Dopo la summer school in manuscript studies, mi sono concesso tre giorni di vacanza nei Vestfirðir, una zona che non avevo ancora toccato, nonché la più remota del Paese. Circolano molte voci sulla bellezza primordiale di questa regione. Sono tutte vere. Non mi dilungherò troppo su dettagli tecnici perché non sono una guida turistica, e le guide abbondano sia in rete sia mezzo stampa. Sarà uno dei miei soliti resoconti di viaggio che potrebbero dare un’idea a qualcuno che vorrebbe bazzicare da queste parte. Mi scrivono parecchie persone, di magari 40+ anni, e mi raccontano del loro sogno di venire in Islanda, spiegandomi come tutto appaia loro così remoto e quasi onirico, al punto da sembrare impraticabile: quello che ho sempre sperato di fare col mio blog è avvicinare il nord Europa ai miei connazionali, anche io una volta navigavo la rete e sognavo un domani fatto di monti e isole che credevo non sarebbe mai arrivato perché, dai, i soldi, il tempo, la difficoltà ad organizzare…ma questa sarà un’altra occasione per mostrare come il profondo nord sia più vicino di quanto crediate.
Per l’aspetto economico, pur avendo lavorato quando ho potuto, non ho mai nascosto di aver sempre fatto affidamento sulla famiglia. La reazione che mi aspetto di solito sarebbe un “ah bella forza! A far vacanza coi soldi altrui siam capaci tutti” che è vero, ma è bene non dimenticare che non vengo da una famiglia ricca, che ho una sorella più piccola, e che spesso devo lesinare sui centesimi per far quadrare i conti e potermi permettere di concentrarmi sugli studi senza dissipare tempo ed energie lavorando in un fast-food. I soldi non mi arriveranno in eterno, arrivano a condizione che studi e porti buoni risultati, e non essendo miei devo in ogni caso stare ancor più attento a come li spendo. Ma mi rendo conto che tanti ragazzi non abbiano la mia stessa fortuna, e siano costretti a lavorare. Tuttavia, salvo casi estremi, vorrei passasse il messaggio che è possibile muoversi senza spendere troppo. Che l’Islanda è di quelli che la amano, a prescindere da quanti giorni si possano permettere di trascorrerci, e non appartiene a quei parvenu modaioli che noleggiano jeep e vengono qui a fare sport estremi e foto inutili con attrezzature professionali che un fotografo professionista bravo nemmeno si può permettere. L’Islanda è soprattutto di quelli, magari topi di biblioteca squattrinati, che circolano su una scatoletta a noleggio che sembra collassare appena si sale una sterrata, che si mantengono a pane tostato e fagioli per tutto il viaggio, e che tengono in mano un libro e puntano il dito: “lì è dove viveva Egill! Quella è la roccia dove Bolli ha ammazzato Kjartan! Questi sono i monti per cui Gunnar ha rifiutato l’esilio ed è stato ucciso!”.
I milionari che cercano un playground trendy non capiranno mai cosa significa vivere l’Islanda. E voi non vi azzardate ad andarci senza prima aver letto almeno Njáls saga, Egils saga, Gísla saga e Laxdæla saga.
Per tornare ai nostri fiordi, abbiamo noleggiato una macchina a cinque posti. Eravamo inscatolettati ma abbiamo speso circa 70€ a testa. La benzina e i pedaggi del tunnel sottomarino Hvalfjarðargöng meno di 30€ a testa.
Il campeggio può essere fatto liberamente, tranne che nei posti dove è espressamente proibito, se invece si preferisce un’area attrezzata con bagni docce e magari la piscina, aspettatevi di spendere tra i 5 e i 7€ a notte. Noi abbiamo avuto un imprevisto la seconda notte, in cui una tempesta si è abbattuta sulla regione ed era impossibile piantare le tende. Avremmo potuto accamparci gratuitamente nella cucina del campeggio ma era già stata reclamata da cinque turisti. Guesthouse e ostelli sono rari e molto distanti l’uno dall’altro nei remoti fiordi, così siamo finiti in un albergo appollaiato sul fianco di una valle nel Patreksfjöður, per circa 50€. Una botta rispetto a quanto pianificato, ma l’albergo era di un certo livello e altre opzioni non ne avevamo. Tra l’altro abbiamo avuto la fortuna che una ragazza alla reception di uno dei posti al completo a cui ci siamo rivolti, chiamasse i servizi turistici dei fiordi vicini per controllare quali avessero ancora posti liberi e prenotasse per noi. Imprevisti di questo genere non sono comuni. Le tempeste d’estate sono abbastanza rare, ma conviene concedersi un margine economico d’emergenza. Il maltempo è durato una sola notte, e il giorno prima e quello successivo ha splenduto il sole. Per il mangiare abbiamo fatto una sola spesa. Pasta e condimento, wurstel, formaggio, tonno in scatola, mele, succo di frutta, qualche snack…non credo di aver speso più di 30€, incluso qualche caffè sulla strada. In totale sono stati meno di 200€, e sarebbero stati ancora meno se non ci fosse stato l’imprevisto della tempesta.
Logicamente, per me che abito qui la storia finanziaria si conclude, ma se si arriva dall’Italia bisogna anche mettere in conto il volo, e altre notti, ma è possibile campeggiare anche a Reykjavík. Una tenda la si può prendere su Amazon per poco. Non servono tende principesche da capo tribù tuareg. L’importante è avere un sacco a pelo ben imbottito perché la notte può fare davvero molto freddo. Si tratta di una zona difficile, in cui le strade spesso si interrompono e diventano sterrate ripide che si dipanano lungo i fianchi di montagne scoscese a picco su valli profonde o sull’oceano. E’ opportuno esercitare cautela quando si viaggia da queste parti.
E ora l’Itinerario; non includerò ogni singolo stop e toponimo altrimenti darei la nausea, mi limiterò a quelli più importanti:
La partenza ovviamente da Reykjavík, e il primo stop obbligato a Borgarnes per un caffè e per la spesa da Bónus. Lasciata borgarnes abbiamo proseguito sulla 1 e poi abbiam preso la 60 verso i fiordi. La prima tappa ha comportato una breve deviazione all’interno della Haukadal, per vedere la fattoria ricostruita di Eiríksstaðir, che prende il nome da Eiríkr il rosso, scopritore della Groenlandia. La casa è una di quelle tradizionali in torba, sembra una piccola caverna Hobbit.
Laugar è stata la deviazione successiva, non è una località particolarmente impressionante dal punto di vista geografico – sebbene sia piuttosto bella -, ma rimane una mecca per i medievalisti perché era la residenza di Guðrún Ósvifsdóttir, eroina/femme fatale della Laxdæla saga. In questa zona si trovano molte altre località chiave della saga, oltre alla valle da cui essa prende nome, come Hjarðarholt, residenza di Ólafr pavone, padre di Kjartan, o Kambsnes e molti altri. Nei pressi di Laugar abbiamo ammirato la famosa roccia nel cuore della valle dove Kjartan viene raggiunto dagli Ósvifursson, i fratelli di Guðrún, aizzati da questa, e dopo essersi difeso valorosamente, getta le armi per non uccidere il fratello adottivo Bolli, che finisce per ucciderlo, pentendosene subito dopo. Al ricco paraculo medio questa valle può sembrare inutile, probabilmente non ci si fermerebbe mai, ma avendo letto la saga tutto acquista una luce e un valore differente, e posso assicurarvi che per me, vedere quella roccia e pensare a Kjartan e Guðrún è stata un’esperienza indimenticabile.Saliti verso l’Ísafjarðardjúp, abbiamo iniziato lo stillicido avanti e indietro per aggirare fiordi su fiordi. Quando si raggiunge la regione, si è solo a metà del tragitto per la cittadina di Ísafjörður, anche se in linea d’aria sembrerebbe di essere quasi arrivati. Può diventare seccante, ma i panorami ripagano generosamente la pazienza. Verso sera ci siamo fermati al campeggio di Heydalur, 7€ a persona. I servizi includevano ristorante, piscina riscaldata in serra, pozza artificiale di acqua termale (con acqua pulita), e pozza naturale di acqua termale (con acqua muschiosa). Abbiamo piantato le tende e abbiamo guadato il fiume per raggiungere la pozza naturale, dove siamo rimasti in ammollo per una mezz’ora. Dopodiché siamo tornati al fiume e ci siamo scaraventati rapidamente dentro per ripulirci dalle alghe e dai depositi sabbiosi. L’acqua era di disgelo da un nevaio, sarà stata 3-5 gradi, e i muscoli iniziano a far male dopo pochi secondi, per cui è importante non starci dentro che un istante. Una volta usciti, i 9° circa dell’aria sembrano quasi tiepidi sulla pelle, e si può camminare in costume da bagno oltre il fiume e sul crinale fino alle docce. Abbiamo cucinato con un fornelletto a gas e dopo cena ci siamo concessi una passeggiata lungo il torrente con il cane della fattoria i cui padroni gestiscono il campeggio.Durante la notte, una mia amica ha sentito qualcuno fare pressione su un lato della sua tenda in alto, e credeva fosse un nostro amico che le chiedeva una copertura extra perché il suo sacco a pelo non era pesante come i nostri. Mezza addormentata fa per uscire dal suo sacco a pelo e si trova davanti degli enormi denti gialli che squarciano attraverso la sua tenda. Io dormivo come un sasso, ma gli altri hanno sentito tutti un chiaro “HOLY SHIT!”. Si trattava di un cavallo che in qualche modo era riuscito ad uscire dal suo recinto. La tenda era irrimediabilmente traforata, e abbiamo aiutato a rattopparla con del nastro adesivo. La mattina, due di noi si sono alzati presto per fare un bagno nella pozza artificiale, io mi sono messo a passeggiare e ho fatto amicizia con una volpe artica. Normalmente, essendo animali selvatici, non si avvicinano mai alle persone, ma questa era vagamente addomesticata e giocava col cane della fattoria. Ho lasciato che giocasse con le nostre cose e che mi mordesse mani e gambe, era molto attenta a non farmi male, per cui era ovvio il suo intento ludico. Era un animale stupendo e la sua presenza ha contribuito a rendere la mia esperienza in Heydalur memorabile. Ovviamente consiglio a tutti di sceglierla come meta.
Abbiamo poi proseguito lo zig-zag tra i fiordi fino alla famosa fattoria di Litlibær, una graziosa casetta d’epoca adagiata sulla parete di un monte, con vista su un drammatico fiordo, appena prima che questo si diparta dall’Ísafjarðardjúp. Qui potete prendere caffè e waffle, e oltre a questi potete gustare un tipico esempio di ospitalità islandese. Nella capitale si vede molto meno, essendo una città moderna, ma nei fiordi si nota quella gioia genuina nelle persone quando ricevono una visita, e quel senso di fratellanza umana che ho incontrato davvero raramente nella mia breve vita. Solo nel sud Italia ho visto qualcosa del genere, o al massimo nelle generazioni più anziane nelle campagne dalle mie parti. Nelle città regna la diffidenza, la voglia disperata di privacy e di non dover avere a che fare con nessuno. Queste persone possono concedersi la gioia di godersi ogni incontro che fanno con altri esseri umani, ed è qualcosa di molto toccante. Qui abbiamo incontrato una coppia di Italiani in moto. Non ci ho parlato perché purtroppo sono un cittadino e non riesco ad approcciarmi così agli sconosciuti. Al limitare del fiordo ci siamo fermati per ammirare un discreto numero di foche stravaccate sugli scogli, assieme ad un numero consistente di mezzi con targa italiana…
La meta successiva è stata la cittadina di Ísafjörður, stretta in un fiordo e circondata da pareti ripidissime. Questo è il capoluogo della regione, nonché il centro più “popoloso” (si fa per dire). Il feeling è un misto di cittadina trendy e località di frontiera nord-americana. Da qui partono diversi traghetti per escursioni non fattibili in auto, prima fra tutte quella nella riserva naturale di Hornstrandir, una zona molto grande completamente disabitata e ricca di panorami mozzafiato e fauna artica. Lo stemma della contea ritrae un orso polare, non tanto perché ce ne sia una popolazione, ma perché di tanto in tanto qualche esemplare rimane bloccato su iceberg alla deriva e dalla Groenlandia finisce nei fiordi occidentali islandesi, dove normalmente viene abbattuto perché rimpatriarlo costerebbe troppo. Tattica molto salviniana e riprovevole devo dire.
Lasciata la cittadina abbiamo raggiunto (parecchi fiordi dopo) l’inenarrabile cascata di Dynjandi. Lascio alla foto nello slideshow il compito di descriverla. La si vede non appena si svolta nel fiordo in fondo al quale si trova, ed è davvero impressionante.
Non appena ci siamo allontanati dalla cascata, il tempo ha iniziato a peggiorare rapidamente e il vento era così forte che non abbiamo potuto piantare le tende. Pensavamo di pernottare nella cucina del campeggio, ma era già stata reclamata da cinque persone, e la presenza di un gatto rendeva le cose ancor più difficili per via dell’allergia di un nostro compagno di viaggio, così siamo finiti nell’albergo di cui accennavo sopra, mezz’ora di macchina più avanti, nel Patreksfjörður. Hotel Látrabjarg. Lo consiglierei a chiunque possa permetterselo perché il proprietario è di una squisitezza rara – capendo la nostra situazione di emergenza ci ha concesso uno sconto del 15%, e ha chiacchierato con noi volentieri la mattina seguente, dicendoci che sperava di non aver rovinato i nostri piani col prezzo delle sue camere.
Tappa successiva, le scogliere di Látrabjarg. Questo è il punto più occidentale dell’Europa se non si considerano le isole Azzorre. Ci si arriva passando da altipiani lunari, molto rocciosi e pieni solo di muschio e chiazze di ghiaccio. Si tratta di scogliere altissime, oltre i 400 metri, coperte da fitti manti erbosi, e stracariche di uccelli e del loro guano. Essendoci stata la tempesta il giorno precedente, il pesce era salito in superficie e gli uccelli erano in caccia, per cui non abbiamo visto un mare di Pulcinelle di mare (Puffin) da vicino, ma ne abbiamo viste una marea passare rapidamente in volo, o infilarsi veloci in qualche pertugio roccioso per poi ripartire a tutta velocità verso il mare aperto. Sono riconoscibili dal basso per le ali piccole dalla forma di foglia di ulivo quasi da pinguino, e da lontano per il frenetico sbattere delle ali che causa un forte tremolio nel volo e dà l’impressione di guardare una trasmissione televisiva con disturbi al segnale. La camminata sulla scogliera è in ogni caso qualcosa di epico, uccelli o meno.
Il resto della giornata l’abbiamo trascorsa percorrendo la costa sud, un fiordo dopo l’altro, e ammirando i paesaggi remoti di questa area che se non è tra le più speciali del mondo, sicuramente è tra le più speciali d’Europa, Fino alla metà dello scorso millennio era una delle zone più ricche d’Islanda, ma oggi sta soffrendo grandemente per via del sistema perverso ideato dal governo islandese delle quote pesce, che possono essere comprate e vendute da privati che possono usarle dove vogliono. Una ricca famiglia ha messo mano su quasi tutte le quote della regione, e se le è portate a sud nella capitale dove ora vive, così che nonostante le acque dei fiordi occidentali siano estremamente ricche e pescose, non c’è lavoro perché la fetta di diritti di pesca è stata trasferita altrove, e la gente è intrappolata perché per potersi muovere dove c’è lavoro dovrebbe vendere la casa, e nessuno vuole una casa in un posto così remoto dove per di più non c’è lavoro. Questo per ricordare che la bellezza, anche quella più estrema, non è mai esente da colossali problemi, e non dovremmo dimenticarcene quando sentiamo il bisogno di immaginarci una sorta di Eden terreno dove riporre le nostre speranze deluse – cosa che oggi si tende a fare molto spesso quando si pensa all’Islanda, tralasciando tutti i grandi problemi che si trova ad affrontare.
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