Per curarmi lo spirito dopo un’estate che potrei eufemisticamente definire “intensa”, ho fatto una breve vacanza tutt’intorno al Paese, oltre ad un’escursione nell’interno – una zona che non avevo mai visitato prima – e questo viaggio mi ha confermato per l’ennesima volta che l’Islanda è il posto giusto per me. La cura migliore ai malanni che affliggono lo spirito.
Il viaggio prevedeva una sosta di tre notti in una casa estiva di proprietà di un’amica della mia ragazza, per poi farne altre tre in fattoria dai miei quasi-suoceri.
Siamo partiti da Reykjavik in auto con la mia morosa e una sua amica, e abbiamo fatto una prima sosta (fortemente voluta da me), nella località di Þingeyrar, alle porte del Nord, dove si trova la più antica chiesa in muratura del Paese, la Þingeyrakirkja. In questa località, sorse il primo monastero cattolico, nell’undicesimo secolo, che è probabile fosse il luogo dove fu realizzato il più prezioso manoscritto del medioevo islandese: Flateyjarbók. A questo è effettivamente dedicata una piccola mostra nell’altrettanto piccolo centro turistico di fianco alla chiesa.
Non è un’attrazione molto conosciuta, nemmeno agli islandesi, ed è un vero peccato. Lo so che martello sempre su questo punto per deformazione professionale, ma venire in Islanda per i paesaggi senza curarsi del retaggio storico e culturale sarebbe altrettanto idiota quanto andare in Toscana per fotografare i vigneti e i cipressi ignorando completamente borghi, castelli e musei.
La sera siamo arrivati alla guesthouse di Langavatn, vicino a Húsavík, di proprietà di questa nostra amica, che ci ha accompagnato sulla sua 4×4 dalla parte opposta della penisola di Tjörnes, a poca distanza dal famoso Ásbyrgi. Dalla strada sembrava di trovarsi in una landa desolata di dimensioni sconfinate, ma dopo aver imboccato una sterrata siamo sbucati all’interno di un’anfiteatro naturale nascosto dalla strada, dove l’erba rigogliosa e le numerose piante sembravano creare una sorta di piccolo mondo separato dalla desolazione circostante. Qui ci siamo fermati per i tre giorni successivi, e ci è servito come base per visitare Ásbyrgi (Muraglia degli Dei) Dettifoss (Cascata della caduta – che questo giro ho visto dal lato est, a mio avviso molto più drammatico di quello ovest che visitai nel 2015), Jökulsárgljúfur (Canyon del fiume Glaciale) e gli incredibili Hljóðklettar (Rocce del Suono), lungo il corso del fiume Jökulsá á Fjöllum (Fiume Glaciale sui Monti).
Nonostante avessimo per lo più fatto la spesa, ci siamo concessi un pranzo a Húsavík (a mio avviso una delle località abitate più belle d’Islanda) in un ristorante consigliatoci dalla nostra amica locale: Naustið, dove offrono pesce fresco di giornata a prezzi ragionevoli e in un ambiente super-accogliente.
La discesa lungo la costa est ci ha portato a fare due brevi soste, una a Egilsstaðir e una a Seyðisfjörður, che la mia ragazza ha definito “il Limone (sul Garda) d’Islanda”. La strada era a tratti difficoltosa, con molte curve, salute ripide e punti ciechi, ma ben tenuta, se non consideriamo il lungo tratto non asfaltato. La via lungo i fiordi è tutta asfaltata, ma molto più lunga. Nel sud ci siamo fermati a mangiare qualcosa a Jökulsárlón. Nonostante l’eccesso di turisti fastidiosi (quelli che si trovano nei luoghi meno accessibili e conosciuti hanno un non so che di meno irritante – forse perché non sbraitano e sghignazzano in branco mentre si fanno i selfie con lo stick), rimane uno degli angoli più speciali del mondo. Non ci si può mai stancare di osservarne gli Iceberg scivolare verso il mare.
Arrivati in fattoria alla sera, ci siamo preparati per un riposo ristoratore, prima di affrontare la gita in fuoristrada verso il Langisjór (Mare Lungo, in realtà un lago di origine glaciale). La strada era terribile, irregolare, spesso ripida e coperta da grosse rocce. Abbiamo dovuto attraversare tre fiumi, avendo l’acqua a metà portiera, ma alla fine ne è valsa la pena: non c’era nessun altro oltre a noi, e attraversando le imponenti distese lunari di sabbia e roccia nera striata dal muschio verde brillante mi ha restituito un po’ di quell’islanda che il turismo di massa ha fatto perdere.
È stato interessante vedere il paesaggio mutare: mentre salivamo quasi impercettibilmente allontanandoci dal mare, le colline erbose a ridosso delle fattorie lasciavano spazio a vaste distese di brughiera ricolma di fiori e piante cariche di bacche. Le foglie tendevano all’arancione, per l’autunno ormai sopraggiunto.
Le brughiere più lasciavano lentamente lo spazio a ampie distese rocciose, circondate da rilievi dalle forme curiose, finché tutto non divenne coperto da immani dune di sabbia e pulviscolo, neri come la pece. La strada era a tratti appena visibile, segnalata dagli occasionali paletti di legno piantati qua e là, e l’unica nota di colore erano le vaste chiazze di muschio verde evidenziatore, che copriva I crinali dei monti e le lande desertiche. Salendo e scendendo per le dune e le colline, siamo finalmente giunti sulle rive di questo incredibile lago, lungo e sinuoso. Sullo sfondo la lingua di un ghiacciaio, sui suoi fianchi dei pendii che parevano levigati da mano umana, e tutt’intorno un silenzio denso ma posato. Solenne eppur accogliente. E io ero lì. Un granulo di polvere davanti all’inimmaginabile potenza della natura e al suo fragore silenzioso.
E tra me e me pensavo. Sono davvero qui. Sono in Islanda. Dopo quattro anni riesce ad emozionarmi ancora come la prima volta.
Qui sotto un itinerario della vacanza.
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