Il “museo” in Islanda

Il Consiglio internazionale dei musei (@ICOM si è riunito nel 75° congresso, e ha approvato una nuova definizione di museo:

“Un museo è un’istituzione permanente, senza fini di lucro, al servizio della società che ricerca, raccoglie, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico, professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo svariate esperienze di educazione, divertimento, riflessione e condivisione delle conoscenze”.

Voglio soffermarmi ad analizzare alcuni termini chiave che ho evidenziato nell’estratto:

  • Interpreta: il museo non si deve limitare a mostrare, ma deve anche interpretare, ovvero spiegare a chi non ha ancora gli strumenti per comprendere ciò che vede.
  • Immateriale: la cultura non si esplica solo in oggetti, magari d’arte, ma anche in una serie di tradizioni, usi, costumi e sapere che hanno attraversato i secoli
  • Accessibili e inclusivi: il museo deve essere calibrato in modo da costituire un’esperienza di apprendimento anche per chi non ha delle basi solide sull’argomento trattato.
  • Svariate esperienze: non esiste solo il museo come deposito di oggetti e artefatti da ammirare, ma una costellazione di modalità ed esperienze diverse.
  • Divertimento: il museo non deve necessariamente essere una pesante e seriosa istituzione autoreferenziale che crede di darsi maggiore importanza ponendosi in tale modo. Un museo può essere anche un’esperienza divertente e interattiva.
  • Riflessione: un museo non dovrebbe semplicemente essere un modo di guardare cose per poter dire di averle viste. Dovrebbe essere un’occasione per riflettere su aspetti della cultura di altri tempi e luoghi, o branche del sapere che non avevamo esplorato prima e come queste possono cambiare certe nostre prospettive sulla realtà.

Mi sta molto a cuore la questione del ruolo dei musei: se mi seguite da tempo sapete quanto insisto sul fatto che bisogna dimenticarsi il concetto di museo come di deposito di opere d’arte e artefatti archeologici di elevata maestria artistica che ancora molti di noi si trascinano. Idea che impedisce loro di apprezzare realtà diverse, precludendosi esperienze anche importanti.

Anche perché il più delle volte, chi concepisce così i musei non fa altro che passarci attraverso, fotografando qualcosa, ma senza imparare nulla e illudendosi di aver fatto un’esperienza culturale. Si impara di più soffermandosi una mezz’ora a leggere le informazioni di un piccolo museo islandese (o un qualsiasi museo italiano se è per questo), che non sfilando in una grande e prestigiosa istituzione museale limitandosi a guardare senza capire nulla della storia che sta dietro a quanto è presentato.

È questo atteggiamento insopportabile che porta tanti a snobbare i musei islandesi (ma anche musei italiani che non sono dedicati a — oppure non hanno — una collezione di oggetti d’arte più o meno antica): il museo non è un deposito. Il piccolo museo archeologico di Metaponto non vale meno di quello di Taranto perché ha meno reperti o perché non ne mostra di altrettanto opulenti.

Il museo è appunto un’istituzione deputata alla conservazione e alla promozione di un patrimonio anche immateriale, come dice la nuova definizione. In questo senso, la storia raccontata dal museo di Metaponto, o dal museo della cultura locale del paesino islandese, non valgono meno dei musei vaticani dal punto di vista del valore per l’apprendimento. Insegnano e mostrano cose diverse. Nei musei si va per imparare, non per poter dire di aver visto dal vivo la tale opera d’arte, perché, a differenza degli esperti di cultura antica sui quali i musei erano tradizionalmente calibrati, la maggior parte di noi non entra mai in un museo già sapendo cosa ci troverà dentro e la storia dietro a ogni oggetto esposto. Nell’Ottocento al museo andavano persone di estrazione sociale elevata e con un’educazione magari classica alle spalle, e ci andavano a vedere dal vivo le cose che avevano studiato.

Ormai i musei non possono essere più così: devono essere percorsi didattici, che sfruttano più sensi, come olfatto, udito, tatto… così che quando ci si esce si sono apprese più cose di quante ne resterebbero leggendo un volume sull’argomento. Alla casa di torba di Glaumbær, per esempio, hanno già implementato gli occhiali per la realtà virtuale, dove si può vedere il museo della fattoria di torba con attori in costume che lavorano usando strumenti tradizionali. Avendo visto si capisce meglio che in qualsiasi descrizione.

Quando venite in Islanda, provate a fare vostro questo atteggiamento, ponetevi con umiltà rispetto alla storia di questo Paese, e con l’atteggiamento di chi ha tanto da imparare, anziché anziché ostentare snobismo rispetto a una cultura che non ha prodotto affreschi e capolavori in marmo. Scoprirete che potrete comunque apprendere tantissimo sul mondo che vi circonda e su voi stessi, e ciò potrà farci scaturire riflessioni anche importanti per le quali sarete grati di aver fatto queste esperienze.

2 risposte a “Il “museo” in Islanda”

  1. Avatar Rosella Bertolotto
    Rosella Bertolotto

    Che bell’articolo, grazie di averlo scritto. Anche in Italia ci sono tanti piccoli musei contadini, che contengono oggetti vecchi e comuni, di poco prezzo, ma che illustrano bene i mestieri, le abitudini e il modo di vivere dei luoghi nel passato. Mi commuovono sempre in particolare le scritte, tipo “dono dalla famiglia X” perché significa che quei nipoti hanno voluto condividere gli attrezzi del nonno o i mobili della casa avita anche con noi.

  2. Grazie per il messaggio e la tua spiegazione su museo. Dal 3 al 5 di settembre saro’ in Islanda e avro’ gia una infarinata di quello che e’ l’islanda grazie al tuo libro e al tuo blog. Cordiali saluti e tanti auguri per la stagione

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