e in alcune zone della campagna si trovano un mare di betulle e pini che abbelliscono notevolmente il panorama.

Per coltivare alberi da ripiantare, vengono usate serre alimentate a geotermico, onnipresenti in tutto il paese a quanto dicono. E qui colgo l’occasione per lanciare una mia invettiva colossale: non è vero che l’Islanda è un paese di carnivori e pescivori, anzi. Nei negozi il salmone non costa meno di un chilo di frutta, e il fatto che esistano tante serre geotermiche fa sì che siano disponibili frutti tropicali anche d’inverno. Non che costino poco, né che siano buoni come quelli brasiliani, ma è comunque qualcosa. Inoltre, a Reykjavik esistono più di dieci ristoranti vegetariani/vegani, e dalla Danimarca è arrivata la moda raw food. Insomma, mangiar verdura va di moda, con bona pace di quelli che credono di trasformarsi in una nazistica superiore razza nordica mangiando tutto quello che respira. I nordici mangiano verdura, idioti!

Mi devo calmare.

Ok, il giorno dopo abbiamo visitato la capitale. Si gira facilmente a piedi, e si possono ammirare orrori quali la Hallgrimskirkja, che a differenza di quanto pensi l’universo, non è la cattedrale. E’ soltanto un’orribile gettata di cemento a forma di Space Shuttle. L’unico lato positivo, oltre alla ficherrima statua di Leif Eriksson, scopritore del Vinland (alias, America) orientata verso il nuovo mondo, è la torre di detta chiesa, sulla quale si può salire in ascensore sborsando 700 isk. Sì certo. Non dite che ve l’ho detto ma è un segreto pubblico che si può salire senza pagare perché tanto non controlla nessuno. La vista devo ammettere che è alquanto entusiasmante, ma settecento corone non le vale neanche a morire. Al massimo fate un’offerta in chiesa per alleviarvi la coscienza. Altrimenti fustigatevi in segreto una volta tornati in ostello.

Nel pomeriggio abbiamo fatto una camminata un po’ estenuante fino al porto, e al ritorno abbiamo deciso di fare auto-stop, visto che a quanto pare è il modo di spostarsi più comune del Paese (a quanto dicono). Dopo due o tre tentativi falliti, si ferma un signore di mezza età, baffuto e con la coppola, biondo e dagli occhi azzurri, con due pargoli al seguito. Ci invita a salire e ci chiede dove stiamo andando. Dopo qualche domanda di rito del tipo chi siete e cosa fate, ci dice che una visita in Islanda non è completa senza aver provato una birra locale, e ci informa che è proprietario di due bar, uno dei quali proprio vicino al nostro ostello. Niente, non stavamo capendo dove volesse andare a parare, e prima che potessimo capire, ci scarica dalla macchina e ci conduce in un bellissimo pub, dove abbaia qualcosa alle ragazze dietro il bancone, che ci allungano due bicchierazzi di birra. Lui se n’è andato e non abbiamo potuto ringraziarlo neanche! La birra era fantastica, e non vi dico cosa ci sarebbe costata se l’avessimo pagata. Ai supermercati la birra è abbordabile, ma nei locali i prezzi per l’alcol sono inavvicinabili: l’equivalente di dieci € per un cocktail è la norma!

Elding è una compagnia che organizza tour nell’Atlantico per vedere cetacei. Ho fatto un tour di qualche ora in oceano aperto, con onde molto alte e un vento terribile. Il prezzo del tour, corrispondente a una sessantina di sterline, include il noleggio di una specie di muta da astronauta, che protegge parecchio dal freddo, ma impedisce i movimenti. Il prezzo del biglietto è valso la corsa: abbiamo visto pulcinelle di mare, fulmar, un paio di balene, e due specie diverse di delfini, una delle quali è passata in branco, saltando fuori dall’acqua e nuotando velocissima sotto la prua della nave. Consiglierei un’esperienza del genere a chiunque, anche se non ve ne frega dei cetacei, perché è davvero forte la sensazione di essere in mezzo all’oceano con quei mostri che nuotano. Altra parentesi per i carnivori assatanati: la compagnia che organizza i tour è fortemente contro la caccia alle balene, e ci hanno spiegato come solo il 5% degli islandesi consumi, o abbia mai consumato, carne di balena. Il mangiarne non è una tradizione islandese, ed ha iniziato a essere comune solo con l’avvento di navi più moderne. Malgrado il numero basso di islandesi che consumano carne di balena, la pesca è aumentata, e la ragione sono i soliti turisti deficienti che pagano prezzi astronomici convinti di mangiare un manicaretto locale. Farsi spennare per mangiare specie in pericolo e uccise crudelmente (data la difficoltà delle condizioni in cui si catturano, è impossibile uccidere le balene in modo “umano” -espressione idiota ma è quella in uso). Applauso alla demenza. Ovviamente ci sono quelli che dicono come non sia poi un problema perché le balene uccise sono di una specie abbondante etc. etc. Ma anche gli umani sono una specie abbondante eppure non mi pare di per sé una buona ragione per darsi al cannibalismo. Credo che le balene meritino di vivere in pace e non di essere brutalmente massacrate da arpioni per poi agonizzare appese al fianco di una baleniera. Meritano di essere viste saltare fuori dall’acqua vive e vegete.

Stop.

   Il parlamento islandese è quanto di più sobrio possiate trovare. Questo paese, fino alla metà del secolo scorso, era quasi ai livelli di povertà del terzo mondo, e ha visto arrivare la sua ricchezza più avanti grazie al pesce. Ce n’era in abbondanza e c’erano anche i mezzi per esportarlo facilmente. L’Islanda era rimasta la stessa dal medioevo, e in qualche decennio è diventata il paese più ricco del mondo, con il tenore di vita più alto, con il numero di cellulari per abitante più alto, con la copertura di rete cellulare più estesa e tante altre cose ancora. Gli islandesi, forse per un senso innato di rivalsa rispetto all’arretratezza del passato, amano le novità tecnologiche, e non se ne fanno mancare una. Una cosa che adorerete, è la presenza massiccia di connessioni wi-fi gratuite, sui pullman, nei negozi, nei bar, nei ristoranti, all’ufficio turistico. Ovunque! Non manca mai! Così potrete condividere coi vostri amici di facebook il vostro entusiasmo.
Dietro al parlamento si trova “Lo Stagno“, un laghetto neanche troppo brutto e pieno di volatili amichevoli. Da quelle parti si trova anche la cattedrale cattolica. Un’altra gettata di cemento. Ohibò!

Il giorno successivo abbiamo fatto una bella cavalcata di due/tre ore tra le vallate, attraversando corsi d’acqua e salendo su colline impervie. I pony islandesi sono l’unica specie equina ammessa sull’isola, e pare che la legge che impedisca l’introduzione di altre razze per preservare quella locale e scongiurare malattie, sia la più vecchia ancora in vigore! Per la cavalcata abbiamo scelto una fattoria a conduzione familiare, così da finanziare l’economia locale (oddio come siamo bravi) e la scelta ci è piaciuta parecchio perché le persone -e i cavalli- erano davvero amichevoli.
Non ci siamo fatti mancare le acque termali, ma non nella pacchiana Blue Lagoon. Sebbene questa sia considerata uno dei must per chi viaggia in Islanda, abbiamo raccolto molte opinioni dai locali, e in media la risposta era “Io vado alla piscina xxx, la Blue Lagoon è più per turisti e sebbene il panorama non sia male, i 50€ di accesso non li vale, tanto più che non è nemmeno completamente naturale e l’acqua è tiepidina”. Quindi siamo andati in una piscina locale, appena fuori dal centro, dove abbiamo lessato le nostre membra in una piscina di acqua di mare pompata e arricchita di minerali e scaldata a 40°. Cristo che goduria. L’accesso alla piscina avveniva attraverso tornelli attivabili con un braccialetto gommoso magnetico, le docce avevano taniche di sapone collegate a un rubinetto (gratis) e una macchina centrifuga per asciugare i costumi bagnati (gratis anche questa). Il tutto per l’equivalente di 2/3€. Altro che Blue Lagoon.


   Una sera abbiamo fatto una bella camminata fino al faro al limitare ovest della città. Panorama superbo, sole alto alle 10 e mezza di sera. Tanta roba. L’unica cosa è che eravamo stanchi, per cui per ritornare abbiamo fatto autostop. La mia ragazza ha fermato tre giganti biondi e tatuati dall’aspetto poco raccomandabile . E invece erano i tipi più simpatici dell’universo. Ci parlano in inglesi tutti sorridenti ed esaltati, uno mi fa “destra, sinistra, bianco, rosso!”, e mi informa di essere stato in Italia. Ci accompagnano vicino all’ostello e ci informano che per il weekend ci sarà del casino in città perché i pescatori tornano tutti all’ovile e quindi si fa baldoria. Pescatori o no, complice la luce che non manca mai nemmeno alle due di notte, Reykjavik non sembrava dormire mai. C’era sempre del casino o gente in giro, a qualsiasi ora. Data la totale assenza di buio nell’arco delle ventiquattro ore, è comodo dormire quando capita, e approfittare del sole, a qualsiasi ora si presenti. Ad esempio, se il pomeriggio è nuvoloso, conviene farsi una bella dormita e stare su fino a notte tarda quando, eventualmente, ci sarà bel tempo. Un famoso monumento della capitale islandese è il sun voyager, una rivisitazione stilizzata moderna di una nave vichinga, si trova sulla strada che costeggia il mare, a pochi passi da Höfði, una costruzione prefabbricata spedita dalla Norvegia, e considerata il più bell’edificio deLla città. E’ stata la sede dell’incontro tra Reagan e Gorbachev che ha posto fine alla guerra fredda. 

   Il Folk Museum è un’altra bella chicca. Per prenderlo è utile il bus 19 dal centro. L’autista spiega quando scendere e che direzione prendere poi a piedi per raggiungerlo. Basta dirgli che ci si vuole andare. Il museo consiste in una serie di edifici storici, la maggior parte dei quali accessibili, che mostrano la vita islandese dei secoli passati. Il confort di certe abitazioni non si può nemmeno immaginare, e anche le casette più piccole coi tetti coperti di erba, spesso sono davvero accoglienti. Data l’imprevedibilità del tempo, è buona cosa vestirsi a cipolla con un bel maglioncino e poi su un’impermeabile.

Oltre a qualche cartolina, il mio meritato souvenir, come anticipato all’inizio è stato un libro abbastanza importante. Purtroppo il mercato del libro islandese non è mai economico e i prezzi non sono affatto prevedibili. Il motivo è la piccolezza del mercato, per cui prezzi economici non permetterebbero un ritorno economico apprezzabile. Tuttavia, se siete appassionati, è bello avere in casa una bella saga islandese nell’originale!

Be’, spero di avervi interessato. Ho omesso parecchi piccoli episodi minori, per non allungare troppo il brodo, ma spero di avervi dato un minimo di ispirazione e impulso!

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