Le origini della storia islandese

La letteratura islandese medievale inizia in qualche punto nei primi decenni del 1100, quando un prete, rampollo di un’importante famiglia, Ari Þorgilsson detto fróði “il saggio”, mise per iscritto un trattatello sulla storia più antica del suo Paese, iniziata – dice lui – 870 anni dall’incarnazione del Signore, al tempo in cui Ívarr figlio di Ragnar Loðbrók uccise Edmondo il Santo, re degli inglesi. Quell’anno, racconta Ari, il primo colono norvegese, Ingólfur Arnarson, raggiunse l’Islanda, dove avrebbe fondato l’insediamento di Reykjarvík (l’odierna Reykjavík). Dopo di lui un gran numero di coloni prese a spostarsi, soprattutto dalla Norvegia e dalle isole scozzesi, per insediarsi in Islanda. La ragione fornita per l’inizio della colonizzazione del Paese è l’accentramento del potere nelle mani di re Haraldur il Bellachiona, che avrebbe spinto tanti signori locali a spostarsi laddove non sarebbero stati obbligati a sottostare ad un’autorità regia.

La scrittura arriva in Islanda assieme alla Chiesa cattolica, che vi si stabilisce dopo la conversione, avvenuta nel 999/1000, dunque a poco più di 100 anni dalla sua colonizzazione. Questa tecnologia era fondamentale per la gestione della macchina burocratica ecclesiastica, nonché per la vita religiosa: era necessario copiare i testi liturgici e didattici latini. L’alfabeto impiegato è quello latino, assieme ad alcune lettere usate per segnare quei suoni islandesi non inclusi in latino, come þ e, più tardi, ð.

Che Ari sia stato il primo a scrivere in antico nordico/islandese ci viene riferito da un altro autore islandese, vissuto a cavallo tra il 1100 e il 1200, Snorri Sturluson. Nel prologo della sua Heimskringla (“Circolo del mondo”), raccolta di saghe dei re norvegesi, Snorri scrive:

Il prete Ari il Saggio, figlio di Þorgils, figlio di Gellir, fu il primo di tutti in questo Paese a mettere per iscritto in lingua norrena fatti antichi e nuovi.

Snorri Sturluson, Heimskringla

Il testo, il quale è attribuito ad Ari, che lo ha “firmato”, e che è considerato la più antica fonte sulla storia islandese, è la cosiddetta Íslendingabók (bók, “libro” è femminile in islandese), “Libro degli islandesi” dunque, la cui pronuncia moderna è [ˈistlɛntiŋkaˌpouːk].

In realtà l’associazione di questo testo al titolo “Íslendingabók” è avvenuta di recente. Il testo ci è tramandato attraverso due copie seicentesche, che vedremo nel dettaglio più sotto, trascritte da quello che deve essere stato un originale di inizio 200. Il titolo riportato è Schedæ Ara prests fróða, “Schede del prete Ari il Saggio”. In questo testo, come vedremo, Ari ci dice di avere inizialmente composto un testo dal titolo “Íslendingabók”, ma non è ovvio che si tratti che queste “schede” siano una redazione dello stesso testo.

Si tratta di un testo brevissimo, non più di una dozzina di pagine a stampa attuali; esso racconta, con un prologo e una decina di capitoletti, i fatti salienti della storia islandese. Come tutti i testi antichi, presenta allo studioso una miriade di problemi; nel suo prologo, ad esempio, Ari racconta che:

Scrissi inizialmente il Libro degli islandesi per i nostri vescovi, Þorlákur e Ketill, e lo mostrai sia a loro sia al prete Sæmundur, e nella misura in cui vollero lasciarlo com’era o porvi aggiunte, ho scritto quest’altro sullo stesso soggetto, a parte le genealogie e le vite dei re, e vi ho aggiunto ciò che ho poi appreso meglio e che è dunque riportato in modo più completo in questo testo rispetto al precedente, ma per qualunque dettaglio che dovesse rivelarsi inesatto in questi resoconti, sta al lettore decidere a quale informazione dare più credito.

Ari il Saggio, Libro degli islandesi, prologo

Si tratta soltanto del primo paragrafo, ma già sorgono domande senza una facile risposta: abbiamo già visto come non è ovvio che si tratti della Íslendingabók citata, e poi, se anche accettiamo che questo testo è la seconda stesura, che ne è stato della prima? Le genealogie e le vite dei re che sostiene di aver omesso, cosa erano esattamente? Erano concise o dettagliate? Quali informazioni potevano riportare? Perché non sono state incluse nella seconda stesura?

A parte il prologo, il libretto, che Ari chiama, in latino “Libellus islandorum”, consta di dieci capitoli e due liste genealogiche:

  1. La colonizzazione dell’Islanda, dove Ari racconta che furono soprattutto i norvegesi a insediarsi nell’isola, a parte un gruppo di eremiti cristiani irlandesi che se ne sarebbero andati per non dover vivere a contatto con dei pagani. Ci dice anche che l’Islanda era coperta di foreste tra i monti e la riva del mare.
  2. L’instaurarsi del regime legale norvegese.
  3. La fondazione dell’assemblea generale Alþingi, nel 930, anno di nascita convenzionale dell’Islanda come Paese.
  4. La regolazione del calendario per risolvere il problema dello slittamento delle stagioni dovuto all’accumulo dello scarto non compensato da anni bisestili.
  5. La divisione del Paese in quattro aree giurisdizionali.
  6. La scoperta e colonizzazione della Groenlandia.
  7. La conversione al cristianesimo, che il parlamento rimise al giudizio dell’esperto legale in carica quell’anno,  Þorgeirr Ljósvetningagoði, il quale stabilì il passaggio al cristianesimo sostenendo che un unico Dio avrebbe giovato all’unità e alla pace della nazione.
  8. Le missioni dei vescovi stranieri.
  9. La vita del vescovo Ísleifur Gissurarson
  10. La vita del vescovo Gissur Ísleifsson
  11. La genealogia dei vescovi
  12. La genealogia di Ari a partire dai dagli Ynglingar, divinità “evemerizzate”, attraverso figure più o meno storiche.

Ari non ha fonti scritte precedenti da consultare, o comunque non ne cita alcuna, essendo il primo a scrivere in antico nordico/islandese, ma mostra particolare attenzione nel verificare l’attendibilità delle fonti orali che consulta, avendo cura di assicurare il lettore che si tratta di persone rispettabili, conosciute per la loro saggezza e memoria. Questo atteggiamento quasi moderno nella selezione delle fonti (spesso i cronisti medievali inventavano di sana pianta la storia dei loro Paesi per soddisfare fini politici e propagandistici), unitamente al fatto che Ari non ricama nulla di soprannaturale e non presenta nulla in modo chiaramente celebrativo, ha portato la gli studiosi dei tempi passati a credere all’attendibilità dei suoi resoconti.

Oggi, scoperte archeologiche e alcune incongruenze storiche, portano gli studiosi a dubitare del resoconto. Va detto che non si può stabilire in toro la veridicità o falsità delle informazioni riportate, perché se alcune sono dimostrabilmente false, altre sono quasi certamente vere, e la correttezza storica va valutata caso per caso.

Rimane comunque evidente una piega politica tra le righe: Ari attribuisce un’importanza preponderante alla famiglia dei suoi protettori nel processo della cristianizzazione. Potrebbe essere tutto vero, ma ovviamente emerge il sospetto che il prete cristiano abbia voluto attribuire alla famiglia che lo manteneva meriti superiori a quelli che effettivamente aveva per incrementarne il prestigio in una società ormai fortemente cristiana. Del resto lo facevano tutti gli autori che lavoravano su commissione per qualcuno.

Oltre a dubbi interni al testo, come quello dell’intento edificatorio di Ari verso la propria famiglia, emergono anche dei problemi con altri dati esterni: nel 2018 sono stati pubblicati i risultati di uno scavo archeologico nei fiordi orientali, a Stöðvarfjörður, dove sono stati rinvenuti i resti di una casa costruita intorno all’anno 800, ovvero circa 70 anni prima della colonizzazione come narrata da Ari. Il dato archeologico, tuttavia, non deve necessariamente essere letto in contrasto a quello del testo medievale, perché è possibile che il sito scoperto fosse una postazione temporanea per la caccia utilizzata da norvegesi che visitavano l’Islanda in estate, e che avrebbero poi deciso di stabilirvisi in pianta stabile.

Che si voglia credere o meno alla Íslendingabók, gli antichi islandesi ci credevano eccome, e un grande numero di dettagli, nomi, riferimenti cronologici, genealogie e formule utilizzate nella stesura delle saghe sono prese direttamente dal testo di Ari. Essendo la stesura delle saghe iniziata circa un secolo più tardi rispetto alla stesura della Íslendingabók , nessuna di esse vale come conferma indipendente della veridicità di essa: sarebbe come cercare la conferma della versione di un evento fornita da un tizio chiedendola soltanto a persone che non assistito al fatto ma lo hanno sentito tutte raccontare da quello stesso tizio. Non vale!

La prima versione seicentesca della copia del Libro degli islandesi. Notare le correzioni a margine.

Giusto per citare un esempio dei problemi che emergono nell’analisi del contenuto storico di questi testi: tutte le fonti islandesi sono concordi nell’affermare che la spinta dietro alla colonizzazione fosse il già citato accentramento del potere nelle mani di Haraldur Bellachioma, e che diversi nobili locali sarebbero sfuggiti al suo dominio per ristabilire la loro autorità tribale lontano dall’influenza del re. Il fatto è che questa versione, la quale compare in numerosissime saghe per spiegare come la famiglia dei protagonisti sia finita in Islanda, sembra sempre essere derivata da quella che troviamo nei due testi oggetto di questo articolo. Nessuno studioso serio oggi crede al ritratto che del re Haraldur Bellachioma che emerge dalle saghe, e semmai il dibattito oscilla tra chi ne nega l’esistenza e chi invece lo ritiene basato su un qualche reucolo locale realmente esistito, magari davvero con quel nome, ma che al massimo governava su una porzione limitata della Norvegia occidentale (vedi ad esempio Gísli Sigurðsson 2014, e Sverrir Jakobsson 2016). Ormai la maggior parte degli esperti è concorde nel ritenere che la storia dei nobili norvegesi che fuggono dalla tirannia regia fosse stata inventata per creare un mito nazionale di libertà islandese dall’influenza monarchica, in un momento in cui l’Islanda stava scivolando inesorabilmente verso il controllo norvegese (diventerà a tutti gli effetti un territorio sottoposto all’autorità del re di Norvegia nel 1264). Nessuna fonte europea coeva menziona un re norvegese in quell’epoca, la stessa in cui il danese Haraldur Denteblu, figlio di Gormur il Vecchio, fa scolpire la pietra di Jelling sulla quale dichiara di aver sottomesso la Danimarca tutta e la Norvegia. Dunque, nonostante la forte coerenza interna di questo corpus di testi, non possiamo assolutamente prendere il loro contenuto per oro colato.

In senso assoluto, il materiale contenuto nel testo di Ari è poco, anche se da esso è scaturita una ricchissima tradizione, ma diventa relativamente preziosissimo considerando che abbiamo rischiato di non avere nemmeno quello: i manoscritti medievali si sono persi in gran numero, andando distrutti, buttati, riciclati, bruciati… e molti di essi si portano dietro le ultime copie rimaste di testi che vanno dunque perduti per sempre. Nel ‘600, il vescovo Brynjólfur Sveinsson commissionò al prete Jón Erlendsson di Villingaholt una copia di un codice pergamenaceo antico contenente la Íslendingabók, non soddisfatto della prima copia, troppo contaminata dall’ortografia seicentesca, ne richiese una seconda rigidamente fedele al manoscritto. Il risultato sono i due codici cartacei AM 113 a fol. e AM 113 b fol. i quali, scomparso il modello dal quale furono copiati, restano l’ultima testimonianza in nostro possesso di questo testo medievale. Sappiamo anche che il codice medievale scomparso non era l’originale, ma doveva esserci molto vicino, perché grazie alla seconda copia molto fedele eseguita da Jón Erlendsson sappiamo che il testo doveva essere stato composto intorno all’inizio del ‘200: l’ortografia usata corrisponde a quella dei codici fino all’inizio di quel secolo, presentando ancora la lettera “c”, e non avendo ancora la lettera “ð” ad affiancare la “þ”.

La seconda versione seicentesca del Libro degli islandesi, quella più fedele all’originale duecentesca.

Oltra alla Íslendingabók, esiste anche un altro testo medievale islandese che costituisce una fonte preziosissima per la storia più antica del Paese. Si tratta di un testo stupefacente e senza nulla di comparabile nella letteratura europea, un testo alla stesura del quale ha probabilmente messo mano anche Ari, la cosiddetta Landnámabók (pronuncia islandese: [ˈlantˌnauːmaˌpouːk]), il “Libro delle colonizzazioni”, una catalogo degli insediamenti d’Islanda, dei quali ne sono elencati 401, presentati seguendo il perimetro dell’Isola in senso orario, e dei quali ci vengono forniti talvolta solo i nomi dei primi colonizzatori, talvolta dettagli genealogici e familiari di questi, o addirittura biografici, con aneddoti sulle loro vite.

Tutti i toponimi menzionati nel Libro delle colonizzazioni, presentati su una mappa satellitare.

Il Libro delle colonizzazione concorda in larga misura con il resoconto di Ari, a parte alcuni dettagli divergenti o aggiuntivi. Ad esempio vengono riportati alcuni esploratori che avrebbero tentato di colonizzare l’Isola prima di Ingólfur, ma che avrebbero fallito. Il quadro è complicato dal fatto che le cinque copie manoscritte medievali a noi pervenute non sono identiche (ma questo vale per qualsiasi testo antico sopravvissuto in più copie manoscritte; il lavoro dei filologi, oltre a studiarle, è anche quello di partire da queste copie per estrapolare un testo che possa essere stampato e letto dal pubblico di oggi).

Il testo è organizzato così:

  1. Prefazione, dove si identifica l’Islanda con la Thule delle fonte classiche (citata da Beda il Venerabile, storico anglosassone) e si ripete la versione di Ari per cui l’Islanda sarebbe stata colonizzata da norvegesi, i quali vi avrebbero trovato dei monaci eremiti irlandesi.
  2. Storia della scoperta dell’Islanda, prime esplorazioni, colonizzazione di Ingólfur Arnarson (il primo colono permanente), e colonizzazioni dei territori circostanti.
  3. Colonizzazione dell’Ovest, inclusi i fiordi.
  4. Colonizzazione del Nord.
  5. Colonizzazione dell’Est (da Langanes fino al fiume Jökulsá á Sólheimasandi).
  6. Colonizzazione del Sud.
Un’edizione del Libro delle colonizzazioni del 1688: Landnáma: Storia del primo insediamento dell’Islanda da parte dei norvegesi.

Il periodo coperto va da intorno all’anno 870 (qui l’anno della fondazione di Reykjavík da parte di Ingólfur Arnarson è indicato come l’874) fino a intorno al 930, quando tutta l’Islanda era considerata ormai occupata e reclamata e il parlamento generale venne fondato.

Come per tante altre questioni, anche per i testi medievali si sono create due fazioni contrapposte, una che vedeva in questi testi una sorta di trascrizione fedele di una tradizione orale, e un’altra che invece li giudicava quali invenzioni letterarie frutto del genio creativo di autori. Anche in questo caso vale il detto latino in medio stat virtus, ed è molto più ragionevole supporre che si tratti di una commistione di elementi provenienti da una genuina tradizione orale ed elementi di pura origine letteraria. Purtroppo, distinguere tra i due non è sempre possibile: non abbiamo modo di sapere se Tizio è esistito davvero, se Caio ha davvero fatto la tal cosa, o se non è stato magari Sempronio.

In un articolo del 2003, Adolf Friðriksson e Orri Vésteinsson spiegano in modo convincente che la Landnámabók, pur includendo sicuramente materiale genuino dalla tradizione orale, è un costrutto degli autori medievali, con un intento ben preciso e un’ideologia abbastanza chiara di come si volesse delineare il passato e le origini della nazione islandese.

Nella Landnámabók (come del resto ovunque nelle saghe) esistono episodi che sono facilmente riconducibili ad altri testi della tradizione europea, e che dunque devono essere considerati motivi letterari, non fatti storici. Un esempio classico è quello di Flóki dei Corvi, uno dei primi esploratori dell’Islanda nonché quello che le avrebbe dato il suo nome: perso in mare avrebbe fatto volare due corvi, per poi inseguirne uno che aveva preso a volare lontano dalla nave perché aveva avvistato terra; si tratta probabilmente di un episodio ispirato alla vicenda dell’arco di Noè. Anche la ragione per cui Flóki battezza la terra “Islanda” (Terra del Ghiaccio), non convince: salito su una montagna dei fiordi occidentali avrebbe visto del ghiaccio marino in un fiordo. È molto più probabile che il nome dell’Islanda derivi dal fatto che, avvicinandosi dall’Europa, la prima cosa che si intravede è la calotta glaciale del Vatnajökull.

Anche il DNA getta dubbi sugli antichi resoconti: la componente irlandese (gaelica) nel Patrimonio genetico degli antichi islandesi rinvenuti negli scavi archeologici è molto alta, ma gli individui di origine irlandese citati nella Landnámabók sono troppo pochi per renderne conto. È possibile naturalmente che si trattasse soprattutto di servi la cui vita non era ritenuta degna di essere raccontata, ma è una spiegazione semplicistica e poco convincente: in diversi casi in cui si legge di un’origine irlandese, questa è quasi sempre reale. Viene da pensare che quando poteva essere nascosta un’ascendenza dall’Irlanda, ciò veniva fatto. Altrimenti si tracciava un lignaggio che però era regale. Analogamente, diversi americani di oggi sostengono di essere discendenti di principesse native, asserzioni che spesso sono poi confutate dai test genetici.

Del resoconto della Landnámabók, l’archeologia ha potuto verificare solo tre fatti: l’Islanda è stata veramente colonizzata a partire dall’anno 870 (salvo le eccezioni già menzionate), la colonizzazione è stata rapida (Ari la colloca tra 870 e 930), l’analisi del polline evidenzia un drastico calo della betulla e un aumento di erba intorno al 900, il che indica una rapida e radicale opera di deforestazione.

Il resto è difficilmente verificabile. Non è improbabile che ad un nucleo originale di brevi dati genealogici nella forma di “Tizio ha colonizzato il tal luogo e da lui discende la tal famiglia”, autori diversi abbiano aggiunto dettagli dalla tradizione orale che conoscevano personalmente, oppure abbiano ricamato per servire scopi immediati. Per esempio, come suggerito da alcuni studiosi, una disputa territoriale per il controllo di un terreno poteva essere risolta citando la discendenza dal colonizzatore originale di tale terreno, che fosse vero o inventato. Questo pare contraddetto dal fatto che brevi aneddoti non supportati avrebbero avuto poco peso in cause legali allora come oggi, ma pare anche possibile che alcuni dei più grandi possedimenti dei primissimi colonizzatori siano stati esagerati per giustificare o consolidare le pretese di controllo territoriale da parte dei capi locali dei secoli successivi, che potevano così giustificare la loro influenza su larghi territori con dei precedente pseudostorici. In effetti, diversi resoconti, inclusi quelli delle saghe, sono stati mostrati dagli studiosi come costruzioni a posteriore per supportare pretese territoriali o altre rivendicazioni contingenti.

Non è nemmeno da escludere che uno dei vari intenti dietro alla stesura di questo lavoro fosse, più poeticamente, il giustificare il paesaggio islandese e i suoi toponimi ricamandoci intorno una storia che offrisse loro un senso, come una sorta di mitopoiesi. Anche le saghe, ovvero questi racconti epici in prosa tipici del medioevo islandese, i quali si concentrano sulle prime generazioni degli abitanti dell’isola, spesso ricamano una storia attorno ad un toponimo. Esse, generalmente, concordano con il Libro delle colonizzazioni, anche se non sempre e, nel momento in cui lo fanno, è più facile spiegare la cosa con il fatto che l’autore della saga abbia tratto le informazioni dal Libro delle colonizzazioni. In effetti, la straordinaria coerenza tra le saghe viene vista dagli studiosi sopra menzionati come una prova che dietro a questa letteratura non esistesse un vero interesse storico come millantato dalle fonti antiche, perché in tal caso ci troveremmo dinnanzi ad una miriade di interpretazioni e versioni differenti e in conflitto, con autori diversi che si battono per far valere la loro. Il fatto che questo materiale sia così marcatamente concorde, suggerirebbe uno sforzo concertato di creare un’immagine storico-mitologica coerente, la quale fu recuperata a più riprese dagli autori delle saghe.

Anziché essere dunque uno zibaldone di tradizioni recuperate da più parti, mostra un’impronta (multi)autoriale sistematizzante. Alla luce di ciò, Adolf Friðriksson e Orri Vésteinsson suggeriscono che il periodo della colonizzazione dell’Islanda, che si inserisce in quella che impropriamente viene chiamata “era vichinga”, non possa essere conosciuto ed esplorato attraverso questi testi, e arrivano addirittura ad affermare che “non sappiamo quasi nulla dell’era vichinga in Islanda”. Negando fermamente il valore storico del Libro delle colonizzazioni. Questa posizione, forse un po’ estrema, va vista nell’ottica in cui è stata formulata: la necessità percepita per cui l’archeologia islandese debba operare un reset e ripartire da zero, scrollandosi di dosso nozioni preconcette che provengono dalle fonti scritte. Bisogna ricordare, però, che l’archeologia non è sempre solo stata ostacolata dal peso della tradizione letteraria, e se non fosse stato per quest’ultima, alcuni siti archeologici, scoperti laddove le fonti antiche indicavano presenza umana, non sarebbero mai stati non solo scoperti ma nemmeno cercati. Lo scavo che negli anni ’60 ha portato alla luce una base norrena nell’isola di Terranova in Canada è stato giustificato dal resoconto della scoperta del nuovo mondo narrata nelle saghe della Vinlandia.

A prescindere dal valore che hanno come fonte sulla storia antica dell’Islanda, questi testi rappresentano monumenti culturali stupefacenti, che vale la pena conoscere se non proprio attraverso una lettura da vicino (che non è un’esercizio per tutti: sono dei veri e propri mattoni!), almeno nei loro tratti costitutivi e nell’importanza di ciò che rappresentano: un frutto dell’ingegno umano che è riuscito comunque a sbocciare e fiorire nonostante tutte le avversità che ci si può aspettare di incontrare nel medioevo islandese.


Bibliografia:

11 risposte a “Le origini della storia islandese”

  1. Hai mai pensato di scriverla tu, una storia dell’ Islanda medioevale, facendo un sunto delle diverse fonti, e proponendola in forma scorrevole per il lettore ? ?

    1. Sarebbe un bellissimo progetto, ma uno che richiederebbe mesi (forse anni!) di lavoro, e che non avrebbe un grande ritorno economico. Purtroppo non ho più l’età per non preoccuparmi di quello! 😅

  2. Sto leggendo tutto il testo molto lentamente perché mi piace oltre che capire, memorizzare, è ovviamente molto interessante e ben scritto, anche se non conoscessi lo scrittore si comprende che si tratta di uno storiografo, uno studioso appassionato. Alla mia età si è più lenti ma si apprezza di più l’opportunità che viene data di capire, imparare, conoscere, quindi ringrazio e lo leggerò più volte come faccio per i libri normalmente, ancora grazie per il tempo che dedica e per la cultura che diffonde

  3. Ho iniziato a leggerlo incuriosita dal post. Continuerò nella lettura che mi risulta molto interessante. La ringrazio per aver dedicato del tempo alla stesura dello scritto.

  4. Sono molto colpito dalla mappa dei toponimi, con una copertura pressoché totale dell’isola, anche in aree interne difficilmente raggiungibili all’epoca. Strano che proprio l’area attorno Reykjavik in direzione della penisola di Reykjanes sia quella meno densa di toponimi.

    1. In effetti i toponimi sono solo quelli delle presenza umane, e non sono nemmeno tutti quelli attestati! Prova a zoomare su questa cartina e ne vedrai delle belle:

      https://kortasja.lmi.is/mapview/?application=kortasja

      L’area intorno a Reykjavik non aveva tanti insediamenti perché è una grande colata lavica sterile e arida. Per converso, alcune aree più interne, in valli protette, potevano avere un ottimo clima 🙂

  5. L’articolo mi è piaciuto molto. Insegno geografia e l’Islanda occupa sempre poco spazio sui libri, invece è un Paese che mi ha sempre affascinato. L’ho visitata e mi sono ripromessa di tornare. Hai mai scritto niente sulla storia dell’esiliata? Ricordo che la nostra guida (che si chiamava Attila) ce ne parlava sempre.

  6. […] Styrmir Kárason, autore del manoscritto perduto Styrmisbók, una delle versioni più antiche del Libro delle colonizzazioni, ovvero una delle fonti più antiche della storia […]

  7. […] i cosiddetti papar. Due tra le fonti più antiche della storia d’Islanda, composte ovvero la Íslensingabók e la Landnámabók, descrivono l’inizio della colonizzazione islandese in modo in apparenza del tutto […]

  8. […] Il testo più famoso che il reverendo Jón copiò, da un manoscritto duecentesco, fu la celebre Íslendingagbók, forse la fonte più preziosa e antica in nostro possesso sulla storia islandese. In seguito visse […]

  9. […] il Saggio, che per primo compose testi in antico islandese a inizio 1100, tra cui la celebre Íslensingabók, e forse anche la Landnámabók. Hallur, il figlio di Teitur, sarebbe diventato vescovo a Skálholt, ma morì in Olanda mentre […]

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