Islanda, diabete e dieta chetogenica

In questo articolo voglio parlare di come l’ultimo grido in fatto di dieta qui in Islanda mi abbia notevolmente semplificato la vita. Da qualche mese a questa parte è esplosa la cosiddetta dieta chetogenica, una dieta che si propone di indurre l’organismo a metabolizzare il grasso in eccesso fornendogli una quantità ridotta di carboidrati attraverso la dieta e aumentando per contro i grassi. Per quanto ne so, la moda in Italia non è ancora arrivata, ma spero che ciò accada perché, da diabetico, mi eviterebbe un sacco di problemi ed equivoci ogni volta che torno per le vacanze. Ma andiamo con ordine.

La dieta si definisce chetogenica perché impone all’organismo di trarre energia dal metabolismo dei grassi anziché dei carboidrati. Quando mangiamo carboidrati (cosa che facciamo sempre in quantità eccessive) il nostro corpo li scompone in glucosio che inietta nel sangue perché vada a nutrire le cellule. I grassi, invece, quando vengono scomposti, diventano chetoni. Una volta avviato il processo, il corpo va in chetosi, uno stato di accumulo di chetoni, e nel giro di qualche giorno “impara” a metabolizzarli così da prendere il “ritmo” e abbattere drasticamente i grassi accumulati. Lo stato di chetosi si raggiunge mangiando soprattutto pesce, carne e verdure che crescono sopra al suolo (quindi non patate, carote etc.). Capisaldi della dieta chetogenica sono l’avocado, il salmone, la frutta secca, l’olio di oliva, i broccoli e il cavolfiore, gli asparagi

In Islanda si trovano nei supermercati prodotti con il bollino ketó, che ne indica l’adeguatezza per chi segue questa dieta.

Cosa c’entra tutto questo con il diabete?

Essere diabetici non è mai semplice. Non soltanto per il contenimento della malattia, ma per il costante impiego di energie fisiche e mentali che la sua gestione in ambito sociale richiede. In generale c’è poca informazione, il che è assurdo, vista la diffusione della malattia e il suo essere la terza causa di mortalità al mondo (dopo disturbi cardiovascolari e cancro). Per questo, specialmente se sono ospite a pranzo o cena, mi trovo sempre a dover spiegare diversi concetti, visto che ne va della mia vita.

“Diabete” è un’etichetta per malattie di natura diversa accomunate dal sintomo dell’accumulo di glucosio nel sangue. Questo accumulo può avvenire per ragioni diverse. Il glucosio, come ho già detto, è il prodotto della metabolizzazione dei carboidrati. Più i carboidrati sono semplici, più avremo una rapida e alta dose di glucosio “sparata” nel sangue dopo un pasto. Il pancreas produce l’ormone insulina che stimola le cellule a riconoscere il glucosio e assorbirlo dal sangue, per usarlo come carburante. Le conseguenze dell’accumulo di glucosio nel sangue sono molte e molto gravi. Il glucosio rovina i vasi sanguigni, portando retinopatie e cecità, cancrene che richiedono amputazioni (specie agli arti inferiori), problemi al cuore e ai reni e via discorrendo. Una volta si moriva inevitabilmente perché il corpo prendeva a eliminare disperatamente il glucosio attraverso le urine, eliminando però anche tutto il resto: si moriva magri e debilitati. Io stesso ho scoperto di averlo perché perdevo peso rapidamente e avevo sempre sete.

Molti avranno sentito che esistono due tipi di diabete:

Nel diabete 2, che definisco per semplicità “degli anziani sovrappeso”, nonostante l’insulina possa essere presente e il pancreas lavori normalmente, le cellule non reagiscono bene all’insulina e non assorbono il glucosio, spesso appunto per via del grasso in eccesso e dell’età. Con una dieta a basso contenuto di carboidrati e esercizio fisico, il corpo può ricominciare a metabolizzare il glucosio normalmente. Salvo casi gravi, questo diabete si gestisce con lo stile di vita (dieta ed esercizio fisico) e al massimo qualche pastiglia.

Nel diabete 1, che è un problema autoimmune, il corpo per ragioni sconosciute genera anticorpi che ne aggrediscono alcune parti. In questo caso la vittima sono le cellule beta del pancreas che producono insulina.

[Un processo analogo si ha nella celiachia, altro problema autoimmune per il quale l’organismo produce anticorpi che vanno ad attaccare e distruggere i villi intestinali. Tuttavia, nel caso della celiachia sappiamo che la sostanza che scatena la generazione degli anticorpi (l’antigene) è il glutine, mente per il diabete non si sa ancora di cosa si tratti.]

Il diabete 1 è dunque caratterizzato da una deficienza di insulina, che ne richiede l’inserimento artificiale. La rapidità con cui il corpo attacca e distrugge il pancreas varia da individuo a individuo: alcuni diventano insulino-dipendenti tutto in una volta da piccoli, altri da adulti dopo anni di lento declino, altri sembrano altalenare. Io non sono ancora insulino-dipendente, e me la cavo con una terapia tipica per il tipo 2, sebbene abbia gli anticorpi distruggi-pancreas nel sangue. Si tratta di un tipo 1 a lento decorso, quindi, talvolta detto 1.5. Volendo, potrei mangiare normalmente e somministrarmi l’insulina, ma capirete che l’idea di dovermi fare iniezioni per almeno tre volte al giorno non mi alletta parecchio, specialmente visto che bisogna anche calcolarne bene la quantità rispetto a quanti carboidrati si sono mangiati, o si rischia di svenire per un’ipoglicemia. Un’ipotesi da non considerare, specie se si è al volante. Diventa dunque fondamentale la dieta, che deve contenere una quantità particolare di carboidrati. Troppi e il glucosio inizia a far danni, troppi pochi e si rischia il coma. Dopo i pasti misuro regolarmente il glucosio con una macchinetta portatile, e vedo se è il caso di mangiare qualcosina in più o se è meglio stare indietro.

Lo zucchero (saccarosio) è un carboidrato semplice, quindi uno di quelli che vengono scomposti in glucosio e sparati nel sangue più rapidamente, ma tutti i carboidrati contribuiscono ad un’innalzamento del glucosio sanguigno: pane, pasta, patate, cerali (specialmente il riso), carote, cipolle (in genere tutte le verdure che crescono sotto terra) frutta

Mi tocca spiegare tutto questo se sono ospite perché altrimenti la gente pensa che sia sufficiente non offrirmi un dolce a fine pasto. A volte capitava che dimenticassi un ingrediente nella lista e che mi trovassi servito qualcosa di assolutamente proibito. È chiaro quindi che si tratta di una situazione abbastanza stressante.

La moda della dieta chetogenica mi è però venuta incontro: qui in Islanda, ormai, quasi tutti sanno fare la distinzione tra cibi “ketó” (pronunciato “chiétou”), ovvero cibi a contenuto di carboidrati basso o nullo, e cibi non-ketó. I genitori della mia ragazza, ad esempio, pur vivendo nelle campagne più isolate, sanno – grazie a programmi tv e articoli su giornali e riviste – immediatamente dire se un cibo sia ketó o meno, e nel primo caso sanno che è sicuro per me mangiarlo. In Italia faccio a volte molta fatica a spiegare che non posso mangiare pasta o riso. Specialmente il riso è uno degli alimenti più deleteri per i diabetici, ma goda di una così buona fama che viene spesso dato per sicuro a prescindere.

Va comunque detto che i diabetici di tipo 1 non possono fare una dieta puramente chetogenica, perché così come il loro corpo non riesce ad assorbire il glucosio, anche i chetoni non vengono assorbiti normalmente, accumulandosi nel sangue e facendolo inacidire. La chetoacidosi può portare rapidamente alla morte se non trattata repentinamente. La cosa si risolve però facilmente perché basta aggiungere un paio di bocconi non-ketó per mantenere un buon equilibrio, anche se ogni persona ha reazioni diverse e deve trovare da sé il proprio equilibrio personale. Dato che è comunque più facile inserire qualche carboidrato nel caso il glucosio nel sangue si sia abbassato troppo (a me basta mangiare un pezzo di pane o un frutto) è molto più semplice integrare un menù da dieta chetogenica con qualche carboidrato, piuttosto che diventare matti a spiegare ogni volta quali ingredienti non si possano mangiare e provare a mettere insieme qualcosa con quello che rimane. Seguendo i consigli dei medici italiani e islandesi, nonché dell’OMS cerco di seguire una dieta il più possibile mediterranea, che è quella considerata più salutare. Per me le pietanze o i prodotti chetogenici sono soltanto un aiuto semplificativo per determinate circostanze.

Per questi motivi, anziché dover annunciare il mio diabete e dover spiegare tutta la manfrina di cui sopra, mi è sufficiente chiedere se un piatto sia ketó o meno per sapere se posso mangiarne.

Esistono anche libri di ricette ketó, e sono molto grato di questa “moda” non solo per il vantaggio personale che mi apporta, ma anche per il fatto che rappresenta una controtendenza rispetto all’andazzo generale del mondo sviluppato di consumare troppi carboidrati, con il risultato che i casi di diabete aumentano in percentuale in modo drammatico anno dopo anno. È anche bello – da diabetico – avere delle proposte sulle cose che posso mangiare, anziché insistere costantemente sulle cose che non posso nemmeno guardare. Se passassi il tempo a elencare le cose che non posso mangiare e a fissarmici, sarebbe molto più difficile per me gestire la dieta e tutto il resto.

Un libro di ricette e consigli sulla dieta chetogenica che personalmente ho trovato molto ben fatto (nonostante l’orrenda copertina) è Keto-Hormónalausnin (Cheto-La soluzione ormonale) di Gunnar Már Sigfússon, che potete trovare nelle librerie islandesi e nei supermercati come Hagkaup.

In definitiva, nonostante la difficoltà a gestire un problema serio come il diabete, un aiuto concreto almeno per quanto riguarda l’organizzazione della dieta, è arrivato inaspettatamente da questa moda che spero tanto duri!

Una replica a “Islanda, diabete e dieta chetogenica”

  1. Il miglior post sul cibo islandese che abbia mai letto!!
    Diabetica anch’io e spero che questa moda duri almeno un altro anno… visto che mi hanno annullato il volo e devo quindi rinviare IL Viaggio dei miei sogni.
    Grazie!

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