Ho avuto recentemente una conversazione con altri italiani che vivono in Islanda e lavorano nel turismo. Eravamo d’accordo che una porzione forse troppo consistente dei turisti non fa esperienza della società islandese, eppure quando incontrano noi italiani che viviamo in Islanda fanno sempre un sacco di domande sugli islandesi. Un apparente quanto curioso paradosso. Se è vero che da un lato (e su questo possiamo essere tutti d’accordo) la principale attrattiva dell’Islanda è costituita dalla sua natura, e che quindi la sua storia e società ricevono un’attenzione relativamente minore dal visitatore medio, come mai tutta questa curiosità?
Quando vado all’aeroporto a prendere qualche gruppo di italiani, le prime domande che mi vengono fatte riguardano sempre la società islandese attuale. Questo testimonia, secondo me, non tanto una curiosità antropologica specifica rispetto all’Islanda, quanto la curiosità generale di sapere come altri popoli gestiscono la loro vita, e se per caso non abbiamo qualcosa da insegnarci o da imparare da noi.
Tra questi ci sono anche alcuni che arrivano in Islanda con un pacchetto di idee, che il mancato contatto con la vita reale del paese non fa che confermare. A tal proposito vorrei citare un post appeso su un gruppo di Facebook e fermarmi a commentarlo:
L’Islanda per me rappresenta ‘il mondo ideale’. Il fatto che è la natura che governa e l’uomo si adegua ad essa…. Il rispetto delle altre persone… la fiducia verso le altre persone.. La tranquillità… Il vivere senza aver paura che nessuno rubi niente, ma anzi, l’oggetto smarrito viene lasciato lì, nell’eventualità che il proprietario torni a cercarlo. Da quando sono tornata in Italia percepisco sempre di più l’egoismo delle persone, la cattiveria, il senso di ingiustizia, la paura nella quale vivono… È bello sapere che esiste un luogo non lontano da noi dove ancora ci sono questi valori, i VERI valori!
La prima frase è la chiave di tutto: l’Islanda per questa persona è una sorta di Utopia. Questo può in parte spiegare (oltre al fatto che, ovviamente l’abbia vissuta da turista) il perché delle inesattezze che seguono:
“In Islanda è la natura che governa l’uomo” > più esattamente bisognerebbe dire che in media ci sono più giorni in Islanda in cui non si può uscire di casa per il maltempo, e che il lungo buio invernale lascia meno spazio al range di attività possibili. La verità però è che l’Islanda è una delle più grandi vittime dell’uomo: quando osservate quei paesaggi brulli, senza alberi, con i monti striati dai ghiacci e dal verde fluorescente dei muschi, non illudetevi. La scarsità di strade, fili della corrente, antenne e costruzioni può trarre in inganno, ma la natura che state osservando è il risultato di una devastazione operata per mano umana.
Ai tempi della colonizzazione, fino al 40% della superficie islandese era coperta di foreste di betulle.

Con l’arrivo dei primi coloni, nel corso del IX secolo e gli inizio del X, l’abbattimento indiscriminato e il pascolo sregolato hanno esaurito le risorse di un suolo sottile e delicato, lasciando spazio a quei bei paesaggi desolati che tanto toccano le vostre corde dell’anima perché vi sembrano natura selvaggia e incontaminata. Oggi la situazione delle foreste in Islanda è questa:
Oggi, e addirittura dopo più di un secolo di sforzi colossali per combattere l’erosione e l’impoverimento del suolo, la copertura è di circa il 2%. I suolo scoperti si prestano alla generazione di tempeste di sabbia, e senza piante la poca copertura organica che riesce ad accumularsi viene spazzata via dai venti.
In conclusione, avvicinarsi alla natura islandese come qualcosa di puro e incontaminato a cui l’uomo ha semplicemente dovuto piegarsi ha davvero poche giustificazioni storiche.
Poi abbiamo:
Il rispetto delle altre persone… la fiducia verso le altre persone.. La tranquillità… Il vivere senza aver paura che nessuno rubi niente, ma anzi, l’oggetto smarrito viene lasciato lì, nell’eventualità che il proprietario torni a cercarlo.
Qui bisogna vedere se un Paese la cui classe politica brilla parecchio per la sua corruzione ed era invischiata fino al collo nei Panama Papers possa dirsi un Paese dove regni il rispetto per le altre persone. Vivendo qui penso che più che altro si tratti della fortuna di essere pochi in uno spazio esteso, che porta la gente ad avere meno occasioni per darsi sui nervi, piuttosto che di una questione di rispetto insita nell’Islandese. Le ubriacature e gli atti vandalici si verificano anche qui. Sicuramente in misura minore che in Italia, ma l’Italia è un Paese di sessanta milioni di abitanti con profonde disuguaglianze, che sono difficili da colmare, e che rendono difficile a persone che si sentono tradite o comunque non servite dalla loro società ad avere rispetto per quanto è pubblico. Poi anche qui bisognerebbe aprire tutto un discorso sull’efficacia reale e quella percepita del servizio pubblico, perché io onestamente tutto questo welfare miracoloso nordico non l’ho ancora visto, e mi pare solamente che gli islandesi (o meglio, alcuni di essi) si siano semplicemente auto-convinti di vivere in uno dei migliori mondi possibili. Noi Italiani diamo sempre per scontato (specialmente se non abbiamo ancora passato i 50 anni) che in Italia faccia tutto schifo e che tutto funzioni meglio altrove. In Italia abbiamo però molti punti di forza culturali, legali, sociali…che ci dimentichiamo perché troppo occupati a cercare conferma del fatto che comunque siamo peggio degli altri. È ovvio che con un atteggiamento del genere uno non possa innamorarsi troppo della sua terra e della sua società e finisca con il disprezzarla e abbandonarsi poi ad atti di sabotaggio.
I furti avvengono anche qui, e la gente sta attenta a chiudere la porta di casa. Le biciclette vengono rubate anche qui, e magari ciò non avviene con la celerità tipica di un bar in una stazione Milanese o Romana, ma la differenza si spiega di più con una questione di numeri relativi che con una vera e propria differenza culturale.
Ogni tre per due emerge uno scandalo di islandesi che sfruttano i lavoratori stranieri tenendoli in ostaggio e ricattandoli, in modi affini al nostro caporalato. I diritti se non li vai a cercare tu non te li spiega nessuno, e anzi spesso cercano in tutti i modi di nasconderteli per fregarti e pagarti di meno. Non definirei questa società una società votata all’altruismo. Anzi, l’Islandese medio – per come la vivo io – è estremamente egoista e interessato prima di tutto al benessere proprio e dei propri congiunti. Non c’è abnegazione per la società o lo stato. Il nepotismo qui è livelli spesso indicibili, a favorito dal fatto che siano così in pochi e con così forti legami familiari.
Poi mi si può chiedere, “perché sembro così determinato a demolire questi stereotipi positivi sulla terra in cui vivo?”
La mia risposta è che amare qualcuno o qualcosa non può e non deve tradursi con il non vederne (o fingere di non vederne) i difetti. Mi sono approcciato all’Islanda con il rispetto e la mentalità di uno che ha tanta voglia di imparare e capire. Ho sempre in mente un detto buddista che recita “La ciotola è utile solo quando è vuota”. Ho cercato di farne tesoro e svuotarmi dei miei preconcetti per imparare a capire meglio questa società e diventarne parte attiva. Non ho mai però nemmeno voluto, come capita in alcuni casi, riplasmarmi un’identità fai-da-te perché ero insoddisfatto di quella capitatami per incidente di nascita. Non trovo maturo voler rinnegare il mio passato e le mie origini per qualsivoglia motivo, e mi spiace quasi quando sento di giovani come me che vengono qui, si cambiano il nome e cercano di passare per islandesi (impossibile in una società così piccola e omogenea). Essendo ospite qui, cerco di usare la mia intelligenza per soppesare il valore delle mie osservazione e trovare il difficile equilibrio tra la critica costruttiva di uno straniero che ha più esperienza in un dato campo e l’arroganza del visitatore ingrato che pretende di insegnare al popolo di cui è ospite come stare al mondo.
Penso che né demolire gli islandesi né metterli su un piedistallo rechi loro un servizio. Anzi. Non hanno bisogno né di sentirsi dire che sono migliori né di venire sminuiti come peggiori. Hanno bisogno di osservazioni obiettive e di critiche costruttive, e nel mio piccolo cerco di fare questo. Relativamente agli italiani, invece, quegli italiani che ho imparato ad amare stando in mezzo agli islandesi, ho l’ingenua pretesa di…fare esattamente lo stesso. La mia esperienza diretta con un popolo così idealizzato e così gravato da pregiudizi immeritatamente positivi voglio che sia uno strumento per dire ai miei connazionali che non hanno bisogno di cercare una terra promessa nell’artico, perché non la troveranno, e perché potrebbero impiegare le stesse energie per scoprire come la loro Italia non è (in fondo) poi così male.
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