Il venerdì che cade nel periodo tra il 19 e 25 gennaio, inizia l’antico mese lunare si Þorri. Da ormai più di un secolo, è uso festeggiare una ricorrenza che ha “rubato” il nome a una supposta celebrazione pre-Cristiana, sulla quale però non sappiamo praticamente nulla. La festa attuale è stata inventata a fine Ottocento nel contesto del nazionalismo, come modo di celebrare la propria identità al tempo della lotta per l’indipendenza dalla Danimarca, ed oggi è una ricorrenza molto sentita dagli islandesi, essendo un momento per celebrare la vicinanza con la comunità locale e le proprie radici.
Per gli islandesi che vengono dalla campagna, ma vivono in città, è uso tornare ai loro villaggi d’origine per incontrare le vecchie conoscenze, ma anche organizzare tavolate nella capitale per gli islandesi le cui origini affondano in una determinata zona del Paese. La celebrazione consiste in una cena con ampie tavolate, in cui sono serviti cibi tradizionali all’interno di appositi vassoi o trogoli (bakkar, trog). Nel corso della serata ci si alza in piedi per intorniare canti tradizionali tutto insieme, si tengono discorsi e ci si diverte insieme. La festa è nominata Þorrablót, con la parola blót in antico islandese indica un sacrificio rituale.

Per il visitatore, tuttavia, più che per l’occasione sociale — che per un forestiero è indubbiamente preziosa per inserirsi! — è il cibo a costituire l’attrattiva principale. Si tratta del cibo che veniva consumato regolarmente nei tempi andati per sopravvivere all’inverno. Cibo che oggi nessuno consuma più, fatto salvo per occasioni come questa.
Personalmente lo vedo come un bel modo di rendere omaggio ai sacrifici fatti dalle generazioni passate, le quali sono sopravvissute anche grazie a questo cibo, al quale gli islandesi devono, per molti versi, la loro esistenza oggi.
Gli ingredienti possono variare, ci si può trovare il famoso squalo marcio, le flatkökur (specie di piadine morbide cotte sulle braci), il rugbrauð o pane di segale, purè di patate e rape, lifrapylsa o insaccato di fegato, blóðmör o sanguinaccio, la carne affumicata che si consuma anche per le feste di Natale…e il súrmatur, ovvero tutto quel cibo fatto di frattaglie varie che viene però conservato nel siero di latte acido.
Hangikjöt: “carne appesa”. Carne di agnello affumicata e poi bollita.
Saltkjöt: “carne salata”. Si spiega da sola. È sempre di agnello.
Sviðasulta: letteralmente “marmellata di bruciacchiato”, testa di pecora segata in due, col cervello rimosso, bollita per due ore finché la carne in si stacca dall’osso, poi viene versata in un recipiente e messa a raffreddare e il grasso si gelatinizza. Il bruciacchiato si riferisce al fatto che la testa di pecora viene esposta al fuoco per far carbonizzare il pelo. Ha un sapore di Simmental delicata.
Súrsviðasulta: “marmellata di bruciacchiato acida”. È come sopra, ma per conservarsi meglio viene immersa in siero di latte. Il sapore di Simmental si sovrappone a quello acido del siero di latte.
Hrútspungar: “testicoli di montone”. Preservati in gelatina. Sono disgustosi.
Lundabaggi: “filetto compattato”, grasso di pecora arrotolato e conservato nel siero acido. Sa di formaggio acidulo.
Bringukollur: “cima del petto”. Grasso dal torace di pecora.
Svið: “bruciacchiato”. La testa di pecora i cui peli sono stati bruciati via, che viene segata in due e bollita.
Harðfiskur: stoccafisso, pesce essiccato.
Rófustappa: è un purè di rape piuttosto buono e vagamente dolciastro.
Súrhvalur: è grasso di balena conservato nel siero acido.
Hákarl: il famoso squalo fermentato.
Rúgbrauð: pane di segale, dolce e morbido.
Flatbrauð: “pane piatto”, dall’aspetto ricorda le nostre piadine, ma è più morbido e ha un sapore più intenso di farina integrale.
Una delizia irrinunciabile…
Voi cosa dite? Assaggereste questa roba se veniste in Islanda? O magari ne avete assaggiato se siete già venuti?
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