Ho già riportato brevemente la mia esperienza di assaggio della carne di squalo groenlandese putrefatta, ma ritengo che questa delizia così quintessenzialmente (dall’inglese “quintessentially”) islandese meriti un post a parte.
<Il nome di questa perla da gourmet è hákarl [‘haukatˡɬ] (tipo “haukatl/haukartl” con la finale che sembra la “sh” di paperino) ignorate la trascrizione fonetica che trovate su Wikipedia, è palesememte sbagliata. Un’approssimazione sciocca di gente che approccia la fonetica come se fosse fonologia, gente che ritiene che una [tˡ] (t con rilascio laterale) e una “d” siano più o meno la stessa cosa quindi “chissene, scriviamo [d]”, e che una [ɬ] (fricativa laterale sorda) sia troppo simile ad una “l sorda”, per prendersi il disturbo di segnarla. A chi non si occupa di fonetica può sembrare pedanteria, ma sarebbe come dare del pedante a un medico che si ostina a dirvi che femore e “gamba” non sono termini intercambiabili ed è importante tenere distinti i termini per capire di cosa si sta parlando>
Se doveste trovarvi a Reykjavík e voleste provarlo, a volte lo si trova al supermercato, come l’onnipresente Bónus, che è un po’ l’equivalente islandese del LIDL, ma in genere lo vendono sottovuoto e in quantità pericolose, specie se poi vi si rivolta lo stomaco al primo boccone; ondepercui vi consiglio il mercato delle pulci di Kolaportið: nella sezione alimentare trovate dei piccoli assaggi da una decina di cubetti in mini-bicchierini di plastica, per circa 2€. Il mercato si trova in Tryggvagata, dirimpetto al vecchio porto, e una visita non è tempo passato invano; attenzione però: è aperto solo sabato e domenica, per cui, se avete in programma di uscire da Reykjavík in quei due giorni, dovrete cercare altrove.
Non mi dilungo troppo sulla preparazione: su Wikipedia è spiegata nei minimi dettagli; sintetizzo dicendo che si tratta di carne di squalo (solitamente della specie groenlandese), fermentata. Lo squalo non urina, per cui la sua carne è fradicia di tossine, per renderla commestibile gli tagliano la testa, rimuovono le interiora e lasciano sotto la sabbia il corpo per 6-12 settimane a marcire. La pressione della sabbia e la fermentazione fanno spurgare la carne, che viene poi appesa e lasciata a seccare per diversi mesi. Sviluppa una crosta marrone, mentre l’interno rimane bianco e dalla consistenza gommosa e un pochino filacciosa. Viene preparato a cubetti.
Alcuni islandesi, che in virtù del loro essere islandesi sanno esattamente come andrebbe consumato, vi diranno che dovreste ingoiarlo con shottini di brennivín, una sorta di vodka locale. Altri islandesi, invece, che in virtù del loro essere islandesi sanno esattamente come andrebbe consumato, vi diranno che è molto meglio mangiarlo così com’è. Altri islandesi ancora, che sempre in virtù del loro essere islandesi la sanno ben più lunga di tutti gli altri, vi diranno che è una schifezza rivoltante a cui nemmeno si avvicinano e che bisogna avere dei seri problemi per consumarlo.
Decidete voi a chi dare ascolto. Se siete dei vichinghiminkia probabilmente sarete più inclini a dare ascolto ai primi: i veri Víkingar (c’è, zio, so l’islandese) adorano il putridume e l’alcol. Quelli che detestano l’hákarl non sono veri islandesi, nemmeno se discendono in linea diretta da Egill skalla-Grímsson. I veri islandesi sono quelli che mangiano quotidianamente teste di capra e carne di balena, che fanno riti pagani ricostruiti in mezzo ai campi di lava e odiano l’Unione Europea e i turisti. Non ne ho ancora incontrato uno di questi personaggi, ma forse sono stato solo sfortunato (notare il sarcasmo).
Ribadisco comunque il mio giudizio emerso dopo l’esperienza iniziale: consistenza gommosa, odore di ammoniaca per l’igiene dei sanitari, sapore di brie andato a male estremamente pungente, botta di candeggina che sale dalla gola ed entra nel naso.
Se desiderate provare ma avete paura di fare la fine di Gordon Ramsey (che fa tanto il bullo e sbrana infantilmente ogni schifezza di origine animale che gli capita a tiro per fare un dispetto ai vegetariani), il quale ha miseramente rigettato l’assaggio, può aiutare parecchio tenere il naso tappato. Non si tratta della tortura cinese che qualcuno potrebbe immaginare.
Chiudo con una parentesi: hanno da poco aperto la caccia alle balene. I soliti vichinghiminkia invasati con l’Islanda difendo a spadatratta questa barbarie (perché c’è è la loro tradizione, chi diavolo sei tu, e poi noi facciam di peggio coi maiali quindi ci sta arpionare le balene), ma ci tengo a riportare che il grosso degli islandesi che ho incontrato sono fermamente contrari. Dati alla mano produce più entrate economiche una mattinata di tre escursioni per vedere le balene vive nell’atlantico che non squartare una carcassa per l’olio e la carne. Tradizionalmente tale carne non veniva consumata perché gli islandesi non avevano mezzi adeguati alla caccia fino all’ottocento, e nelle saghe le uniche balene che finivano sui piatti erano quelle spiaggiate. Non è vero che cacciano una specie non in pericolo, perché non c’è modo di sapere con precisione quanti esemplari ci siano in circolazione, e se viene consumata capita una volta ogni morte di papa tanto per togliersi uno sfizio. Non è parte integrante della dieta, non sono costretti a mangiarla, e viene sconsigliata per le donne in gravidanza e bambini perché ricolma di metalli pesanti.
Poi ci sono gli italiani che vengono qui e vogliono giocare a fare i germanici adattati e ne consumano quintalate nonostante i costi proibitivi, ma questi non voglio menzionarli.
L’unica persona con cui ho parlato che era pro-caccia si è rivelata una versione locale dei nostri leghisti dell’entroterra veneto o delle valli bergamasche: veniva da una zona rurale, faceva discorsi cospirazionisti di stampo grillino, blaterava scempiaggini dal vago odore razzista su turisti e immigrati, e recentemente ha deciso di eliminare il proprio nome perché non di origine germanica (anima candida, un terzo dei nomi islandesi già nelle saghe non è di origine germanica).
A questo punto potrei concludere con un bel “just saying” e lasciarvi alle vostre riflessioni.
Ed è proprio quello che farò.
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