Menù di una scuola islandese del 1700

Ho scovato un articolo del periodico della società letteraria islandese (Hið íslenska bókmenntafélag) pubblicato nel 1886, che si dedica nel dettaglio al centro di Hólar í Hjaltadal, perla nascosta dell’Islanda settentrionale, e

La diocesi di Hólar, che copriva il Nord (esclusi i fiordi occidentali, i quali sono considerati “ovest”) fu fondata nel 1106, cinquant’anni dopo la diocesi di Skálholt, alla quale facevano capo le parrocchie di ovest, sud ed est del Paese, e che fino al Sette/Ottocento è stata de facto la capitale del Paese. Hólar fu fondata perché gli abitanti del nord volevano avere il potere vescovile della Chiesa (che è stato potere temporale in Islanda fino a tempi recenti) più vicino a loro e ai loro interessi.

Hólar oggi.

Oltre alla bellezza naturale impareggiabile della valle, e della chiesa, Hólar è un luogo ricco di storia, per via del suo essere stato uno dei due centri culturali principali, sede di una scuola associata alla cattedrale. Le vicende che ruotano intorno a questo luogo sono innumerevoli: politica, religione, intrighi, magia…ma non è di questo che voglio parlare in questa sede. Quello che ho incontrato nell’articolo, e che mi ha colpito maggiormente è la descrizione della vita degli studenti, che potevano essere poveri e non paganti, o ricchi e paganti, ma senza distinzioni di trattamento (almeno sulla carta).

Nel 1743 viene pubblicato un regolamento scolastico che include dettagli preziosissimi sulla vita nell’istituto: per l’ammissione era necessario saper leggere e almeno un po’ scrivere, e avere buone referenze. All’accoglienza venivano recitate preghiere e un discorso in latino da parte del vescovo. La cattiva condotta era punita con l’espulsione e la restituzione del costo sostenuto dalla scuola per la sua educazione. Le materie di studio erano soprattutto il greco e il latino, che gli studenti dovevano leggere e scrivere alla perfezione, e la teologia. Poi si insegnava a fare di conto, e si offriva un’infarinatura di ebraico, oltre allo studio di danese ed islandese. Ogni mattina e ogni sera si tenevano delle preghiere nella chiesa. Questo fa capire la misura in cui l’Islanda, per praticamente tutta la sua storia (eccettuato, ma nemmeno in modo completo, il primo secolo della sua colonizzazione, ovvero il X) è stata un Paese, per quanto povero e isolato, inserito, pienamente inserito nel mondo culturale dell’Europa occidentale. Il fatto che il greco e il latino fossero le principali materie di studio testimonia l’importanza attribuita alla lettura dei testi originali dei vangeli, e di tutto il materiale teologico e filosofico prodotto, senza contare che il latino era la lingua internazionale del mondo intellettuale, prima dell’inglese. Le élite islandesi viaggiavano per l’Europa per studio e lavoro non dissimilmente da quanto facevano le élite di altri Paesi.

Tornando alla nostra scuola, ciò che mi ha meravigliato di più è il menù settimanale, che suscita riflessioni interessanti. I ragazzi avevano due pasti nei giorni feriali e tre le domeniche, e tutto insieme. Ogni classe aveva un suo tavolo. Ci tengo particolarmente a riportare per intero il menù segnalato:

  • Lunedi; mezzogiorno: pesce e burro*, pappa di cereali e latte; sera: pesce e burro, skyr e latte
  • Martedi; mezzogiorno: pesce e burro, fagioli e carne; sera: pesce e burro, vescica natatoria fredda.
  • Mercoledi; mezzogiorno: pesce e burro e zuppa di carne; sera: pesce e burro e baccalà caldo.
  • Giovedì; mezzogiorno: come il mercoledì; sera: pesce e burro e slátur (salsiccia di fegato e salsiccia di sanguinaccio) freddo o caldo a seconda della disponibilità.
  • Venerdì ; mezzogiorno: pesce e burro e pappa di cereali; sera: pesce e burro e plokkfiskur pasticcio di pesce e patate.
  • Sabato; mezzogiorno: pesce e burro e slátur caldo; sera: pesce e burro, skyr e latte.
  • Domenica; mattina: pesce e burro; mezzogiorno: pesce e burro, zuppa di carne o carne e fagioli; sera: pesce e burro, pappa di cereali e acqua, con latte o burro sopra.

[* Per “pesce e burro” si intende il pesce essiccato, o stoccafisso, che assolveva alla funzione del pane.]

Pesce essiccato con burro salato.

Da notare come la componente più consistente della dieta fossero le proteine: il pesce essiccato che veniva consumato come fosse il loro pane offre un apporto nutrizionale di 80/90g di proteine per 100g, e solo 2/3g di grassi. Viene da domandarsi come potessero garantire il giusto apporto vitaminico e quali effetti avesse questa dieta sulla popolazione. Pare, effettivamente, che costipazione e stitichezza fossero un problema diffusissimo nell’Islanda del passato, e la dieta proteica ne era sicuramente un fattore scatenante.

A parte questo, bisogna anche notare che la dieta della scuola islandese non è significativamente meno varia di quella delle classi meno agiate dell’Italia di un tempo, e in certi casi può anche dirsi significativamente migliore: basti pensare alla dieta a base di polenta della pianura Padana, la cui carenza di vitamine del gruppo B causava la pellagra.

Interessante anche il fatto che lo slátur, ovvero l’insaccato di fegato e il sanguinaccio, non era così presente come ci si aspetterebbe dalla sua diffusione in tempi più recenti: ancora oggi è nel menù delle scuole, inclusi gli asili. Mancano invece totalmente le frattaglie conservate nel siero di latte acido, come il grasso di pecora arrotolato, la carne in gelatina ricavata dalla bollitura delle testine, i testicoli di montone e generalmente tutte le “primizie” di sopravvivenza che oggi sono consumate al massimo una volta all’anno in occasione della festività del Þorrablót.

Ho assaggiato questo cibo, e conosco islandesi più avanti negli anni che li consumano, seppur non spesso, senza alcun problema quando capita. Personalmente sono grato per come oggi, in Islanda, si possano ottenere frutta, verdura, cucina etnica, e tutti gli ingredienti del mondo, perché ridursi a consumare tali frattaglie significa veramente essere in lotta per la sopravvivenza.

I secoli della storia islandese dalla fine del Medioevo ad oggi sono molto poco conosciuti e promossi: per il marketing si spinge sempre sui “vichinghi”, che sono stati una parte marginale della società islandese, e sul paganesimo nordico, rimasto in auge per un periodo brevissimo, ovvero tra la fondazione dello stato nel 930 e la conversione al Cristianesimo nel 999/1000.

Ciò è motivo di offesa per molti islandesi, perché quando vedono il loro Paese rappresentato in modo romanzato per acchiappare click percepiscono una fondamentale mancanza di rispetto per la loro cultura. Inoltre, romanzare l’Islanda come una caricatura fatta di aurore boreali onnipresenti, neve, pulcinella di mare, tradizioni inesistenti, o distorte per renderle più accattivanti, e vichinghi, spinge i visitatori a comportarsi come se fossero a Disneyland, trattando gli islandesi come i folletti che colorano l’atmosfera di un parco divertimenti che non viene poi preso molto sul serio, se non per le visioni suggestive che offre.

È dunque fondamentale, come ricordo sempre, rammentare che l’Islanda non è un parco divertimenti ma un Paese con una cultura e una storia millenarie, radicato nella tradizione europea, e ancor più interessante e affascinante per essere riuscito ad esserlo a dispetto della sua povertà e del suo isolamento. Il miracolo culturale islandese è una fonte d’ispirazione incomparabile, e merita di essere conosciuto, capito e apprezzato.

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