Per Natale, tra le altre cose, ho ricevuto un regalo davvero davvero speciale: un volume fresco di pubblicazione sugli uccelli islandesi e il folclore legato ad esso, Íslensku fuglarnir og þjóðtruin “Gli uccelli islandesi e le credenze popolari”, di Sigurður Ægisson (Hólar, 2020). Non soltanto risulta un atlante ornitologico ricco di informazioni su areale, biologia, comportamento e storia delle specie avicole presenti in Islanda, ma include pagine e pagine di documenti come leggende, credenze popolari, tradizioni, simbologie e molto altro.

La copertina mostra un bellissimo gufo delle nevi, un uccello intorno al quale ruotano diverse tradizioni. È interessante notare la discrepanza che esiste tra il materiale pensato per il pubblico islandese e quello pensato per i turisti, discrepanza che si giustifica con il fatto che il marketing è più efficace se va a confermare idee preconcette e soddisfare pregiudizi, piuttosto che a contraddirli. I turisti ormai associano indelebilmente l’Islanda al pulcinella di mare, e il materiale, le pubblicazioni e l’oggettistica indirizzati ad essi includono ormai inevitabilmente questo uccello. Il pulcinella, però, non è un uccello particolarmente prominente, in Islanda. Nidifica in poche zone specifiche e spesso difficilmente accessibili, e non ha un folclore significativo alle spalle. Difatti il libro gli dedica solo una paginetta, nel discuterne il ruolo nella cultura islandese, e per le restanti pagine ne parla nel contesto della cultura irlandese o di altri Paesi. Oltre a questo, il pulcinella di mare si è anche legato, nell’immaginario locale, a un tipo di turismo che agli islandesi non piace. Un turismo pre-confezionato che vende un’Islanda plastificata e simile ad un parco di divertimenti. Molti islandesi identificano il “puffin” (questo è il nome inglese con il quale l’uccello è spesso chiamato per brevità anche in italiano) con una sorta di taroccamento pacchiano e irrispettoso del loro Paese e della loro cultura a fini commerciali.

Tralasciando questo danno “morale”, il puffin è anche legato indissolubilmente ad un problema che Reykjavík ha dovuto affrontare negli anni passati durante il boom del turismo: l’esplosione di negozi di souvenir che vendevano inevitabilmente merchandising a tema pulcinella di mare, e che per questo motivo sono stati ribattezzati, con tono dispregiativo lundabúðir “puffin shop”, ha portato ad una competizione insostenibile per altre attività, e alla loro diffusione a macchia d’olio nel centro cittadino. Con la chiusura di altri negozi, magari a conduzione familiare, e l’apertura in massa di questi negozi di cianfrusaglie, alcune parti di Reykjavík si sono trasformate in una grottesca fiera dozzinale. Non solo: nonostante l’apparenza di competizione, i vari negozi si riforniscono tutti da retailer in mano a pochi individui, così che (di fatto) esiste un monopolio sulla vendita di questi prodotti. Non solo: essendo prodotti in massa in Cina, distruggono il mercato di prodotti locali che, essendo più cari, vengono scartati dai turisti che preferiscono comprare ciarpame a buon mercato da questi negozi.
Una ricerca condotta nel contesto della stesura di una tesi di laurea per l’Università di Bifröst ha evidenziato come il proliferare di questi negozi a tema pulcinella ammazzino il mercato creativo locale impedendo l’emergere di realtà alternative e genuine, soffocato dal marketing pacchiano che va incontro a pregiudizi malinformati della massa di turisti.
Guðmundur Andri Thorsson, figlio del famoso autore Thor Vilhjálmsson, nonché autore egli stesso, scrive così del pulcinella di mare in un articolo sul magazine Stundinn:
“Prima era «il mio bel tordo» [citazione da una poesia di Jónas Hallgrímsson; il Leopardi islandese NDT.], con il suo bellissimo canto, poi il piviere portatore di estate e gloria, il cigno che simboleggia fantasia e desiderio nell’immaginario islandese, oppure il falco che i conservatori han provato a rendere il nostro uccello nazionale, e lo zigolo delle nevi, che simboleggia la sopravvivenza dei più deboli ad ogni tempesta…gli islandesi hanno sempre trovato ridicolo il pulcinella di mare con il suo volo goffo, e lo hanno ridicolizzato chiamandolo “preosto” [perché ricorda la satira di un vecchio parroco NDR], ma ora è all’improvviso il simbolo di un Paese. Perché vende.”
“Abbiamo accettato il pulcinella come simbolo nazionale in silenzio e senza obiettare. Un uccello che non simboleggia nulla di speciale nell’immaginario islandese se non goffa affettazione”.
“Il problema è che è diventato un simbolo del Paese perché gli inglesi ne sono attratti e abbiamo percepito di poter vendere loro immagini di esso, così abbiamo afferrato l’opportunità”.
“Questo è il pericolo del turismo: simboli vuoti si espandono e nascondono altre cose più genuine e radicate, proprio come fanno i lupini con le erbe locali”.
“Ci immedesimiamo così in qualcosa che in realtà non siamo: iniziamo a recitare la parte degli islandesi [come ci vorrebbero gli altri], recitiamo noi stessi fino a che poi non diventiamo l’idea soddisfacente degli islandesi che riteniamo sarà popolare – e che venderà bene”. [questa situazione è ampiamente discussa in relazione a comunità autoctone che sono state prima ridotte a caricatura e poi snaturate per andare incontro alle aspettative di turisti provenienti da Paesi ricchi e in posizione di poter controllare con il loro denaro la vita di comunità locali NDA]
“I turisti non sono gli sgombri, non sono prede per la pesca, sono persone e arrivano in ogni forma, piacevole e spiacevole. Questo ci influenza in modo positivo o negativo a seconda delle situazioni, ma sarebbe desiderabile non lasciare che l’interazione con loro ci trasformi in pulcinella di mare.”
Per questo motivi, se desiderate essere turisti consapevoli, è giusto che sappiate che questo grazioso uccello, grande poco più di un piccione e dal becco variopinto, non è così vicino al cuore e all’anima islandesi come pensavate. Ovviamente la colpa non è della bestiolina, né questo significa che ci sia qualcosa di sbagliato nel sentirsene incuriositi e volerlo vedere e fotografare. Il discorso che faccio qui è diverso, parlo della fruizione eccessiva di merchandising e marketing a tema pulcinella che si porta dietro tutte le problematiche di cui sopra, che trovo doveroso segnalare, e che penso sia giusto conoscere se si è interessati all’Islanda. Il pulcinella è un elemento importante sella cultura delle isole Vestmannaeyjar, dove costituisce un elemento della dieta locale molto rilevante, ma occupare tutto la spazio e comparire sempre e comunque come se fosse una personalizzazione dello spirito islandese è qualcosa che da fastidio a molti islandesi, e penso che dovremmo avere l’onestà di rispettare questo. Altrimenti siamo sempre i soliti che trattano l’Islanda come un parco divertimenti che pretendiamo essere fatto a nostra immagine: “non me ne frega un accidente della cultura islandese, o di quello che pensano gli islandesi, IO voglio vedere le pulcinella di mare”.
Ci sono altri uccelli che rivestono un ruolo più preponderante nella cultura islandese, ma che vengono tristemente ignorati. L’esempio più lampante è il girfalco (fálki), l’uccello nazionale. Esso fu usato come stemma ufficiale d’Islanda a inizio ‘900, e comparve sulle banconote. Ancora oggi, l’ordine nazionale d’Islanda, con a capo il presidente, si chiama Ordine del falcone. Avete mai visto, voi, uno straccio di falco sul merchandising islandese?

Tornando al volume sugli uccelli islandesi, ben 12 pagine sono dedicate a un volatile che, in lingua locale, si chiama heiðlóa, comunemente chiamato lóa, e il cui nome latino è pluvialis apricaria. In italiano si chiama piviere dorato. Se esiste un uccello la cui importanza culturale in Islanda non può essere sottovalutata, è senza dubbio questo.

È un animale che mi è particolarmente caro per un motivo simbolico: il suo areale di svernamento include la pianura padana (è stato avvistato anche vicinissimo alla mia natìa Cremona), e capirete che per uno che si è spostato dalla pianura padana in Islanda, questo tocca qualche corda! Effettivamente non è l’unico uccello presente in Islanda a svernare in aree che includono la pianura padana, ci sono il beccaccino (hrossagaukur) il cui suono – simile al nitrito di un cavallo – evoca immediatamente l’immagine di luminose notti estive nella mente di un islandese , il cigno (álft), il cormorano (dílaskarfur), il codone (grafönd), il gabbiano comune (hettumáfur, quello con la testa nera!) la ballerina bianca (maríuerla), il tordo sassello (skógarþröstur), lo smeriglio (smyrill) e molti altri. Tuttavia, è proprio la lóa (preferisco chiamarlo con il nome islandese. Quello italiano sa troppo di libro di testo e di tassonomico) ad essere qualcosa di fondamentale in Islanda: è l’uccello che segnala tradizionalmente l’arrivo della primavera.
È sicuramente questo, l’uccello più amato d’Islanda: foriero di salvezza, per via del suo segnalare la fine della stagione più difficile per la sopravvivenza. Ogni anno, il primo avvistamento dell’uccello viene segnalato alla stampa che fa rimbalzare la notizia. L’arrivo è generalmente ad aprile, ma può arretrare a marzo e addirittura a febbraio in circostanze particolari.

Il folclore islandese include una leggenda sulla creazione di questo uccello, che non sarebbe stato plasmato da Dio al momento della creazione, ma ben più tardi: Gesù stava giocando da bambino con alcuni amici, plasmando figurine di uccelli con l’argilla. Passò di lì un sadduceo bacchettone che fece loro una ramanzina per non aver rispettato la sacralità del Sabato, e distrusse a calci le figurine dei volatili. Gesù, preso dalla rabbia donò loro la vita e quelle presero e volarono nel cielo, cantando la gloria di Dio. Così fu creato il piviere dorato.
C’è anche una famosissima poesia, composta da Páll Ólafsson, che cantano i bambini islandesi a primavera (a scuola o in famiglia) su un motivo di una canzone straniera:
- Lóan er komin að kveða burt snjóinn
- Il piviere dorato è giunto ad allontanare la neve
- kveða burt leiðindin, það getur hún.
- Allontanare la noia, come lui sa fare.
- Hún hefur sagt mér að senn komi spóinn,
- Mi ha detto che presto arriverà il chiurlo,
- sólskin í dali og blómstur í tún.
- Luce solare nella valle e fioritura nel campo.
- Hún hefur sagt mér til syndanna minna,
- Mi ha riferito i miei peccati,
- ég sofi of mikið og vinni ekki hót.
- Dormo troppo e non lavoro affatto..
- Hún hefur sagt mér að vaka og vinna
- Mi ha detto di alzarmi e lavorare
- vonglaður taka nú sumrinu mót.
- e, speranzoso, accogliere l’estate.
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