Nomi e cognomi islandesi

Circolano diverse informazioni imprecise, sulla questione nomi e cognomi in Islanda, ed è opportuno fare chiarezza. Come al solito, la realtà è più complessa di quanto non vorremmo:

Esiste una lista ufficiale di nomi permessi per legge.

Esiste una commissione incaricata di approvare e aggiornare una lista di nomi autorizzati, la mannanafnanefnd (che si pronuncia “mànna-napna-nemt”), ovvero il “Comitato per i nomi di persona”. Questo non è per mero tradizionalismo, ma perché la grammatica islandese prevede che i nomi vengano modificati a seconda del loro ruolo grammaticale, e i nomi stranieri non sempre possono essere adattati alla grammatica islandese (pensate alla resa italiana del verbo inglese to Google “cercare su Google”, che viene reso, nel parlato con “guglare” o “gugolare”, nessuna delle due forme particolarmente elegante per le regole italiane). Gran parte dei nomi tradizionali islandesi sono di origine germanica, e hanno corrispettivi in Italiano, anche se non sempre riconoscibili. I nomi germanici sono tipicamente composti dall’accostamento di due radici: Sigmundur (Sigismondo) da sigur “vittoria” e mundur “protezione”, Brynhildur (Brunilde) da Brynja “armatura” e hildur “battaglia”. È interessante notare come sarebbe possibile “convertire” molti dei nomi dei nostri antichi re longobardi in nomi islandesi moderni. Alcuni dei risultati non esistono, ma avrebbero perfettamente senso: Ragimperto sarebbe Reginbjartur “Splendore della potenza divina”, Astolfo sarebbe Ástólfur “Lupo affettuoso/amorevole” altri invece avrebbero un significato strano o ridicolo dovuto alle mutazioni semantiche intervenute: Liutprando sarebbe Ljótbrandur e varrebbe per “Brando luminoso”, se non che, in islandese moderno, ljót- è la radice per “brutto”, quindi suonerebbe come “Brando brutto”, Cuniperto, “Splendore della stirpe” sarebbe Kynbjartur, “Splendore del sesso”, perché il termine kyn (inglese kin) “stirpe”, in islandese moderno significa appunto “sesso”.

Come precisato, i nomi devono mutare, secondo la grammatica islandese, in quattro forme diverse a seconda che svolgano, nella frase, il ruolo di soggetto (Sigmundur), oggetto (Sigmund), complemento di termine (Sigmundi), complemento di specificazione (Sigmunds). Nomi stranieri, come il mio, non si piegano bene a questi mutamenti, e mentre sarebbe naturale dire Robertos per il complemento di specificazione (“di Roberto”), più cacofonico sarebbe Robertoi per il complemento di termine (a Roberto). Per questo i nomi devono essere approvati e selezionati da una lista ufficiale. Se si desidera imporre al proprio figlio un nome non in lista, è necessario inoltrare una domanda alla commissione preposta.

In Islanda tutti i cognomi finiscono per -son e -dóttir

Affermazione errata, perché non si tratta di cognomi (che pure esistono in Islanda, come vedremo) ma di patronimici. Una volta I patronimici erano comuni anche in italiano, e alcuni cognomi italiani derivano proprio da antichi patronimici: De Giovanni, Di Stefano, Di Marco, De Luigi etc. Una volta, era uso indicare la paternità nei documenti ufficiali, così che si usava il patronimico accanto al cognome “Mario Rossi di Luigi”, inteso come “figlio di Luigi”.

In Islanda si usano invece soprattutto I patronimici/matronimici: il nome del padre o della madre al caso genitivo (ovvero la forma del nome che segnala il possesso) seguito da “son” per i maschi e “dóttir” per le femmine. Il genitivo di Jón è Jóns, e i suoi figli saranno Jónsson e Jónsdóttir, mentre i figli di Hjörtur saranno Hjartarson e Hjartardóttir, e quelli di Bragi saranno Bragason e Bragadóttir (come vedete il possesso non si indica soltanto con la ‘s’ che conosciamo dall’inglese, ma ci sono diversi modi per segnalarlo, come in latino o greco).

I cognomi veri e propri sono molto rari, alcuni sono nati dall’inizio dell’era moderna, quando alcuni islandesi si recavano a studiare in Danimarca e dovevano adottare un nome latineggiante, che includesse il cognome, per effettuare l’iscrizione all’università. Di solito prendevano il nome della zona di origine, per esempio uno che veniva da Víðidalur si faceva chiamare Vidalinus, uno che era di Hjaltadalur Hjaltalinus etc. Oggi questi cognomi sono stati islandesizzati L, così che abbiamo Vídalín, Hjaltalín, Hagalín, etc. Poi ci sono cognomi che in realtà sono patronimico latinizzati, come Thorlacius (da Þorláksson) o danesizzati (Thorarensen, da Þórarinsson). Questi erano tutti adottati in casi eccezionali. Esistono anche cognomi antichi, ormai radicati, come Zoëga (pronunciato “Sóeca”) di un’antica e importante famiglia locale giunta dalla Danimarca secoli fa, ma con antiche origini veneziane (Zoëga è la resa della pronuncia veneta di Giudecca). Prima del 1925, alcuni islandesi avevano preso ad adottare cognomi, ma la pratica venne poi proibita proprio in quell’anno, con una dispensa per i cognomi già radicati, per preservare l’antico costume dei patronimici, e per evitare che islandesi di classe bassa assumessero cognomi tipici di famiglie importanti “inflazionandone” il valore. Oggi l’adozione di cognomi è più liberalizzata, e i figli di coppie miste possono tenere il cognome del genitore straniero e il patro/matronimico di quello islandese.

Questione fondamentale riguarda l’uso, spesso errato, dei nomi islandesi nella stampa straniera: il patronimico è come un attributo della persona, ma non rappresenta la persona stessa, per cui non può essere utilizzato come se fosse un cognome. Dire “Il signor Jónson”, “la ministra Jakobsdóttir” etc., è assolutamente sbagliato. È come se io parlassi di Mario Draghi definendolo “il Ministro figlio di Carlo”, giustamente voi magari nemmeno sapevate che il padre di Mario Draghi si chiamava Carlo, e anche se lo sapeste, sarebbe davvero strano parlare di Mario Draghi come “il premier figlio di Carlo”. La dicitura corretta sarebbe “il signor Jón Jónsson” e “la ministra Katrín Jakobsdóttir” per la prima volta in cui vengono menzionati in un testo, seguita poi semplicemente da “Jón” e “Katrín”, senza ulteriori specificazioni perché abbiamo già capito di chi si sta parlando. I commentatori calcistici, ugualmente, si riferiscono ai giocatori usando il nome proprio, e non il patronimico, anche se è questo a comparire sulle magliette, sempre per la questione che diciamo “Cristiano/Ronaldo” e non “il figlio di José Dinis”. Quando sento o leggo del calciatore “Hallfreðsson” provo sempre un senso di straniamento: non conosco nessun Hallfreður, come faccio a sapere chi è suo figlio?!

Nelle bibliografie e in altri i dici alfabetici, ugualmente, i nomi islandesi andrebbero elencati a partire dal nome proprio: Katrín Jakobsdóttir andrebbe alla K e non alla J. Questo uso è stato riconosciuto ufficialmente al di fuori dell’Islanda, ed è indicato come corretto, ad esempio, nel Chicago Manual of Style.

In Islanda, inoltre, non si usano titoli, se non per qualificare ulteriormente qualcuno quando lo si presenta o introduce in un testo, e si aggiunge dopo il nome, e non prima: potremo dunque avere Katrín Jakobsdóttir forsetisráðherra (Katrín Jakobsdóttir Presidentessa del consiglio dei ministri), seguito da “Katrín” per il resto del testo. Non ci si rivolge al primo ministro o a un mento del parlamento con i loro titoli, né a un professore universitario, né a un avvocato o a un ingegnere. Ci si rivolgerà dunque a Jón Jónsson prófessor, o a Jón Jónson lögmaður (avvocato), o a Jón jonson læknir (dottore), chiamandoli semplicemente “Jón”. Tranquilli: la società islandese non è ossequiosa e votata al salamelecco, ma non è nemmeno degenerata nella maleducazione o nella mancanza di rispetto. Sappiamo tutti benissimo che ci si può tranquillamente insultare rivolgendosi all’altro usando i suoi titoli o dandogli del “lei”!

4 risposte a “Nomi e cognomi islandesi”

  1. Avatar Martina Maria Perazzoli
    Martina Maria Perazzoli

    Interessantissimo e davvero illuminante, grazie!

  2. Un articolo davvero interessante. Mi sapresti anche dire qual è la radice del “dur” o “tur” che chiude spesso i nomi propri islandesi? Da quanto ho osservato, è più frequente nei nomi propri maschili, ma si trova anche in quelli femminili.

    1. Non è una radice. -ur è la desinenza classica del maschile singolare nominativo, corrispondente all’-us latino. Ci sono però alcuni femminili in -ur, proprio come in latino: manus è femminile, e difatti noi diciamo ancora LA mano 😉

  3. Finalmente una descrizione esaustiva sul tema, grazie! 🙏🏻

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