Le origini dell’Islanda e il problema delle fonti

L’attendibilità storica delle fonti antiche è raramente un fatto ineluttabile: quando leggiamo testi antichi possono sfuggire un numero imprecisato di ragioni, intenzioni, interessi e molto altro che hanno contribuito alla presentazione dei resoconti nella forma in cui essi sono stati messi per iscritto. Quando mancano fonti indipendenti che confermano un determinato resoconto, gli storici gettano spesso un gran numero di supposizioni (si spera plausibili) per cui tale resoconto possa essere o meno attendibile, a partire dagli interessi politici del suo autore.

Un esempio lampante è la questione della colonizzazione dell’Islanda, e di tanti dettagli che la riguardano, come la cronologia, le cause scatenanti, le dinamiche e — non ultimo — la supposta presenza di eremiti cristiani di origine britannica, i cosiddetti papar. Due tra le fonti più antiche della storia d’Islanda, composte ovvero la Íslensingabók e la Landnámabók, descrivono l’inizio della colonizzazione islandese in modo in apparenza del tutto neutro:

Íslendingabók, cap. I

L’Islanda fu colonizzata per prima cosa dalla Norvegia, nei giorni di Haraldur il Bellachioma, figlio di Halfdán il Nero, nel periodo in cui (secondo i calcoli di Teitur, mio padre adottivo, l’uomo più saggio che conosca, e figlio del vescovo Ísleifur, di Þorkell, mio zio materno, che aveva una memoria eccezionale, e di Þuríður, figlia del goði Snorri, la quale era sapiente e precisa) Ívar figlio di Ragnar loðbrók fece uccidere Edmondo il santo, re degli inglesi; ciò avveniva il settantesimo anno del nono secolo (870) dopo la nascita di Cristo […]. Ingólfr era il nome di un norreno (norvegese), ed è correttamente riportato che fosse il primo a viaggiare da là (dalla Norvegia) all’Islanda, quando Haraldur il Bellachioma era sedicenne, e tornò in Islanda l’anno successivo. Visse a sud, a Reykjarvík. […] In quel tempo l’Islanda era ovunque ricoperta di foreste tra i monti e le spiagge, e vi si trovavano dei cristiani, quelli che i norvegesi chiamano papar, i quali se ne andarono in seguito perché non volevano restarsene in mezzo a dei pagani, e lasciarono dietro di sé libri in irlandese, campane e bastoni pastorali, da ciò si capiva che erano irlandesi. Iniziò poi un gran movimento dalla Norvegia verso l’Islanda, al punto che re Haraldur lo proibì, temendo uno spopolamento della sua terra.

Leggendo questo testo, uno potrebbe essere tentato di riportare queste notizie pari pari in un qualsiasi volume o sussidiario di storia, e in effetti così è stato fatto fino a tempi abbastanza recenti, ma questo resoconto non è affatto libero da problemi: nonostante l’autore si premuri (in modo davvero encomiabile, per un autore medievale) di riportare informazioni il più possibile corrette, citando le fonti e verificandone l’autorevolezza — cosa che dovremmo imparare a fare anche noi, quando condividiamo articoli deliranti e di dubbia provenienza) mancano riscontri indipendenti che ne confermino tutti i dettagli, e anzi alcuni riscontri contraddicono quanto riportato.

Per fonti/riscontri indipendenti, si intendono prove ed informazioni che confermano il contenuto di una data fonte senza essere derivati da essa: se abbiamo una miriade di testi che parlano di un personaggio, ma tutti quelli prendono le informazioni da un unico testo più antico, e di dubbia attendibilità, questa miriade di testi non può fungere da prova per confermare la veridicità del testo antico, proprio perché si rifà ad esso. Serve trovare testi dimostrabilmente non derivati da quello più antico, per poterne confermare la validità. Immaginatevi oggi un giornale che si inventa una notizia falsa, e questa notizia viene recuperata e diffusa da tanti altri giornali: solo perché i giornali che la riportano sono tanti, la notizia non è automaticamente attendibile, proprio perché tutti questi giornali l’hanno presa da una fonte unica e non attendibile (credetemi, succede più spesso di quanto non immaginiate!). Per accreditare una notizia serve che essa sia riportata in modo indipendente e confermata da diversi giornali che non abbiano preso il contenuto da altri giornali, ma riportato il contenuto di fonti esterne, testimoni oculari etc.

Per fornire un esempio di fonte indipendente che non conferma precisamente il resoconto di cui sopra sulla colonizzazione, nel 2018 è stato rinvenuto nell’est dell’Islanda, nello Stöðvarfjörður, un sito databile ad appena dopo l’anno 800, dunque quasi un secolo prima l’arrivo del “primo” colono, Ingólfur, nell’isola. Per la verità, pare si trattasse di un insediamento temporaneo per la caccia estiva, per cui è possibile che Ingólfur fosse stato davvero il primo a insediarsi in modo permanente in Islanda, ma il resoconto medievale tace su eventuali spedizioni economiche nei decenni precedenti.

Anche la narrazione per cui l’Islanda sarebbe stata colonizzata da nobili norvegesi in fuga dall’accentramento del potere di re Haraldur il Bellachioma è stata messa in discussione, visto che nessuna fonte europea menziona questo monarca in modo inequivocabile, cosa abbastanza strana. Nello stesso periodo troviamo le postere runiche di Jelling, in Danimarca, su una delle quali il re Haraldur Denteblu si identifica come re di Danimarca e Norvegia. Potrebbe essere una boutade senza un reale potere politico alle spalle, ma è indubbiamente strano che fonti, ad esempio, anglosassoni o irlandesi non abbiano registrato qualcosa di così impattante come l’affermazione di un’entità statale in Norvegia. Oggi gli studiosi si dividono tra chi crede che si tratti di una figura elaborata a partire da un qualche personaggio storico minore, e chi crede che invece sia stato inventato di sana pianta. La storia dei nobili norvegesi in fuga dalla tirannia sarebbe emersa all’inizio del secondo millennio come mito fondante in un momento in cui il peso politico della Norvegia si stava facendo sempre più pressante e gli islandesi sentivano il bisogno di asserire la loro identità contrapponendola a quella norvegese: un po’ come hanno fatto i leghisti della prima ora con la storia della Lega lombarda è della Battaglia di Legnano, che hanno assurto a proto-esempio di lotta del nord-Italia per l’indipendenza politica quando in realtà la lega non aveva mai messo in discussione l’autorità dell’imperatore, quanto semmai la su politica fiscale (consiglio a tal proposito il volume del mio ex-professore di storia medievale, Paolo Grillo: Legnano 1176: Una battaglia per la libertà, Laterza).

Quanto alla presenza di monaci irlandesi, non sono mai state trovate prove archeologiche della loro presenza, e a parte un paio di toponimi con la radice pap– e il nome delle isole Vestmannaeyjar (isole degli irlandesi) non c’è molto su cui lavorare. A questo punto uno deve chiedersi: ipotizzando che la loro presenza fosse inventata, quale motivazione avrebbe spinto a crearla? Uno scettico potrebbe pensare che gli autori cristiani avessero voluto creare un passato (appunto) cristiano per la loro terra, ipotesi alla quale si potrebbe obiettare dicendo che è una spiegazione molto più contorta dell’ipotesi che qualche eremita ci fosse davvero.

Ari ci dice che gli eremiti irlandesi “se ne andarono in seguito perché non volevano restarsene in mezzo a dei pagani”, ma questo solleva un dubbio: le fonti medievali, e in particolare la Landnámabók, presentano diversi dei primi coloni, e tra questi alcuni dei più importanti come Auður menteprofonda, Ketill lo stupido, Helgi il magro e Örlygur Hrappsson come cristiani, nonché edificatori di chiese. Viene riportato, per fare un esempio, che Ketill lo stupido si sarebbe insediato a Kirkjubær, là dove “c’erano stati dei (monaci?) cristiani” e che “nessun pagano poteva insiedarvisi” — e difatti, Hildir, un pagano che voleva appropriarsi della tenuta alla morte di Ketill, sarebbe morto sul colpo appena varcato i confini della proprietà.

A parte l’ovvio carattere letterario di quest’ultimo racconto, salta all’occhio l’incongruenza tra la storia dell’allontanamento spontaneo degli irlandesi per via del paganesimo dilagante, e il fatto che il cristianesimo non fosse poi così minoritario a sentire la Landnámabók. La presenza di toponimi d’ispirazione celtica e cristiana, specie nell’ovest islandese, come Patreksfjörður, derivato dal nome di San Patrizio, non è nemmeno essa di aiuto perché può essere facilmente derivata dalla permanenza norrena nelle isole britanniche.

Nel 2015 è uscito un libro interessantissimo, Into the Ocean: Vikings, Irish, and Environmental Change in Iceland and the North, University of Toronto Press, scritto dall’archeologo Kristján Ahronson, che ho avuto il piacere di conoscere e ascoltare dal vivo all’Università d’Islanda; in esso, l’autore crea una mappatura di incisioni rupestri cristiane islandesi e offre un confronto stilistico con altre simili rivenute in Scozia e Irlanda, concludendo che la somiglianza tra di esse depone a favore di una presenza gaelica in Islanda. Non è però una prova conclusiva perché queste croci non sono databili archeologicamente.

Non dimentichiamo, tra l’altro, che gli autori medievali non erano animati da uno spirito storico-scientifico in senso moderno, e i confini tra storia, letteratura e propaganda politica non erano affatto definiti, ragion per cui è sempre arduo estrapolare fatti storici dal materiale che ci è stato trasmesso.

Spesso, alle saghe più antiche, seguono genealogie precise che collegano i grandi personaggi di queste epiche vicende a figure più recenti — di solito vescovi, prelati o grandi signori. Dal momento che la stesura delle saghe era commissionata e/o eseguita sempre da (avete indovinato) vescovi, prelati e grandi signori, nasce puntualmente il sospetto che questi ultimi abbiano alterato qua e là la narrazione della storia dei loro antenati (veri o presunti) per giustificare, ad esempio, le loro pretese di controllo su un dato territorio. Se un proprietario terriero avanza delle pretese su una zona, posso “dimostrare” che quella zona è mia mostrando la saga in cui il mio antenato prende possesso di quel territorio. Effettivamente, fonti diverse (ovvero saghe diverse, o altri testi, sono spesso discordanti su quali coloni abbiano preso il controllo di quale territorio, e tante di queste versioni non collimano affatto, a dimostrazione di quanto sia difficile per gli storici districarsi nel labirinto di informazioni (spesso assai tendenziose) lasciateci dai cronisti e dagli autori medievali.

Alcune delle tradizioni narrate sull’origine dei toponimi islandesi sono dimostrabilmente false: alcuni nomi di persona nordici corrispondono a nomi di animali, come Björn (orso) o Hrafn (Corvo), ed è probabile che qualche mente fantasiosa si sia inventata dei personaggi per giustificare e spiegare dei toponimi che invece erano originati dalla presenza di certi animali.

La lezione da imparare, quando si tratta di storia, è che ricostruire il passato è qualcosa di difficilissimo e complesso. Questo non deve essere però preso come un pretesto per dire tutto e il contrario di tutto nascondendosi dietro alla mancanza di prove della tesi opposta a quella ci piace di più: “non puoi dimostrare che non è andata così” non è un argomento valido e, in mancanza di prove definitive dobbiamo semplicemente rassegnarci a non avere, nella nostra testa, una narrazione facile e lineare di un dato periodo storico, ma qualcosa di più nebuloso e sfuggente… e non c’è nulla di male in questo.

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