Imparare l’Islandese

Nonostante mi sia stato ripetutamente chiesto, negli anni, ho sempre schivato la domanda sui consigli per l’apprendimento della lingua islandese e, guardandomi alle spalle, capisco di averlo fatto per due ragioni: non mi sentivo di avere abbastanza conoscenze da poter impartire consigli in tal senso e avevo paura di scoraggiare eventuali studenti toccando la questione spinosa delle difficoltà proprie di questa lingua così speciale.

Le risorse per l’apprendimento sono poche, e in questo articolo voglio parlare di quelle che mi sembrano più utili, ma prima di procedere voglio fare una panoramica di alcuni aspetti cruciali dell’Islandese per inquadrarlo a beneficio di chi non lo conoscesse per niente:

L’islandese è una lingua del ramo settentrionale o scandinàvo del gruppo germanico, e in questo senso è sorella delle altre lingue nordiche: danese, faroese, norvegese e svedese (non del Finlandese, che è del ceppo ugrofinnico). È cugina di primo grado del tedesco e dell’inglese, e più alla lontana dell’italiano, appartenendo entrambe alla famiglia linguistica indoeuropea. La parentela è estremamente ovvia per un linguista che conosce i meccanismi di evoluzione delle lingue, ma è più ardua da rintracciare per il non esperto, anche se la somiglianza di tanti termini del lessico di base, come madre, padre, i numeri, i pronomi e tanto altro può essere facilmente notata.

Essa si rivela comunque relativamente di poco aiuto nel momento dell’apprendimento, se non che, islandese e italiano, posseggono una quantità infinita di categorie, forme e strutture grammaticali in comune che rendono le rispettive grammatiche molto più familiari rispetto a quelle di lingue come le amerindie, le austronesiane o le sinotibetane, ma anche del finlandese o dell’ungherese, che sono di tutt’altro ceppo.

Tempi e costruzioni verbali, preposizioni, ruolo sintattico, aggettivi, generi, numeri…tutti questi elementi che crediamo universali perché abituati a studiare quasi esclusivamente altre lingue indoeuropee che li presentano, possono non esistere in altre lingue. Esistono per esempio lingue dove non è possibile costruire una frase passiva (“La mela è mangiata da Marco”), perché esse marcano (segnano) in modo inequivocabile l’attore di un’azione (agente) da chi la subisce (il paziente), oppure esistono lingue che raggruppano i sostantivi in un numero vastissimo di “generi”, quindi accanto al maschile e al femminile possiamo avere “oggetti larghi e liquidi”, “oggetti piccoli” e molti altri; significa che gli oggetti larghi e i liquidi avranno affissi grammaticali (come desinenze e terminazioni) diverse da quelli per i sostantivi che descrivono persone o animali. Abbiamo anche lingue dove oltre al singolare e al plurale esiste anche il numero duale, quindi si avranno desinenze specifiche per gruppi di uno, due o più unità, o lingue che hanno un numero paucale, usato per riferirsi a gruppi di pochi elementi. In quest’ottica, l’islandese non è affatto una lingua “difficile” per noi:

Abbiamo i sostantivi che possono essere maschili, femminili o neutri (anche in italiano – senza saperlo – abbiamo i neutri: sono quei termini che sembrano maschili al singolare ma terminano in –a al plurale come i neutri latini, e che prendono articoli e aggettivi femminili: l’uovo le uova, il lenzuolo le lenzuola, il braccio le braccia, il centinaio le centinaia, il fondamento, le fondamenta, etc.) e, come in italiano, possono essere singolari o plurali.

Gli aggettivi si accordano in genere e numero ai loro nomi di riferimento, come in italiano: bambino piccolo, bambine piccole. Come in italiano, nomi e aggettivi appartengono a classi diverse che vanno imparate a memoria in una modalità frustrante per lo studente: le ragazze italiane, MA le ragazze islandesi e non “*le ragazze islandese” come tanti stranieri spesso dicono.

I verbi sono abbastanza semplici, specialmente rispetto a quelli italiani, e possono essere semplici o composti (qualcosa che non è assolutamente comune a tutte le lingue del mondo). Si può avere “io ho” e “io ho avuto”, “io avevo” e “io avevo avuto”. Esiste una forma progressiva “io sto facendo” (che non esiste in tutte le lingue), e forme analitiche come l’inglese: I will go/ I would go.

A differenza dell’italiano, esistono verbi che cambiano il tempo non aggiungendo desinenze, ma cambiando la vocale radicale, come in inglese: fly, flew, flown, solo che in islandese ci sono 7 classi regolari di questo tipo di verbi, e cambiano la vocale mostrandone una diversa all’infinito, al presente, al preferito (passato) singolare, al preferito plurale e al participio passato, come il verbo volare che fa: fljúga (volare), flýgur (lui vola), flaug (lui volò), flugu (loro volarono), flogið (volato). Questo sembra complicato, ma col tempo le alternanze di queste vocali vengono automatiche.

Una delle caratteristiche più ostiche per gli italiani è che l’islandese presenta, oltre al genere e al numero dei sostantivi, anche il caso: in italiano un sostantivo o un aggettivo può avere massimo quattro forme: bambino, bambina, bambini, bambine, oppure bello, bella, belli, belle. In islandese ce ne sono molte di più, perché le desinenze (ovvero i pezzettini finali delle parole che cambiano a seconda del contesto) non indicano soltanto il genere e il numero, ma anche il ruolo nella frase. Questo è un concetto familiare per chi conosce il greco, il latino o il tedesco, ma per altri è spesso difficile da capire (anche perché a scuola non lo spiegano bene!), ma che trovo semplice spiegare così: alcune lingue modificano le parole aggiungendoci dei pezzi prima, come in italiano “bambino, il bambino, al bambino, del bambino etc.”, mentre altre lingue attaccano dei pezzi alla fine. Le stesse parole in islandese sono “barn, barnið, barninu, barnsins”. Ci vuole tanto tempo ad abituarsi, ma ci si riesce.

Non ho parlato della pronuncia perché merita un capitolo a parte, e difatti le ho dedicato un articolo esaustivo molto più dettagliato di qualsiasi altra descrizione abbia mai trovato in giro. Dico soltanto che per noi italiani è più facile di quella francese o inglese, e se un italiano parla islandese con un forte accento, il suo islandese sarà più comprensibile di quello di un inglese che parla con forte accento, perché i suoni dell’italiano sono più simili a quelli islandesi rispetto ai suoni dell’inglese, e in particolare le vocali, che a differenza dei pregiudizi che noi romanzi abbiamo sulle lingue del nord, abbondano in islandese, che è una lingua dolce e musicale, lontanissima dalla spesso percepita e supposta asprezza del tedesco.

Dopo sei anni in Islanda, ho imparato una cosa, rispetto allo studio della lingua: la differenza la fa tutta l’impegno personale. Nessun aiuto, supporto, materiale o influenza esterna potranno infondere la lingua nello studente svogliato. Potete comprare tutti i libri e i manuali che volete, ma se non vi sedete a studiare con regolarità non imparerete nulla. Non illudetevi che comprando più materiale avrete vita più facile. Tra l’altro, conosco stranieri sposati con islandesi che vivono qui da dieci anni e nonostante capiscano qualcosa non sono in grado di spiccicare una parola. Evidentemente nemmeno il vivere in Islanda è sufficiente. Viceversa, conosco anche chi parlava già un pochino ancora prima di venire, e dopo un paio di anni era già a insegnare islandese agli stranieri nell’Università d’Islanda! Anche il frequentare corsi può essere un’arma a doppio taglio: si va a lezione un paio di volte a settimana, giusto per lavarsi la coscienza, e poi si dimentica l’islandese tra una lezione e l’altra. È invece necessario usare anche quel poco che si è appreso e tenerlo in allenamento, anziché aspettare.

Una volta mi sono arrabbiato con un amico americano, perché aveva iniziato un corso di islandese e mi aveva raccontato che alla sua richiesta (in inglese) di informazioni all’insegnante, questa gli aveva risposto in islandese è lui l’aveva interrotta, specificando che era “molto importante che capisse correttamente le informazioni”. Questo è un grave errore. Sapere di poter contare sull’inglese quando si è nei guai distrugge qualsiasi motivazione. La consapevolezza di avere sempre il salvagente alla portata impedisce di buttarsi e annaspare per imparare a nuotare. Nell’apprendimento bisogna passare anche dalla fase dove si capisce poco e male, e in cui gli errori possono costare cari. Io mi sono sempre sforzato di parlare islandese con medici, impiegati, meccanici, commessi e quant’altro. All’inizio non capivo, mi vergognavo a chiedere di ripetere, prendevo cantonate e mi sentivo frustrato per il fatto che la mia incompetenza mi costasse delle gatte da pelare. Il premio è stato, però, che grazie al mio amore per questa lingua e alla perseveranza che ho profuso, ora riesco a usare l’Islandese virtualmente in ogni situazione, e se non capisco qualcosa posso chiedere di spiegarla in altri termini in modo da comprenderla.

Se riuscirete a imparare l’islandese dipenderà in larga misura dalla passione che avrete e dall’impegno che ci metterete: lo imparano i polacchi, i lituani e i vietnamiti che lavoro a nelle industrie del pesce, quindi non è una funzione della quantità di studio svolto in gioventù, come molti pensano. Aver studiato latino o tedesco vi velocizzerà alla partenza, ma non vi porterà lontanissimo quando si tratta di parlare.

Mi viene sempre chiesto come sia stato il mio iter di apprendimento, per cui lo racconto qui per soddisfare la vostra curiosità, con la cura di far notare che non può essere preso come esempio perché è molto particolare e poco pratico per chi non abbia ancora tutta la vita davanti. Intanto specifico che non sono assolutamente ad un livello siderale. Riesco a parlare un po’ di tutto, ma in alcuni campi mi mancano tante parole e devo chiedere “come si dice il coso che fa la tal cosa?” Per poter proseguire. Penso di avere un livello buono perché riesco senza problemi a interagire con i medici, con gli uffici dell’università, con gli studenti e i colleghi, riesco a chiedere informazioni nei negozi, a spiegare cose complesse nelle mie sfere di competenza, e ho già seguito diversi corsi universitari in islandese, come greco antico, morfologia storica, didattica universitaria, e vari altri. Per arrivare a questo livello sono passato dalle seguenti tappe:

  • Conoscevo le lingue scandinave che sono state la mia materia di laurea. Questo ha aiutato molto con il vocabolario e un pochino con la grammatica.
  • Conoscevo un po’ di latino e greco dai tempi del liceo.
  • Ho iniziato studiando la grammatica dell’Islandese antico qui in Islanda come materia obbligatoria di studio. Nel giro di poco più di tre mesi avevamo esaurito tutta la morfologia. Questo perché quando si studiano le lingue morte non si deve impiegare del tempo per provare a parlare, ma bisogna memorizzare e scodellare liste di forme grammaticali. Questo ha fatto sì che dopo un anno non parlassi una parola di islandese ma conoscessi a menadito la grammatica.
  • L’anno successivo, dopo la laurea, ho seguito per un semestre tre corsi di islandese moderno. Quello di grammatica non l’ho frequentato, perché tra la grammatica dell’Islandese antico e quella del moderno c’è davvero poca differenza (quasi come tra l’italiano di Dante e quello di oggi). Qui ho imparato diverse parole di base e qualche frase, che riuscivo a rattoppare per comunicare alla bell’e meglio nella vita di tutti i giorni.
  • Ho continuato a tartagliare per un anno, perché, lavorando in università, il livello era troppo alto per darmi una chance di consolidare la base. Parlavo solo islandese col mio relatore, ma si discuteva di linguistica, quindi era la mia comfort zone.
  • La svolta vera e propria è arrivata al terzo anno, quando ho preso a lavorare in un asilo prima di vincere il finanziamento di ricerca. Qui ero obbligato per policy a parlare islandese coi bambini e coi colleghi, e siccome con i bambini si parla soprattutto in modo semplice, lineare, ripetitivo e basilare, qui il mio islandese è decollato.
  • Sono un pochino perfezionista, quindi mi vergognavo a parlare sapendo che avrei sicuramente sbagliato qualcosa, ma piano piano ho imparato a non curarmene.
  • Nello stesso periodo, ho conosciuto la mia attuale fidanzata, e vivendo con lei e passando tanto tempo con la sua famiglia e i suoi amici, il mio islandese si è sciolto in modo considerevole, così che ora parlo di qualsiasi cosa senza vergogna per errori o imprecisioni perché nel caso riesco comunque a spiegare e far capire cosa intendo pur mancandomi qualche termine specifico.

Per qualcuno che voglia studiare l’islandese con l’intento di venire a vivere in Islanda, penso consiglierei di studiare bene la grammatica pura, e lasciare la parte pratica a quando si arriverà in Islanda. La base grammaticale rendere più semplice mettere insieme i pezzi. Questo è il contrario di quanto oggi viene fatto nell’insegnamento linguistico, dove a poche e scarne nozioni grammaticali presentate a piccole dosi si associano massicce quantità di ripetitivi esercizi pratici e giochi. Bisogna però essere onesti: questo viene fatto perché le nuove generazioni hanno sempre meno dimestichezza (leggi: “sono sempre più ignoranti”) con la grammatica, per cui si preferisce un approccio pratico dove la parte teorica si da quasi per scontato che verrà acquisita di riflesso. La mia esperienza mi dice che ciò molto spesso non funziona, e che quelli che digeriscono molta grammatica alla partenza sono quasi sempre quelli che poi hanno i risultati migliori.

Se non intendete venire a vivere in Islanda, ma apprendere la lingua vi interessa comunque, potete affiancare l’apprendimento grammaticale a quello pratico usando un metodo graduato.

Va da sé che il materiale disponibile è praticamente tutto in inglese, quindi è necessario masticare bene questa lingua per poter apprendere l’islandese.

Dei testi disponibili, ce ne sono in particolare tre sul mercato che sono più facilmente accessibili, e che presentano diversi pregi e difetti:

1) Complete Icelandic, enhanced ebook

Questo mi piace molto perché costa poco più di 3€ nel formato digitale, e se lo leggete su smartphone, tablet o computer scaricando l’applicazione Kindle, avrete le tracce audio incorporate nel testo. Non servirà quindi copiare tracce audio da CD che ormai i nostri computer non possono più leggere. Tutto è accorpato nel file del libro digitale. Questo è uno di quei libri che presentano la grammatica quasi in modo defilato nel mezzo degli esercizi pratici.

Pro: economico, integra audio e testo

Contro: manca di una sezione di riferimento grammaticale. Trovare informazioni se si ha un dubbio specifico può essere arduo.

2) Colloquial Icelandic

Questo è probabilmente il più completo. Anche questo incorpora il materiale grammaticale tra il resto, ma lo tratta in modo più dettagliato e preciso. Gli esercizi sono più estesi. L’audio è però online e non integrato, rendendone l’utilizzo un po’ scomodo.

Pro: più completo, ricco di informazioni ed esercizi.

Contro: costosissimo.

3) Beginner’s Icelandic

Questo è un testo che avevo personalmente leggiucchiato prima di venire in Islanda, copiando le tracce dei CD sul mio iPod (era il 2014, e all’epoca il mio computer era dotato di lettore CD). Oggi diventa complicato accedere alle tracce, e sentire la lingua pronunciata da un madrelingua, poter ascoltare e riascoltare per essere sicuri di aver capito bene è qualcosa di fondamentale.

Questo è un testo molto più snello degli altri due, ma ha il pregio di presentare snellissime tavole grammaticali alla fine, che a mio avviso sono indispensabili.

Pro: ben organizzato, riassunti di grammatica, dialoghi completi, buona selezione delle parole.

Contro: audio di difficile accesso, forse troppo sintetico in certi aspetti.

4) Icelandic online

Quando sono stato ammesso al corso di islandese moderno all’università, mi è stato richiesto di completare due o tre livelli di Icelandic online. Cosa che non ho completamente fatto, scioccamente, perché Icelandic online è un gioiello davvero meritevole. È curato dall’istituto Árni Magnússon per gli studi islandesi (lo stesso dove lavoro) ed è quanto di più vicino esista ad una full immersion nella lingua. Ricco di audio e video, esercizi graduati e informazioni grammaticali, è forse la risorsa migliore in assoluto.

In alto a destra presenta questo utile box, dove è possibile consultare il dizionario monolingue (orðabók), consultare le schede di flessione delle parole (beygingar) oppure cercarne la traduzione inglese (íslensk-ensk). Bisogna creare un account registrandosi – il che richiede due minuti – dopodiché ci si può mettere seriamente a fare pratica. L’unico difetto è che non si tratta di un bel libro cartaceo da tenere sulla mensola, ma forse è meglio così, proprio per la tendenza dei libri cartacei a restare abbandonati sulle mensole!

Pro: intenso, accattivante, interattivo, completo. Gratuito!

Contro: non è un manuale cartaceo.

In conclusione, se avete le risorse da investire consiglio il manuale della Routledge, se volete risparmiare ma avere comunque un buono strumento buttatevi sul Complete Icelandic, ma in ogni caso provate a completare i moduli di Icelandic Online!

8 risposte a “Imparare l’Islandese”

  1. Avatar caterina.romano1974
    caterina.romano1974

    Ciao, posso approfittare di te per avere alcune notizie riguardo la situazione COVID in Islanda? Ho un viaggio prenotato e pagato per il 4 Luglio con la mia famiglia e non so come comportarmi. Se puoi e ti va di rispondermi mandami un segnale. Grazie comunque.CiaoCaterinaInviato da smartphone Samsung Galaxy.

  2. Ciao Roberto. Stavo riflettendo sul post nel quale indichi suggerimenti circa l’apprendimento della lingua islandese. Dove risiede questo desiderio per fini “turistici” o per “sete di conoscenza”?, Per esemplificare : ho girato tanto e a parte le frasi di pura sopravvivenza, lasciavo spazio all’inglese. Spesso collaboro con i bimbi della Scuola Giapponese di Milano e non so una parola eppure ci capiamo. Da formazione prettamente sociologica a livello accademico, cosa ci spinge a voler entrare nell’aspetto intimistico di una Nazione e per prima cosa… Mi insegni quella lingua? Caso contrario se una persona decide di trasferirsi e lì subentra la sopravvivenza sociale. Spero di non essere stato troppo contorto. Roberto

    1. Ciao! Mi sono un pochino perso nella seconda metà, ma provo a risponderti: è molto comune che le persone che visitano regolarmente un luogo vogliano imparare la lingua locale per avvicinarsi di più all’anima del posto. Una persona che visita regolarmente l’Alto Adige o che ha una casa vacanze là potrebbe desiderare imparassi un po’ di tedesco o di ladino, ad esempio. Le frasi di pura sopravvivenza rientrano in questo! Penso che il voler entrare di più nella nazione sia un bisogno umano di sentirsi inseriti in un gruppo del quale desideriamo far parte!

  3. Non è un testo accademico ma un articolo di un blog, è ovvio che abbia un carattere più personale e soggettivo. Quanto alla brutalità del tedesco, mi spiace ma siamo in disaccordo. Tanti tedeschi stessi la riconosco. Fricative seguite da plosive (scht/schp) o peggio “schtr/schpr”, le nasali sillabiche (le famose -en usate come caricatura in Sturmtruppen), l’abbondanza di z affaticate come z e pf…le fricative ch, la r che pure quella è fricativa…sono suoni che non si possono definire melodiosi o aggraziati sotto nessun parametro. Sono brutali, possono suonare animaleschi addirittura.

    Se poi a uno piacciono, liberissimo! Io il tedesco ogni tanto devo usarlo per motivi di lavoro, ma mi sentirei disonesto a negare quello di cui sopra. Ho sentito tedeschi (donne in particolare) parlare con posata dolcezza, cosa che mitigava d molto lo stereotipo del gerarca nazista che sbraita, ma i suoni che ti ho elencato sopra purtroppo restano, e restano poco musicali (non conducono melodia), cosa che li rende brutti alle orecchie di tanti.

    1. Ma se sai che a me il tedesco non piace, e le è una cosa che rivendico, cosa stiamo a discutere? Se ritieni che sia una cosa totalmente soggettiva (e lì siamo in disaccordo), per coerenza non dovresti discuterne, perché non servirebbe a nulla.

      È una mia opinione, e siccome non è un insulto denigratorio, posso esprimerla come meglio credo. Se trattenessi qualsiasi opinione che potrebbe colpire in qualche modo diretto o indiretto la sensibilità altrui non parlerei più 😂

      Il concetto di bello/brutto non esisterà in linguistica, ma la linguistica non è l’unico approccio alle lingue. Il bello è il brutto sono qualcosa di presente e reale nella vita delle persone, e sai meglio di me che per tante persone il tedesco suona “brutto”.

      Sfondi una porta aperta con l’olandese e con le lingue semitiche (tranne forse il copto) e l’olandese (neerlandese), e l’unico motivo per cui non le ho incluse è che la gente le conosce molto meno e non sarebbero stati esempi efficaci.

      L’Islandese non ha nasali sillabiche. Si desonorizzano e diventano un aggraziato sbuffo dal naso invece di quel colpo dal fondo della gola che ricorda il suono di un poveretto che fatica ad andare di corpo ( 😂 sto colorendo per sdrammatizzare, non prenderla come una cattiveria gratuita!)
      Semmai ti riconosco che questo suono esiste nel norvegese (ma non in tutti i dialetti), e che costituisce uno dei – a mio avviso – difetti di questa lingua, e ogni lingua ne ha diversi.
      Quanto all’ultima frase, mi rattrista vedere una immaturità del genere: ti rendi conto di quanto suoni infantile? “Non fai come dico io quindi non gioco più con te”. Siamo a questi livelli.
      Felicissimo di sapere che conosci altri esperti di islandese, mi piacerebbe proprio conoscerli (se non lo conosco già: sai, è comunque un campo ristretto).

      Mi sento comunque di consigliarti, per il futuro, di:
      a) essere meno permalosa
      b) non prendere sul personale opinione o critiche di altri a cose che per te sono intoccabili
      c) impara a tollerare che c’è gente con gusti diversi e che questi gusti è liberissima di esprimerlo
      d) non minacciare di abbandonare pagine con seguito corposo: a loro non importa nulla di perdere un lettore, specialmente se si comporta come stai facendo tu.

  4. […] 2. Spendere tanti soldi per il materiale non è saggio: esistono corsi gratuiti online, dizionari e tavole grammaticali curati dagli studiosi islandesi e a disposizione di tutti. Avere un libro di testo, è però sicuramente qualcosa a cui molto tengono. Dunque, per qualche consiglio sul materiale, consultate questo mio articolo. […]

  5. Roberto Luigi Pagani mi e piaciuto molto il tuo post sull’islanda, io sono un ragazzo di quasi 26 anni sono italiano, e vorrei tanto riuscire a emigrare in Islanda, perche so che qui in Italia non ce futuro, ma so anche che se andrò in islanda non e tutto roseo la vita infatti ho letto bene il tuo post dove parli, e spieghi molto bene che la vita non e facile neanche in Islanda, pero io ne sono al corrente ma io ho intenzione lo stesso di emigrare in islanda anche se so benissimo di andare incontro a tanta sofferenza, solitudine, e sacrifici, pero io sono disperato qui in Italia vivo ancora con i miei genitori non ho una ragazza e non ho nemmeno amici qui sono solo lo stesso qui in Italia, purtroppo qui non lavoro neanche perché lavoro qui non ce ne, ma io vorrei andare a vivere in Islanda per costruirmi un futuro che qui in Italia non posso e non potrò mai avere e poi voglio trovarmi una bella ragazza in Islanda che qui in Italia non riesco a trovare, anche se so che all’inizio sara molto dura in Islanda non avendo nessuno lì che mi aspetti ma io sono al corrente di tutto questo ma io amo L’islanda e il mio sogno da quando ero bambino andarci a vivere perché amo l’islanda e gli islandesi, e soprattutto la l’oro cultura nordica, solo che io non so niente della lingua islandese, qui in Italia sono disoccupato non lavoro vorrei che mi potessi aiutare a emigrare in Islanda per favore .

  6. […] Nonostante rare eccezioni è praticamente impossibile trasferirsi in Islanda senza conoscere un minimo di inglese perché le informazioni per burocrazia, casa, sanità e quant’altro sono accessibili soltanto in islandese e inglese, quindi se parlate soltanto l’italiano cercate di sopperire a questa mancanza prima di mettervi viaggio. Fortemente consigliato è anche l’apprendimento di una base di islandese. Per consigli mirati leggi questo mio articolo dedicato. […]

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