Góðan daginn,
vorrei parlare nel dettaglio di come passo le giornate in Islanda. L’intento che anima la stesura di questo articolo sulla mia routine nella terra del ghiaccio non è tanto quello di sbandierare gli affaracci miei, quanto quello di dare un’idea di ciò che possono aspettarsi tutto coloro i quali pensassero di seguire una strada simile alla mia. La mia speranza è quella di essere da stimolo e incoraggiamento per quelli che si sentono scoraggiati o spaesati tanto quanto lo sono stato io. Dunque, dedichiamoci alla stesura non troppo telegrafica e il più possibile esaustiva di questa sorta di sunto dello svolgimento delle mie giornate.
Sto seguendo un master programme all’università d’Islanda denominato Medieval Icelandic Studies, che è un corso di laurea magistrale multidisciplinare, con una forte componente linguistica, e orientato alla storia e alla letteratura, oltre che all’archeologia. La maggior parte degli iscritti proviene da corsi di laurea in storia e/o archeologia…peggio per loro perché impazziscono nello studiare l’antico nordico, spesso non avendo familiarità con la linguistica. Il corso si svolge nell’arco di un anno, e per laurearsi sono necessari almeno 90 crediti, di cui 30 per la tesi magistrale. L’estate viene dedicata alla stesura della tesi, ma naturalmente può capitare di sforare se il lavoro richiede più tempo. È anche possibile spalmare il programma su due anni, e aumentarlo a 120 crediti, facendo le vacanze d’estate, e trascorrendo uno o due semestri in un’università danese o norvegese, il secondo dei quali sarà comunque dedicato alla tesi. Generalmente un corso porta 10 crediti, per cui generalmente si seguono tre corsi a semestre: nel primo ci sono tre corsi obbligatori: Old Icelandic 1, concentrato sull’acquisizione di abilità di lettura e traduzione dall’antico nordico, The Medieval North, corso di storia del medioevo scandinavo, e The Old Norse-Icelandic literary corpus, dove viene affrontata la parte letteraria. Nel secondo semestre il corso obbligatorio è uno solo: Old Icelandic II, mentre tra i facoltativi ci sono codicologia/paleografia, storia della lingua islandese, archeologia dell’età vichinga etc. Il master permette l’accesso ai corsi di dottorato. Dopo questa breve (lol) parentesi, passiamo all’argomento vero e proprio di questo post.
Intanto preciso che per l’alloggio ho scartato l’opzione campus perché seppur presentando il vantaggio impareggiabile della vicinanza agli edifici dell’università, porta numerosi svantaggi.
1) Di norma è antieconomico: i miei amici nei dormitori spendono in media 150€ in più di me.
2) Condividere la cucina può essere tragico: tanti studenti non puliscono e lasciano sporco e disordine. Alcuni miei amici faticano ad usare la cucina per lo schifo che fa.
3) La quiete è spesso un optional: festini e rumori molesti, gente che sbatte porte e fa cincello ad orari improponibili…
Ho dunque optato per la famiglia, e devo dire che ho avuto una fortuna sfacciata: sono finito nella casa dell’edito dell’Íslenzk Fornrít, forse la più prestigiosa serie di testi in antico islandese, che lavora all’istituto Arni Magnusson, dove ho tutte le mie lezioni, che ha insegnato nel mio corso di laurea negli anni passati, e che ha l’ufficio di fianco a quello del mio prof. di antico nordico. I vantaggi di natura didattica sono incalcolabili: abito con un esperto della mia disciplina, e poi posso scroccare qualche passaggio quando il tempo non è dei migliori.
Ma passiamo ai vantaggi di natura pratica: mi trovo in una villa indipendente con vista sul mare, ho un bagno tutto per me e ci pensa la famiglia a tenere pulito. Ho una cucina con ogni attrezzo immaginabile funzionante. Un sacco di spazio e parecchia quiete. C’è il vantaggio della pratica linguistica, e il supporto che la famiglia può fornire su come muoversi. Se non amate l’idea perché volete sfasciarvi di festini, piuttosto cercate un appartamento condiviso, ma occhio alle ladronerie.
Detto questo, passiamo alle mie giornate.
Abito a Kópavogur (freccia rossa sulla cartina), che in teoria è la seconda città islandese, in pratica è soltanto un’estensione di Reykjavik. Normalmente faccio la spesa una volta a settimana e da Bónus (freccia azzurra sulla mappa), massimo due volte. Spendo tra i venti e i trenta euro e prendo di tutto. Per risparmiare uso parecchia frutta e verdura surgelata. Costa davvero poco e non è troppo male. Un chilo di mango a pezzi o di fragole costa meno di 3€. le metto nel “latte acido” (un latte cremoso tipo yogurt) assieme ai cereali o ai muesli, il tutto accompagnato da succo di mela o arancia per la colazione, che faccio alle 7:30, dopo la sveglia alle 7:20.
Tassativo ogni mattina è un cucchiaio generoso di olio di fegato di merluzzo, detto lýsi, che fornisce la dose giornaliera di vitamina A, D ed E, oltre ad una dose copiosa di acidi grassi insaturi omega-3. Gli islandesi pare scoppino di salute, e molti attribuiscono ciò al consumo quotidiano di questo vile e stomachevole prodotto. Personalmente non l’avevo mai assaggiato, ma mi è stato detto che quello islandese non è ributtante come quello che si trova in Europa continentale. Immaginatevi un cucchiaio di olio di arachidi con un forte retrogusto di pesce random che avvolge le narici una volta deglutito. Esistono anche delle pastigli di olio di pesce, che risparmiano la parte sgradevole del gusto, ma sono più costose delle bottiglie di olio.
Quando le giornate non sono terribili mi arrischio ad andare all’università in bicicletta, seguendo la ciclabile che sulla cartina è indicata con il rosso. Sono circa 6 km, e li faccio in media in 20 minuti. La pista da direttamente sul mare, la sera è illuminata e offre dei panorami bellissimi. In particolare passa per un tratto nella collina forestata di Öskjuhlíð (stella verde sulla mappa), probabilmente il mio punto preferito a Reykjavík, se visitate la città fateci un salto perché i sentieri che si snodano tra gli alberi sono davvero suggestivi, e dalla cima della collina si gode di una vista impareggiabile su tutta la città.
Nonostante la mia passione per la bici, però, nrmalmente uso l’autobus e riservo la bici per fare la spesa o per uscite che rischiano di sforare oltre l’orario dell’ultimo bus. La stazione dei bus è a Hamraborg (freccia arancione sulla cartina) a dieci minuti a piedi. Il tragitto che percorro è segnato in verde. Prendo il bus o a 8:50 o alle 9:05. Il bus è il n°1, e nei giorni feriali passi ogni quarto d’ora, mentre nei festivi ogni mezz’ora. Sulla cartina il tragitto del bus è segnato in azzurro. Dura non più di dieci minuti e i bus sono riscaldati. Si sale solo dalla porta davanti e si mostra l’abbonamento al conducente (o si gettano i soldi contati nell’apposito contenitore per poter fare il biglietto). Bisogna prenotare la fermata come in Italia premendo i pulsanti rossi, e la discesa è consentita solo dalla porta centrale e da quella posteriore. Quando scegliete l’alloggio, tenete in conto anche la presenza dei bus. Ho diversi compagni che pur abitado in centro, ed essendo quindi più vicini all’università in linea d’aria, impiegano più tempo di me per arrivarci, perché la loro posizione non giustifica l’acquisto di abbonamenti al bus. Venti minuti a piedi sotto le tempeste autunnali sono parecchi. E comunque peggio dei dieci che mi separano dal bus.
Arrivato in università, nell’edificio di Árnagarður (freccia blu sulla cartina) passo una mezz’ora nella sala comune a ripassare con i compagni. Questa mezz’ora torna utile quando arriviamo bagnati fradici: abbiamo il tempo di asciugarci sparpagliando roba sui caloriferi. Tutti i miei corsi iniziano alle 10:00, tranne il venerdì che iniziano a 11:40. Ogni lezione dura due ore, ciascuna di quaranta minuti. Dopo ogni ora c’è una pausa caffè. Normalmente scendiamo al piano di sotto e prendiamo tazzone di caffè che poi sorbiamo durante l’ora successiva. Gli insegnanti non rompono le balle, anzi danno per scontato che a uno possa venire sete, o che sia necessario un po’ di caffè per stare attivi. In effetti sono loro che incoraggiano attivamente il sorbimento del caffè. Io che non sono un amante mi porto un termos di tè da casa, e rimane sul banco tutto il tempo. Alle superiori “apriti, o cielo!” se c’era una lattina o una bottiglietta sui banchi. Poi magari l’insegnante spendeva due ore piene e senza pausa a divagare e lagnarsi di come fosse indietro col programma o di come la preside non capiisse questo o quello. Qui si fanno quaranti minuti assidui di lavoro serio, sempre con supporti multimediali. L’atmosfera è comunque informale, e nel corso di storia del medioevo nordico una delle due lezioni settimanali viene impiegata per una discussione tra pari su un argomento prefissato. Abbiamo un libro o degli articoli accademici da leggere, e un gruppo di designati prepara una serie di domande o punti su cui poi dibattiamo dopo aver disposto i banchi in circolo. L’insegnante supervisiona ma non interviene. Non dice niente se non “è ora della pausa caffè”. Da linguista trovo incredibilmente stimolante discutere con storici, archeologi e quant’altro. I background diversi portano una ricchezza incredibile alla discussione. Ricchezza che non si avrebbe mai in una lezione frontale.
Alle 13:00 c’è il pranzo, che normalmente prendo con i miei compagni ad Háskólatorg, dove si trova il bar/ristorante dell’università. Dopodiché o torno a casa o vado con qualche socio al Caffè Stofan (freccia gialla sulla cartina). Questo è il nostro locale preferito, ci sono larghi e comodi divani, numerose poltrone, e abbastanza spazio. In genere facciamo gli esercizi o alcune letture. Può capitare che ci fermiamo fino alle 17:00/18:00, e nel caso ceniamo lì. Altrimenti andiamo nella cucina di una ragazza che sta in dormitorio, e i cui coinquilini non rompono le scatole per la nostra presenza. Ceniamo in compagnia e studiamo, sempre spezzando. Ormai sappiamo che le tirate sono solo controproducenti.
Dopo cena andiamo avanti a studiare/leggere/fare esercizi di grammatica fino alle 22:00, tenendo ben presente che non è mai uno studio ossessivo, ma sempre spezzato da pause tè o caffè, e sigaretta per chi fuma.
Nel caso in cui non abbia cenato a casa, tra le 22:00 e le 23:00 prendo il bus per tornarci. Una volta tornato di solito mangio qualcosa. La famiglia che mi ospita consuma latte e cereali, io preferisco della frutta, ma a volte mi faccio dei noodles se ho particolare appetito. L’uso di cenare due volte è tipico del nord-europa. Si fa una colazione più abbondante, si pranza senza troppe pretese e poi si cena presto e generosamente, e prima di andare a letto si fa uno spuntino, per non avere i crampi allo stomaco la notte. Trovo che sia un uso più salutare di quello di cenare molto tardi e di andare a letto con quintali di roba sullo stomaco.
Al sabato sera di norma si esce per bere qualcosa o si porta da bere in qualche cucina/sala di qualche dormitorio dove c’è spazio a sufficienza. Ogni tanto capita di fare qualche gita fuori porta o qualche puntata in qualche posto particolare, come il mercato delle pulci, la piscina geotermale, o qualche lungo mare.
Come vedete non è assolutamente niente di eccezionale. Non è una vita eccessivamente diversa da quella che conducevo quando ero studente in Italia o in Scozia. Le differenze riguardano principalmente la gestione degli impegni che faticoa non basare sul tempo atmosferico, ed è una strategia che fa acqua qui in Islanda, o almeno nel piovoso sud: può sempre piovere, per cui non ha senso pianificare in base al tempo. Spesso mi succede di salire sull’autobus con la pioggia, e tirare un sospiro di sollievo alla discesa per la pioggia cessata…che però ricomincia dopo cinque minuti mentre sono per strada.
Tutto sommato sono parecchio soddisfatto della mia vitaal momento. Mi sento tranquillo e la routine mi piace. Uno stile di vita che per ora credo potrei tranquillamente mantenere a lungo.
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