Noi italiani, abituati come siamo ad una varietà linguistica territoriale con pochi casi comparabili al mondo, facciamo stranamente l’errore di pensare che alle etichette delle lingue straniere, quindi a inglese, tedesco, giapponese etc., corrispondano realtà linguistiche omogenee, quando in realtà, varietà locali (diatopiche, nel gergo linguistico) esistono praticamente ovunque. La questione lingua/dialetto, poi, è sempre influenzata dalla politica: ci sono varietà linguistiche pressoché identiche ad altre, come il serbo rispetto al croato, o l’hindi rispetto all’urdu, che sono distinte soltanto dal fatto che le prime sono lingue ufficiali di Stati diversi da quelli delle seconde, e vengono differenziate, tra le altre cose, con un sistema di scrittura alternativo: il latino per il croato, il cirillico per il serbo, il Devanagari per l’hindi e l’arabo per l’urdu. Esistono anche varietà linguistiche considerate come dialetti di una medesima lingua, che però non sono comprensibili tra loro: il cinese di diverse regioni, o l’inglese parlato nel nord dell’Inghilterra o in Scozia, incomprensibile dai nativi stessi eppure considerato “inglese”.
In Italia, quelli che chiamiamo dialetti sono in realtà lingue separate a tutti gli effetti – alcune con una tradizione letteraria antica quanto o più di quella toscana, come il Siciliano o il Milanese. “Dialetto” indica una varietà periferica riconducibile a una matrice: ha senso parlare di dialetto cremonese, ma in riferimento alla lingua lombarda, non all’italiano, che è un’elaborazione letteraria su una matrice fiorentina, infarcita di elementi da altre parti d’Italia.
A volte siamo tratti in inganno dal fatto che identifichiamo la lingua come qualcosa di scolpito nel marmo, inequivocabile e con una certa solennità conferita dal suo utilizzo istituzionale, ma tantissime lingue del mondo mancano di uno stato che le riconosca, ed esistono stati che riescono standard multipli della loro lingua ufficiale, come la Norvegia, in cui esistono diverse forme accettate per l’ortografia e la grammatica, a seconda dei dialetti: in Norvegia un insegnante milanese non sarebbe autorizzato a correggere un “la mi’ casa” dal tema di un bambino toscano, o un “compatibbile” di uno studente romano. In Norvegia è co side rato discriminatorio ritenere che il modo in cui parlano persone di una certa area geografica sia migliore di quello di altre (questo in teoria, poi in pratica esistono pronunce considerate “brutte” o “ignoranti” anche lì!),
L’Islanda non è da meno, in tutto questo. Quando viene detto che in Islanda non esisterebbero dialetti, l’affermazione può essere considerata giusta o sbagliata a seconda di cosa uno intende per “dialetto”. Se si intendono varietà linguistiche assai discordanti dallo standard, quasi al punto da essere incomprensibili, allora in Islanda non ci sono dialetti, ma se si intende variazioni significative nella pronuncia, nel lessico, in dettagli grammaticali e sintattici, allora possiamo tranquillamente parlare di variazioni dialettali anche in Islanda.
Siccome quello che salta più all’occhio (anzi, all’orecchio!) quando si parla di dialetti è senza dubbio la pronuncia, vedremo quali sono le principali pronunce regionali dell’islandese, ricordando però che esistono anche variazioni significative nel vocabolario, proprio come da regione a regione nel nostro stivale.
La variazione più famosa è senza dubbio lo harðmæli “pronuncia dura” tipica del Norðurland orientale, particolarmente nelle zone dell’Eyjafjörður e Þingeyjar. È considerato una pronuncia elegante, e tradizionalmente usata in televisione, probabilmente perché più fedele al l’ortografia rispetto a quanto succede nel resto dell’Islanda: in islandese non esistono i suoni b, d e g italiani, ma esistono p, t e k con o senza aspirazione. Quando aspirati si scrivono “p, t, k” quando non aspirati, ovvero come p, t e k in italiano, si scrivono “b, d, g”. I suoni p, t, e k, dovrebbero quindi essere pronunciati con una leggera aspirazione (come fossero seguiti da una h), in realtà, però, nel resto dell’Islanda ciò avviene soltanto all’inizio di parola. In corpo di parola l’aspirazione si perde, così che p, t, e k sono indistinguibili da “b”, “d”e “g”, che in islandese si pronunciano p, t, e k ma senza aspirazione. Il sostantivo per “secchio”, fata, è pronunciato “fat-ha” /faːtʰa/ nel nord-est, secondo la grafia, ma “fata” /faːta/ nel resto dell’Islanda, ovvero come se fosse scritto “fada”. La pronuncia del resto dell’Islanda, dove l’aspirazione di p, t e k scompare in corpo di parola, è chiamata linmæli “pronuncia morbida”.
Anche la cosiddetta pronuncia sonora di riscontra nel nord-est: in islandese, le liquide e le nasali (l, r, m, n) si pronunciano sorde (ovvero senza vibrazione delle corde vocali) davanti a consonanti sorde . La parola per “freddo”, kalt /kʰa l̥t/ mostra una l sorda nel resto dell’Islanda (è un suono che ricorda la sc- di Paperino), ma nel nord-est viene pronunciata con una normale l: /kalt/. La parola per “banca”, banki nel nord-est si pronuncia /pauŋkʰɪ/ nel resto dell’Islanda /pauŋ̊kɪ/, dove la n è soltanto un soffio dal naso.
Nel sud, sussiste ancora in alcuni parlanti una pronuncia più arcaica del nesso hv, che nel resto dell’Islanda è oggi pronunciato kv. Questa variante viene detta pronuncia hv: la parola per “cosa?” hvað è pronunciata dunque “kvað” /kʰvaːθ/, mentre nel sud, può essere pronunciato ancora con una h. A seconda dei casi la pronuncia effettiva può essere “hað” /xaːθ/, “hvað” /xvaːθ/ oppure “huað” /xʷaːθ/, che è probabilmente la pronuncia medievale.
La pronuncia bð-, gð- è anch’essa tipica del nord-est. Davanti a [ð], i suoni f e g-fricativa diventano delle occlusive: la terza persona singolare del l’indicativo presente attivo di avere: “hafði” è pronunciata “hapði”. Questo è conseguenza del fatto che il suono originario “f” doveva essere come la b dello spagnolo odierno (una fricativa bilabiale), ovvero un suono intermedio tra b e v. In determinate condizioni, in questa area dialettale, si è rafforzato a b, anziché diventare una normale v. Similmente, il suono della g-fricativa, assente nell’italiano standard (è una sorta di g strascicata), si evolve in una normale “g”, (pronunciata k, in islandese, non dimentichiamolo!): sagði “dissi/disse” diventa “sakði”.
La pronuncia ngl è tipica del nord. Nel resto dell’Islanda, il nesso “ngl” è pronunciato con la n di “anguilla” seguito da l, nel nord, invece si pronuncia come nell’italiano “incluso”. Kringlan (il cerchio) è pronunciato /kʰriŋkla/ nel nord e /kriŋla/ altrove.
La pronuncia rn-, rl- sopravvive ancora nella ex-contea di Austur-Skaftafellssýsla (la regione di Höfn, per intenderci). La pronuncia standard di questi due nessi prevede l’inserimento di una t (che gli islandesi scrivono “d”, perché per loro “t” è una t+aspirazione). La parola barnið “il bambino” si pronuncia “partnið” o “patnið”, mentre jarlinn “il conte” si pronuncia “iartlin” oppure “iat-lin” nel resto dell’Islanda. Nella zona di Höfn sopravvive la pronuncia più antica: /parnɪð/ e /jarlɪn/.
La pronuncia monottongata dei fiordi occidentali è una pronuncia arcaica delle vocali di fronte al nesso ng. Tutte le vocali mutano davanti a questo nesso in islandese standard: ang→áng, eng→eing, ing→íng, ung→úng, yng→ýng, öng →aung. In islandese standard ti insegnano a scriverle con la gravità arcaica, ma a pronunciarle con quella innovativa, mentre nei fiordi occidentali sopravvive la pronuncia arcaica: banki è pronunciato /paɲ̊cɪ/ secondo la grafia, nei fiordi occidentali, ma “paunchi” /pauɲ̊cɪ/ altrove, lengur “più, avverbio” è pronunciato /lɛŋkʏr/ secondo la grafia nei fiordi, ma “leinkür”/leiŋkʏr/ altrove.
La pronuncia monottongata di Skaftfell ha la sua origine nella zona tra Vík e Höfn, ovvero in quelle che erano originariamente le due contee di Ovest- ed Est-Skaftafellssýsla. Qui, le vocali a, e, i, o, u, og ö sono pronunciate in quanto tali davanti al nesso “gi” (lögin è pronunciato come “lö-jin” /ˈlœːjɪn/ secondo la grafia, mentre nel resto dell’Islanda la vocale si è evoluta nel dittongo öu (che normalmente verrebbe scritto “au”), così che abbiamo pronuncia “löüjin” /ˈlœijɪn/. Il verbo “dire” segja è pronunciato “sei-ja” nel resto dell’Islanda, ma “see-ja” in questa zona, e così via.
Oltre a queste evidenti varianti della pronuncia, sussistono tutta una serie di altre differenze più o meno vistose e più o meno diffuse, ma l’elenco che abbiamo visto mostra in modo abbastanza chiaro come anche in Islanda la lingua non viene risparmiata da mutamenti ed evoluzioni che vanno poi a creare variazioni dialettali.
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